More

    Le parole sono briciole di Pollicino

    Ci sono parole che restano legate a momenti e condizioni particolari.

    “Imagine” appartiene a John Lennon,  “il dado è tratto“ a Giulio Cesare, “tu non combinerai nulla nella vita”, a un professore senza vocazione, “compagno o camerata” al diciannovesimo secolo, “cittadino” alla rivoluzione francese e Robespierre.
    Immaginando di guardare il 2023 da un palco a teatro del 3033, credo che le parole chiave salite alla ribalta mentre i twitter sostituiscono il Garzanti e il Castiglioni Mariotti, sono salute pace e diversità.
    Se le osservassimo dal 3033, sarebbe chiarissimo che non hanno oggi il significato che avevano quando sono nate.
    Lo spazio vitale delle parole sotto la dittatura si polarizza distorcendole.
    Quelle necessarie alla retorica del potere si irrigidiscono, eternamente giovani, come un seno rifatto impeccabilmente sferico.
    Quelle che supportano la libera associazione di pensiero, l’analisi critica, la produzione di arte, si contraggono come dentro un sacchetto sottovuoto, visibili ma non fruibili, riconoscibili, ma deformate e immobili.
    L’omologazione verso il basso del livello medio della popolazione è il nuovo cristianesimo dell’Anticristo.
    Il periodico on line “Geopolitica” che suggerisco caldamente di sostituire a Repubblica e al Corriere per capire il mondo, lancia l’allarme: il livello medio dell’intelligenza mondiale continua inesorabilmente a scendere.
    La faccenda non è che nascano bambini senza le ali nel cervello, piuttosto, crescono bambini cui si legano e si coprono di pece le ali dal primo momento in cui i media possono raggiungerli, direttamente o attraverso giovani genitori ammansiti con largo anticipo.
    L’antropologia materialista del 21° secolo ha un progetto a lungo termine su ogni adulto del domani.
    Come si valuta l’intelligenza in un test?
    Attraverso l’elasticità, la capacità di fare connessioni veloci e non scontate, la capacità di organizzare i ragionamenti utili a risolvere un problema, l’attitudine a scegliere l’opzione giusta e adatta per la situazione proposta.
    I test analizzano l’apertura alare di una mente libera in campo libero.
    Ne discende, senza particolare difficoltà di ragionamento, che quando si restringe il perimetro del volo, lo si quadretta con milioni di nuovi obblighi e divieti, lo si affolla di antenne e droni, risulterà che uccelli con ali più piccole e meno velleità di volo saranno animali più adatti per popolarlo di  Leonardo da Vinci o  Montesquieu.
    La goccia cinese che dagli anni ’80 ha iniziato a spegnere con discrezione la scintilla intellettuale dei genitori trentenni di oggi, sono i cartoni animati giapponesi, intrisi di violenza e pessimismo, le 30 parole a disposizione su twitter per esprimere un pensiero compiuto, le prove “invalsi” di una scuola di codici a barre e test con le crocette per la standardizzazione a livello nazionale della griglia in cui i ragazzi possono immagazzinare idee…
    E’ il concetto stesso che la scuola serva per immagazzinare idee e non per crearle.
    Mi ha colpito leggere con quale frequenza, ormai, si è sostituita la preoccupazione di formare gli allievi con quella di formare i professori.
    Anche formare i formatori è un vizio vecchio come la tentazione di controllare la produzione di idee.
    La nuova antropologia materiale punta al ribasso.
    La recente discussione sulla necessità di abbandonare il doppio condizionale del periodo ipotetico non è una disquisizione per bibliotecari e filologi.
    E’ il pallino rosso del puntatore di un cecchino sul pensiero strutturato, è il progetto di sostituire senza clamore i “se questo non fosse successo, non si sarebbe verificato quest’altro…” con un più maneggevole “le cose stanno così”.
    Si promuove poi  il culto della resilienza per assicurarsi che così restino.
    Si sostituisce il periodo ipotetico della possibilità, della impossibilità, della realtà, utili a mettere in discussione, analizzare cause e conseguenze, ipotizzare soluzioni e identificare linee logiche di verità e menzogna, con un bell’indicativo solido, con un tempo solo, un bel tempo presente maneggevole come una bici con le rotelle.
