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    Il pasticciaccio ucraino

    Per capire il presente del pasticcio ucraino è indispensabile riesaminarne il passato, di cui però dovrò forzatamente limitarmi ad alcuni aspetti, perché per approfondirli tutti non basterebbe nemmeno il doppio di queste due pagine. Dal 1953 al 1964 fu Segretario generale del Partito Comunista dell’allora Unione Sovietica Nikita Krusciov, emerso vincitore dalla convulsa lotta per il potere scatenatasi nel partito dopo la morte del georgiano Iosif Dzugashvili, passato alla storia con il tragico nomignolo di  Stalin (“l’uomo d’acciaio”, dalla parola tedesca Stahl).

    Krusciov era di etnia ucraina ma nato a Kursk, in Russia,  poco lontano dal confine con il Paese d’origine della famiglia.

    Per capire il seguito ricordo ai più giovani, alcuni dei quali forse lo ignorano, cos’era l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (in breve URSS o Unione Sovietica): era lo Stato comunista multinazionale sorto un secolo fa, nel 1922, dalla rivoluzione sovietica ed erede territoriale dell’impero zarista, che dalla fine della seconda guerra mondiale nel 1945 per meno di mezzo secolo rimase antagonista planetario degli Stati Uniti, fino al suo tracollo interno ed alla conseguente dissoluzione nel 1991.

    Componevano l’Unione Sovietica numerose Repubbliche asiatiche ed europee oggi indipendenti e confinanti con l’attuale Federazione Russa, all’epoca denominata Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa; tra le repubbliche fondatrici dell’URSS c’era anche l’Ucraina, tra l’altro legata alla Russia da profonde affinità etniche, storiche e linguistiche.

    Krusciov rimase sempre vincolato alla sua terra d’origine, dove nel dopoguerra fu nominato presidente del consiglio della Repubblica e segretario del Partito comunista, svolgendovi un ruolo di rilievo nell’eliminazione degli anticomunisti e dei collaborazionisti ucraini con gli occupanti nazisti.

    Il 19 febbraio 1954, un anno dopo la sua ascesa al vertice dello Stato sovietico, con il decreto riprodotto in immagine in quest’articolo

    Krusciov decise di staccare dalla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa la Provincia di Crimea, abitata prevalentemente da russofoni, e di unirla alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.

    Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, ed il referendum con cui nel 1991 l’Ucraina optò per l’indipendenza,  a maggio 1992 la Crimea, diventata ipso facto una regione ucraina, proclamò l’autogoverno, accettando solo successivamente di rimanere nello Stato ucraino come repubblica autonoma.


    Tra novembre 2013 e febbraio del 2014 la lunga instabilità politica ucraina, causata dalle fratture etniche e ideologiche della popolazione, precipitò nella crisi della cosiddetta “rivolta di Maidan”, che rovesciò il governo del presidente Viktor Janukovyc, eletto nel 2010.

    Janukovyc, nel tentativo di mantenersi in equilibrio tra l’UE a ovest e la Federazione Russa ad est, a marzo 2012 aveva avviato la trattativa per stipulare un accordo di libero scambio commerciale e di associazione con l’Unione Europea, che tuttavia si arenò sia per il malcontento russo che per la richiesta dell’UE all’Ucraina di attuare preliminarmente una serie di riforme per instaurare una “vera democrazia” e uno “Stato di diritto”, ovviamente secondo i significati attribuiti a questi concetti dalla stessa UE, che per qualche motivo che mi sfugge se ne ritiene depositaria.

    A novembre 2013 il governo ucraino sospese i preliminari dell’accordo di associazione con l’UE, adducendo come motivi la caduta delle esportazioni verso la Confederazione di Stati Indipendenti (un’associazione tra gli ex Paesi membri della defunta URSS) e le rigide condizioni di un prestito prospettato dal Fondo Monetario Internazionale. La rinuncia all’accordo con l’UE sfociò in una sommossa (ritenuta da alcuni un colpo di Stato istigato dall’estero), che dopo violenti scontri e decine di morti negli ultimi giorni di febbraio 2014 culminò con l’esilio di Janukovyc in Russia.

    Il 23 febbraio il deputato Vjaceslav Kyrylenko propose in parlamento una delibera per rendere l’ucraino unica lingua ufficiale dello Stato a tutti i livelli, che fu immediatamente votata e approvata.

