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    Gaza, oggi…

    La situazione della striscia di Gaza è così delicata e drammatica che chiunque, soprattutto un dilettante dell’informazione, deve avvicinarsi con il cappello in mano e in punta di piedi.

    Questo non mi vieta, tuttavia, di provare ad accendere un lumicino di pensiero “diverso” per non cadere

    ancora una volta nel dibattito tossico, fazioso  e di basso profilo, caro alla pubblica informazione.

    Indipendentemente dalla direzione istintiva delle nostre simpatie, é necessario accettare almeno due condizioni

    di base per riuscire a vedere fra le righe dei luoghi comuni.

    La prima, è che il soggetto agente che ha determinato il passaggio dalla tensione cronica al crimine di guerra come modus operandi, NON è Israele e NON è il popolo palestinese.

    La seconda è che non esiste nella realtà quel soggetto compatto, da assolvere o condannare nel suo insieme, perché

    ai due lati di questo dramma di disumanità senza più limiti di orrore, la frattura più difficile da risolvere

    è quella interna ai due schieramenti.


    Da un lato e dall’altro,  laici, credenti, estremisti religiosi, destra estrema e militari con ambizioni di potere, spie, servizi segreti di altri paesi, frantumano senza rimedio il tessuto del mondo arabo come di quello israeliano al punto che, immaginando che ne restasse solo uno, la violenza del conflitto interno e l’impossibilità di un fronte unico

    nelle relazioni estere, lascerebbe invariata la condizione ribollente e instabile del fortunato vincitore.

    LIMES, come sempre, coglie nel segno e pubblica il volume Israele contro Israele, saltando il passaggio del ritratto del cattivo per default o buono per default, e studiando cosa resta da fare per immaginare la fine di questo orrore.

    Però a monte delle vittime e dei loro carnefici, esiste una responsabilità diffusa e ha senso elencare almeno i principali imputati di un processo impossible, di un rendiconto che non avrà mai luogo perché, il colonialismo in quanto tale, non salirà mai sul banco degli imputati di un tribunale più grande del nostro sdegno.

    I primi fra tutti, i romani, okupa della casa di Israele, che iniziarono una sorta di drammatico gioco della sedia per cui, da allora ad oggi, perché gli ebrei si siedano, qualcuno deve stare in piedi.

    La Francia, senza dubbio, i cui orrori coloniali in Africa e i cui interessi petroliferi hanno fornito all’Inghilterra un

    alibi e un silenzio complice.

    L’Inghilterra, senza dubbio.

    Con le solite bandiere di liberazione ha sottratto la Palestina agli Ottomani con l’appoggio degli arabi di Palestina, ha usato il miraggio della Palestina libera ma ha prolungato indefinitamente il protettorato, cosicché lo stato arabo di Palestina per la comunità internazionale non è mai esistito e può solo alzare la voce, per divenire soggetto di un dialogo.

    Non contenta, la Gran Bretagna, ha fatto la stessa promessa anche agli ebrei dopo la seconda guerra mondiale, stimolandone il flusso verso la terra santa cosicché gli ebrei, di fatto, sono invitati della comunità internazionale che ha permesso loro di autoproclamarsi stato.

    Già qui è difficile credere ai lacrimoni per il popolo palestinese e facile credere a un conflitto cercato.

    L’ONU, delegata dalla Gran Bretagna a levar le castagne dal fuoco, ha diviso fra i litiganti il territorio intrecciando

    frammenti di pertinenza di ebrei e palestinesi che, in un amplesso geografico improponibile, non trovano pace.

    I paesi arabi confinanti, Egitto, Siria, Libano, hanno sfidato le disposizioni dell’ONU e hanno dichiarato e perso due guerre contro un mostro di quelli che è meglio lasciar dormire: la nazione nazionalista per definizione, quella che riusciva a essere popolo senza bisogno di un territorio, di confini, di un governo e di una costituzione e che ora, all’ombra del Monte Sion, diventa inarrestabile.