    In fondo, per studiare la storia in “ordine non cronologico” come si farà ormai a scuola, non servirà più capire che  “se non avessero umiliato la Germania non sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale” o che “se non avessimo usato l’Africa come una dispensa e un gabinetto delle suites europee, oggi quel continente non tirerebbe lo sciacquone della disperazione nella nostra direzione.
    Basta capire che oggettivamente le cose stanno come stanno.
    Sulla stessa linea, la pace in Vietnam e quella in Ucraina cadranno in campi semantici diversi, la salute di chi non può morire di influenza in un campo semantico diverso da quella di chi è obbligato a morire per gli effetti avversi di un farmaco di stato, la diversità si ridurrà al diritto di indossare abiti incongruenti con la circostanza o con il sesso anagrafico e non avrà più nulla a che vedere con il fatto che una sola parola “diversa” su Facebook possa comportare l’esilio dal dorato Giardino in cui nessuno ha le occhiaie o la ricrescita di capelli grigi e tutti sorridono, sorridono, sorridono…
    Detto questo, nel 3033 già sapranno di che tramonto sarà tramontata questa ennesima follia distruttrice che cíclicamente ritorna.
    Sapranno anche che tipo di profilo umano, che tipo di eroe o rivoluzionario sarà stato responsabile del suo superamento.
    Noi che non lo sappiamo possiamo almeno immaginarlo.
    Personalmente non penso che si tratterà di eroi o rivoluzionari perché la struttura dell’attacco è più simile all’emergere della muffa attraverso i muri che a una frana o una valanga, semplicemente, l’azione rivoluzionaria non parlerebbe la stessa lingua di quella dell’oppressore.
    Personalmente credo che la figura più interessante di questa stagione siano i precursori.
    Le persone che vivono ancora come se questa stagione non fosse in essere e al contempo vivono già come se fosse finita.
    Nel momento storico più torbido e malsano che mente umana potesse immaginare, l’uomo del domani è il custode dell’uomo di ieri, il traghettatore di valori, il monaco in ciabattine che trascrive gli autori pagani dell’antica Grecia dentro le abbazie cristiane in attesa che l’impero romano si trasformi in repubbliche marinare e poi in Rinascimento.
    L’unico vero pericolo cui siamo sottoposti è credere nell’ineluttabilità del progetto di impoverimento del tessuto della nostra intelligenza.
    In un’epoca in cui tutto è al contrario come in un salto mortale, incredibilmente, la chiave per arrivare sull’altra sponda è probabilmente non credere.
    Non credere a nessuna delle menzogne di Stato così ben strutturate, perfettamente diffuse, avvallate da cori di ciambellani ben pagati, difese se serve dagli idranti della polizia e ciò nondimeno false.
    Salvando i condizionali e il periodo ipotetico concentriamoci sul fatto che, se potessimo vivere altri 1.000 anni, non v’è dubbio alcuno che vedremmo sui libri di storia il racconto di un gruppuscolo di mitomani determinati a spegnere il sorriso all’umanità intera superati dal tempo, dall’umanità inarrestabile che si riaccende nei momento bui, dai loro stessi errori.
    Non credo sia questo ciò di cui ci dobbiamo preoccupare.
    Ciò che ci deve tenere occupati è piuttosto la preoccupazione di cosa si dirà di noi, coloro che debbono attraversare questa tempesta temporanea ma molto ben strutturata di bugie, custodendo e portando sull’altra sponda i valori del “dopo”.
    Stiamo custodendo e proteggendo valori, empatia, cultura, legami e ideali sufficienti per rifondare il “dopo”?
    Riguardandoci dal palco del 3033, saremmo soddisfatti di ciò che stiamo facendo adesso e qui, per sfuggire alla polizia della memoria che tanto vorrebbe che ci scordassimo cosa vuol dire essere umani nel senso pieno e caldo della parola?
    Questa sì, è una preoccupazione che vale la pena di coltivare.
    Claudia Maria Sini

    Articoli correlati