    Nella lunga crisi ucraina si aprì così una nuova drammatica lacerazione: l’opposizione delle regioni russofone dell’Ucraina al declassamento delle loro lingua ed al nuovo corso di ostilità alla Russia.

    In Crimea si svolsero immediatamente manifestazioni per invocare il ritorno all’antica madrepatria e il 16 marzo 2014 si tenne un referendum vinto dai separatisti, seguito il 17 marzo dalla dichiarazione formale di secessione dall’Ucraina e di adesione alla Federazione Russa; l’indipendenza proclamata pochi giorni dopo anche dalle due regioni orientali di Donbass e Lugansk, prevalentemente russofone, innescò in una guerra di fatto, protrattasi tra molte vittime e sofferenze fino all’intervento russo di poche settimane fa, la repressione dell’esercito ucraino e del famigerato “Battaglione Azov” di ispirazione neonazista e accanito protagonista della difesa di Mariupol contro i russi, probabilmente perché, memori delle violenze commesse in Donbass, i miliziani temevano sopra ogni cosa la cattura.

    A maggio 2019 fu eletto presidente delle repubblica ucraina l’attore comico e fantasista Volodymyr Zelensky, già protagonista della serie televisiva “Sluga Narodu” (“Servitore del popolo”), in cui impersonava un professore di liceo inaspettatamente diventato presidente della repubblica.

    La popolarità della serie convinse Zelensky e i suoi sponsor a fondare un partito politico con lo stesso nome, che dopo averlo realmente portato alla presidenza della repubblica ucraina vinse le successive elezioni parlamentari.

    Da aprile 2021 Zelensky tornò a chiedere insistentemente l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, e quando lo scorso febbraio il processo apparve politicamente inarrestabile la Russia intervenne militarmente per opporvisi.

    Illustrati alcuni antecedenti per inquadrare il contesto, esprimo qualche mio commento sugli ultimi eventi e sugli errori strategici commessi dai vari attori.

    Direi che il primo grave errore strategico fu proprio la pressante richiesta di Zelensky di adesione dell’Ucraina alla NATO; mi sembra evidente che sarebbe stato più utile per Kiev dichiararsi ufficialmente neutrale e proporsi come cruciale cerniera ed elemento pacificatore tra Est ed Ovest, attirando investimenti e puntando a diventare una sorta di Svizzera dell’Europa orientale.

    Considerando le basi della NATO già presenti in Estonia, Lettonia (anche con truppe italiane), Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria (tutti Paesi ex satelliti dell’URSS comunista, o che addirittura ne facevano parte), la reazione russa a questa precisa scelta di campo ucraina di entrare nella NATO era facilmente ipotizzabile, perché aderire alla NATO significa accettare truppe e armamenti statunitensi – missili compresi – nel proprio territorio, e nel caso dell’Ucraina immediatamente a ridosso della Federazione Russa con cui essa confina.

    Nella seconda puntata del mio articolo su Cuba, pubblicato da questo giornale a ottobre 2021, ho rievocato la fallita invasione di Cuba tentata nel 1961 da esuli cubani anticastristi armati e organizzati dagli USA e il rischio di una devastante guerra nucleare corso dal mondo quando nel 1962 Kennedy decise di impedire con ogni mezzo l’installazione a Cuba di missili sovietici puntati contro gli Stati Uniti, compresi lo scontro militare con l’URSS e l’invasione diretta dell’isola.

    Essendo l’Ucraina addirittura confinante con la Russia, perché per Putin non dovrebbero valere le stesse ragioni che allora valsero per Kennedy?

    Quando Kennedy chiese di vedere le carte i sovietici rinunciarono al bluff, ma oggi gli USA non hanno mostrato altrettanto buonsenso.

    E Biden sembra dimenticare di aver caldeggiato – per suo stesso racconto – i bombardamenti sulla Serbia nel 1999, che causarono centinaia di morti civili e un milione di profughi ed a cui parteciparono, per ordine del governo D’Alema prontamente allineatosi agli USA e alla NATO, anche aerei italiani.

    Illogico errore strategico di Zelensky, dicevo; e dunque viene spontaneo chiedersi perché l’abbia commesso… la spiegazione più plausibile è che la “richiesta” gli sia stata “suggerita” da qualcuno che aveva interesse a vedersela presentata, per poi poterla accogliere “invitando” l’Ucraina ad aderire.

