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    Da Anna Magnani alla Signora Fedez, primo piano di un paese cambiato

    La Signora Fedez ci perseguita: se usiamo il web per cercare un divano o un ristorante ci assale la pioggia di notizie sulle sue disavventure trattate inspiegabilmente come si trattasse della caduta degli Dei.

    E si tratta di una ragazzina che in futuro avrà una manciata di contratti in meno come testimonial di questo o di quello per aver fatto ciò che Amnesty International e la Croce Rossa fanno da sempre: destinare ad uso improprio il denaro della beneficienza.

    La mia generazione ha conosciuto il glamour inconsapevole della vita di persone il cui talento, la cui traccia nel cinema, nella letteratura, nelle culle del jet set, definiva i connotati di un’epoca per il fatto che la raccontava attraverso forme di arte in la cui la gente si riconosceva..

    Semplificando, mio padre aveva una vespa, mia madre portava il foulard al collo, e la vespa e il foulard li aveva battezzati il film Vacanze Romane.

    Trasladando a giorni più recenti, il cappotto di Matrix resta “di Matrix” chiunque lo indossi perché l’assoluto genio del regista e degli attori ha fotografato un momento di storia e lo ha reso unità di misura dentro cui tutti noi ci muoviamo.

    A seguire gli occhiali dei Blues Brothers, come il cappello di Federico Fellini, il caschetto dei Beatles… ci sono persone che sono al contempo sintesi e racconto, di come tutti noi ci sentiamo in un dato momento.

    Mi sono presa la briga di guardare sull’enciclopedia la definizione d’influencer cercando di capire come funziona il meccanismo che sottrae all’anonimato una ragazzina anoressica priva di qualsivoglia talento e cito testualmente cosa ho trovato:

    INFLUENCER: persona molto nota principalmente per la sua interazione con i social, in grado di influenzare le scelte di altre persone in fatto di comportamenti e acquisti.


    Già abbinare i comportamenti e gli acquisti per tracciare l’identità di una persona fa accapponare la pelle, però tanto è.

    Ho allora impostato alcune domande su Google:

    Cosa fa un influencer?

    Cosa si fa per diventare influencer?

    E la risposta sono certa che avrebbe ammutolito anche Aristotele, che per primo e in realtà per ultimo, ha definito i tipi umani le loro interazioni, il modo in cui alcuni possono catturare l’attenzione di altri attraverso il modo di essere, parlare, vestirsi, muovere il corpo.

    Copio e incollo da Google:

    Come diventare un influencer:

    Identifica la tua nicchia /Determina quali piattaforme social utilizzare/Crea una strategia di contenuti coordinati al pubblico che hai scelto/Pubblica con regolarità/Coinvolgi il pubblico/Incrocia il link con altri influencer./Collabora con i brand.

    Immaginando che Aristotele dovesse fare la versione in prosa di questa assurdità, più o meno otterremo un passo di questo genere nell’Etica per Nicodemo.

    “Prima di scegliere quale argomento ti appassiona, decidi con chi parlerai, poi cuci molte affermazioni brevi, scorrelate ma frequenti su un argomento che ti faccia apparire loro simile e stuzzicane l’emotività simulando uno scambio di opinioni.

    Aumenta il flusso nella tua pagina facendo rete con altre persone che passano il tempo a raccontare che rossetto usano o che auto guidano in modo che gli algoritmi dei social vi “premino“ tutti per la costante presenza trasformando il contenitore (la pagina in sé) in contenuto (un prodotto che vale la pena di diffondere).

    Infine fatti pagare da chi vende qualcosa per far finta che la usi in modo che chi ti legge possa, per un fenomeno di inspiegabile imitazione, copiare le tue abitudini per apparire una persona vuota di contenuti e priva di cultura, proprio come te.

    Se vi riesci, potrai comprare appartamenti e auto degni di un calciatore senza andare a lavorare.

    Ecco: questo oggi è un mestiere.

    Cos’è dunque avvenuto nel passaggio fra le icone della dolce vita della Roma degli anni ’50-60, o quelle di St Tropez degli anni ’60-70 o dell’underground londinese degli anni ’70-80 e gli ologrammi del jet set dei giorni nostri?

    Un ribaltamento totale dalla logica della realtà a quella invertita delle irrealtà.

    Si è spezzato il filo che riconduceva tutti i tipi umani alle categorie di Aristotele e dopo di lui di Shakespeare e di  Moliere, perché fin prima dei social le persone facevano qualcosa di speciale o erano qualcosa di speciale e allora creavano una scia, lasciavano un solco che naturalmente definiva un’epoca e, per questo, assomigliavano a quelli che secoli prima erano stati capaci di fare lo stesso.

    Ora far parlare di sé è un fatto meccanico, premeditato, non è una conseguenza ma un fine, un fine a se stesso che non poggia su nessun tipo di contenuto.

    Non definisce una dote dell’oratore ma un deficit del suo pubblico.

    La fama è come la coda per la comunione in un rito pagano, fa parte dell’all inclusive del conformismo divenuto religione.

    In tempi di strisciante invasiva dittatura, religione di stato perché l’assenza di un’identità forte è la base del modello umano su cui si basano i progetti di dittatura.

    Allora, quale migliore strategia che innalzare agli altari il niente?

    La fittizia immensità dell’ascesa e della caduta di una ragazzina che prima mostrava il suo aereo e il suo albero di natale a una milionata di guardoni e ora troverà un altro modo per campare, racconta solo il tipo di Dei che ha scelto per noi la classe dirigente che ha reso trasparenti le galere e ci ha messo dentro tutti.

    Dei vuoti e inutili che ci spingano a essere vuoti e inutili.

    Viviamo tempi talmente critici che comprarsi un quadrato di terra, dedicarsi a melanzane e galline, radunarci la sera attorno a una tazza di tè e usare l’antenna della RAI solo per stendere i panni, e il cellulare per raddrizzare una sedia zoppa, potrebbe considerarsi un gesto potentemente rivoluzionario.

    Tanto rivoluzionario che potremmo rimanere noi stessi sorpresi dalle conseguenze.

    Claudia Maria Sini

     

     

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