    Nella lista dei nostri colpevoli aggiungiamo a questo punto i nazionalisti fanatici, che ovunque nel mondo, hanno tormentato gli ebrei per quella sorta di reazione immunitaria che provoca il loro saper essere nazione senza un territorio, il loro organizzarsi come un alveare, la loro autosufficienza in casa altrui.

    USA e URSS sono colpevoli di essere intervenute nei già bollenti equilibri ribaltandoli, facendo della vetrina  israelo-palestinese una proiezione della guerra fredda e abbandonando di fatto i palestinesi a un destino intollerabile.

    L’Iran degli ayatollah non ha resistito alla preda facile di ragazzi i cui padri e i cui nonni sono nati e morti in campi profughi e non avevano favole da raccontare.

    Ha facilmente acceso la miccia del fanatismo religioso che accomuna Israele al concetto  generale di occidente non islamico, ha seminato sulla giusta frustrazione dei palestinesi accerchiati e umiliati per oltre 50 anni, la bestialità dell’odio indifferenziato per bimbi, madri, vecchi, passanti.

    Colpevoli sono tutti coloro che hanno preferito spingere due popoli uno contro l’altro lasciando che si frantumassero

    all’interno per la furia delle fazioni violente su quelle moderate e l’incomunicabilità delle fazioni laiche con quelle religiose.

    L’assurdità di questo conflitto è ben simboleggiata dalla possibilità di dialogo fra le frange laiche e democratiche dei due fronti a fronte dell’impossibilità di dialogo fra estremisti e moderati all’interno della stessa area.

    Cosa dobbiamo usare come punto di partenza per iniziare a orientarci, stante l’assoluta inutilità di qualsiasi nostra opinione?

    Possiamo rifiutarci di fare tiro alla fune su questo immane dramma che, benché duri da quando abbiamo memoria, di fatto è appena all’inizio.

    In questa, come in tutte le stagioni di vergogna della storia dell’uomo, il 90% dei morti non vuole, non merita, non combatte questa guerra.

    Su entrambi i fronti.

    La rabbia di Israele viene da secoli di passiva recettività nei confronti di un odio che per secoli ha schivato ma non reso.

    La disumanità di Israele ha avuto buone scuole nei pogrom e nei lager, è stata cercata e stimolata in ogni modo ma non per questo merita assoluzione al presente.

    Siria Libano e Egitto hanno la colpa di aver perduto, con le due guerre arabe contro Israele, la sola reale occasione di organizzare due culture in un assetto accettabile.

    Quelle guerre sono i pogrom del mondo arabo, un non benvenuto, una volta di più, al popolo di Israele, ovunque vada.

    Il popolo palestinese merita comprensione ma non perdono per aver lasciato sbocciare il mostro di Hamas che ha inviato una raccomandata con ricevuta di ritorno a Israele, chiedendo una reazione esemplare, un gesto senza perdono, per obbligare il mondo a prendere posizione.

    Noi, non dobbiamo renderci colpevoli di valutare i bambini sgozzati, le madri terrorizzate, gli anziani brutalizzati, i sentimenti umani rasi al suolo insieme agli ospedali, gli asili, i giardini, con due pesi e due misure, come se avessero un valore diverso, a seconda di uccide e di chi muore.

    I ragazzi ebrei uccisi durante una festa sono morti per mano di ragazzi che non hanno mai potuto fare una festa, indifferenti al fatto, che quella particolare festa, fosse una festa di pace, per chiedere pace.

    Noi dobbiamo approfondire, non dobbiamo cadere nel vortice di questa confusione o semplificare con bandierine nei balconi e luoghi comuni grossolani.

    E’ ciò che vogliono i responsabili dell’inizio di questa porcheria senza alibi, che sono poi gli stessi che hanno interesse oggi a non lasciarla finire e distrarre noi dalle loro imperdonabili colpe, tenendoci impegnati nel solito tiro alla fune fra luoghi comuni.

    Claudia Maria Sini

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