    Infatti l’articolo 10 del Trattato istitutivo della NATO così recita: “I membri possono, con accordo unanime, INVITARE ad aderire al Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”; dunque per non apparire troppo smaccato “l’invito” doveva essere preceduto dalla “richiesta spontanea” dell’Ucraina, che però per l’annoso contenzioso con la Russia non poteva certo “contribuire alla sicurezza” atlantica, anzi semmai l’avrebbe pregiudicata.

    Un altro grave errore strategico l’ha commesso Biden impantanandosi in Europa, un teatro operativo sicuramente meno minaccioso e pressante per gli Stati Uniti di quelli asiatico e mediorientale.

    Gli USA, ancora potenti, non sono però più i padroni assoluti del mondo, e tutta la loro potenza non basterebbe a fronteggiare una crisi che li vedesse simultaneamente impegnati in Europa (crisi ucraina), in Medio Oriente (atomica iraniana e ferma determinazione israeliana di non permetterla) e soprattutto in Asia (pretesa cinese di far rientrare con qualsiasi mezzo nei ranghi della madrepatria la riottosa Taiwan).

    Anche per questo, e non è il motivo minore, gli USA non osano un confronto militare diretto con la Russia in Europa… infatti se lo osassero la Cina verosimilmente assalirebbe Taiwan con la ragionevole presunzione che gli USA si troverebbero in grave difficoltà ad aprire un secondo fronte in Asia.

    E qui arriviamo al terzo gravissimo errore strategico, commesso dall’UE dimostrandosi totalmente succuba del volere statunitense e regalando alla Cina la Russia, con cui invece sarebbe cruciale mantenere buoni rapporti data la contiguità geografica e gli intensi legami economici e commerciali.

    L’UE, come noto per esplicita ammissione dei suoi stessi (s)governanti, per la propria sopravvivenza e per il mantenimento del benessere, a cui le sue popolazioni si sono abituate e non vogliono rinunciare, dipende pesantemente dal petrolio e dal gas russi.

    In una fase così critica, in cui il continente cerca faticosamente di risollevarsi dal disastro causato dalla “pandemia”, l’impennata dei prezzi dei prodotti energetici e la conseguente alta inflazione minacciano gravissimamente di strangolare sul nascere la stentata uscita dalla crisi economica… eppure, invece di gettare acqua sul fuoco, l’UE non ha saputo fare di meglio che allinearsi docilmente, contro il proprio evidente interesse, all’accanimento antirusso degli USA, che dall’altro lato dell’Atlantico, possedendo in casa loro abbondanti risorse energetiche, possono permettersi di smargiassare, perché poi a subirne le pesantissime conseguenze in prima linea ci siamo noi europei. Molti governi dell’UE considerano con terrore l’ipotesi che la Russia decida improvvisamente di chiudere il rubinetto del gas, tant’è vero che ridicolmente continuano a comprarlo nonostante i paroloni, e così facendo continuano anche a finanziare alla Russia la guerra in Ucraina che a chiacchiere tanto biasimano.

    Intanto gli USA, bontà loro, acconsentono generosamente a venderci a molto più caro prezzo un po’ del loro gas… ampiamente insufficiente a sostituire quello russo, ma intanto meglio di niente dicono i politici, poi il prossimo inverno si vedrà… già si comincia a parlare di razionamento, perché la tanto strombazzata sostituzione di fonti energetiche non si fa in pochi mesi, e comunque i venditori alternativi – dall’Algeria al Congo all’Angola e all’Egitto, con il quale ultimo l’Italia ha un doppio contenzioso per l’assassinio di Regeni e per il sostegno allo “studente” Patrick Zaki… però tutti Paesi affidabilissimi, tranquilli e democratici, eh…! mica come la Russia…! o no…?!? – sicuramente si faranno pagare profumatamente lo stato di necessità dei compratori, ammesso e non concesso che le loro disponibilità bastino a coprire il fabbisogno di tutti.

