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    L’aumento del petrolio minaccia la ripresa economica delle Canarie

    Il prezzo basso del petrolio è stato, nel passato, un importante aiuto per la ripresa economica delle isole Canarie, dove il fatto che nella peggiore delle ipotesi il prezzo al barile fosse sotto ai 50$, ha favorito settori sensibili agli idrocarburi come quello del turismo.

    Il recente annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di voler rompere l’accordo nucleare con l’Iran, ha di fatto scatenato una serie di reazioni che preoccupano non solo l’Arcipelago, bensì tutta l’Europa.

    Il prezzo attuale di un barile di petrolio Brent, quello utilizzato per intenderci in Europa come riferimento per determinare il prezzo della benzina, supera i 77$, quando nel 2017, ovvero un anno fa, era di 54,25$.

    Ovvio aspettarsi quindi dei significativi rincari nel prezzo della benzina che, nel caso di Santa Cruz de Tenerife, è già arrivato a 1,12 euro al litro per quella a 98 ottani e a 1,032 euro per quella a 95 ottani.

    La rottura dell’accordo ha rafforzato la tendenza al rialzo del petrolio che, nell’ultima settimana, ha avanzato di circa un 3%, percentuale che si aggiunge al 15,4% totale del 2018 e al 52% degli ultimi 12 mesi.

    Se la tendenza al rialzo dovesse continuare, gli esperti stimano l’impatto per la Spagna pari a circa 5.500 milioni di euro nel solo anno in corso; il governo, che ha già incluso questo aumento dei prezzi nei bilanci generali dello Stato, ha già precisato che il ministero delle finanze sta preparando un aumento delle tasse sul carburante.

    L’aumento del petrolio in realtà non riguarda solo la benzina ma è destinato ad influenzare molte cose della nostra vita quotidiana; l’economista Jesus del Amo ha spiegato che in un’economia globalizzata come quella in cui viviamo, una decisione unilaterale dell’amministrazione statunitense influenza il mondo.

    Quando si parla di petrolio, tutti pensano alle automobili, dimenticando che oli, asfalti, additivi, materie plastiche, tessuti sintetici, gomma, vernici, saponi e detergenti fanno parte della categoria a rischio aumenti, senza contare i prezzi dei trasporti pubblici, degli aerei e delle navi che possono provocare impatti devastanti sul turismo e sull’energia.


    Insomma, l’intera economia di un paese dipende dal petrolio e quindi cose banali come lavare i vestiti, cambiare l’olio della macchina o semplicemente fare acquisti al supermercato subiranno dei cambiamenti significativi.

    Un basso reddito delle famiglie, porta inevitabilmente queste a tagliare le spese superflue, come il turismo, ma si rifletterà anche su quelle più basilari, soprattutto in un’economia come quella delle Canarie dove ogni cosa è importata: l’aumento del petrolio farà schizzare in alto i costi del carburante, quindi quelli di spedizione, fino ad arrivare al prezzo finale di un prodotto, che risentirà inevitabilmente degli aumenti.

    Gli esperti sottolineano che l’aumento del petrolio nelle ultime settimane non è prettamente dovuto ad una tendenza politica e che non è nemmeno destinato a continuare nel tempo, anche perché, come afferma Jesus de Amo, i paesi produttori sono i primi a non essere interessati ad un prezzo al di sopra degli 80 dollari al barile, prezzo che non può rivelarsi redditizio se collegato alle diverse e costose tecniche di estrazione come il fracking, una modalità non convenzionale per estrarre dei gas dalla roccia argillosa.

    Con il fracking, a differenza delle tecniche convenzionali di trivellamento, si giunge a profondità superiori mediante l’utilizzo di 2/4 milioni di galloni di acqua per poter trivellare, sprigionando dai 7 ai 14 milioni di litri di acqua satura di sostanze chimiche che finiscono poi nell’ambiente.

    Oltre all’acqua, non si conoscono esattamente quali sostanze vengono impiegate durante il fracking ma è certo che si parla di fluidi tossici o cancerogeni, alcuni dei quali radioattivi; se a questo si aggiunge il fenomeno dei terremoti scatenati dalla peculiare attività di pompaggio sotterraneo, è evidente che la tecnica rappresenta un dannoso modus operandi per ambiente e popolazione.

    In questo contesto, suggerisce Amos, è la Cina il principale acquirente del petrolio iraniano, quindi sarà lei a dover affrontare la problematica del blocco europeo e nordamericano; quanto all’Arabia Saudita, rivale politica e religiosa dell’Iran, nonché titolare di tutti i rubinetti delle forniture, potrebbe decidere di aumentare la produzione per impedire alla rivale di diventare il principale fornitore cinese.

    A questo punto vale la pena chiedersi, riflette Amos, se le Canarie, che tanto hanno rifiutato il gas, possano pensare a quest’ultimo come l’unica alternativa economica e più pulita per sostenere tutta l’economia delle isole.

    di Ilaria Vitali

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