    Dopo due anni durissimi di “pandemia” è sensato infilarsi in questo pasticcio…? innescare una grave crisi alimentare dopo il blocco delle ingenti esportazioni di cereali da entrambi i Paesi belligeranti… mandare alle stelle i prezzi energetici con la prospettiva di un inverno al  freddo e di far esplodere l’inflazione… rinunciare a un turismo non di massa ma molto danaroso come quello russo, ossia esattamente ciò che tutte le destinazioni turistiche vorrebbero accaparrarsi… bruciare le già scarsissime risorse disponibili in costosissimi armamenti all’Ucraina, che facendosi indurre con chissà quali promesse a “chiedere” di entrare nella NATO ha fatto deflagrare una crisi che, comunque vada a finire, la lascerà DISTRUTTA per soddisfare l’ostinazione egoista di chi vuole combattere da migliaia di km di distanza una guerra con la pelle degli altri…?

    A pochi giorni dalla fine di aprile, mentre scrivo queste considerazioni, nessuno può prevedere come e quando finirà il conflitto, ma comunque finisca la Russia non è l’ultimo Paese del mondo, forza (anche d’animo) e risorse ne ha… e passata la buriana non dimenticherà chi le ha dimostrato tanta avvelenata ostilità.

    Se la Russia fosse stata debole come la Serbia la NATO non avrebbe esitato a intervenire militarmente come fece nel 1999…! ma la Russia non è la Serbia e gli ipocriti istigatori dell’Ucraina il coraggio di mandarci a combattere UN soldato o UN aereo, e di dire “noi al tuo gas ci rinunciamo da subito, tienitelo!”… non ce l’hanno.

    L’Ucraina è stata aizzata a “chiedere” l’adesione alla NATO, ma fallito il bluff è stata ed è sostanzialmente abbandonata a se stessa (come gli stessi ucraini ogni giorno lamentano), ricevendo armi e soldi solo per prolungare la sua agonia (che gli istigatori si compiacciono di chiamare “resistenza”), purché nel frattempo faccia da agnello sacrificale tirandola in lungo il più possibile per creare il massimo di difficoltà alla Russia, nella speranza evidente che alla fine Putin sia fatto cadere dall’interno, magari con un “aiutino” dall’esterno al momento opportuno, e che la Russia precipiti poi nel caos per potersene più facilmente impossessare… perché a me l’obiettivo appare chiaro: togliere di mezzo un ostacolo alla globalizzazione più deteriore ed all’imposizione completa in tutta Europa della dittatura del pensiero unico politicamente corretto (ma io direi corrotto…), di cui l’ex patria delle libertà di oltreoceano è diventata la spaventosa fucina e che vuole imporre al mondo in tutti i modi e con tutti i mezzi.

    E infine, per tornare più vicino a noi, non posso non rimarcare l’ipocrisia di chi, scodinzolante fautore dell’arricchimento dei mercanti di armi dopo i produttori di farmaci, seppure non votato da nessuno sfacciatamente definisce dittatori illiberali gli eletti direttamente dai loro popoli, e pretendendo di dare saccenti lezioni di democrazia ad altri, in casa propria assurdamente nega a centinaia di migliaia di persone abili e sane – con grave danno all’economia nazionale – il diritto di lavorare per mantenere le loro famiglie, e perfino vieta gli ingressi in vari luoghi a chi non possiede un farlocco tesserino di sottomissione ai suoi “insindacabili” e insensati diktat.

    Né, ricordando la catena di lampanti panzane narrate negli ultimi due anni su un altro argomento, che con incredibile faccia tosta una settimana dopo smentivano quelle della settimana prima, posso prendere automaticamente per plausibili i tentativi sempre più martellanti degli stessi identici conclamati bugiardi di “sbattere il mostro in prima pagina”, mostrandolo impegnato nelle più indicibili nefandezze ed a seminare intenzionalmente la pubblica via di cadaveri di innocenti che poi, guarda caso, serviranno appunto a sbattere il mostro in prima pagina e così ad alimentare l’ardore bellicista di chi vuole convincere il gregge che è “umanitariamente necessario” entrare in guerra (!) per “far cessare l’orrore”… e del resto, come ci assicura qualcuno lassù… vale la pena di “fare qualche sacrificio”, anzi di entrare in recessione entro l’anno come ormai unanimemente annunciato, per servire gli USA… cioè ooppss, volevo dire per difendere la libertà dell’Ucraina… anche se la logica elementare dice che chi con sfacciata sicumera ha mentito per tanto tempo su un argomento per qualche interesse suo e/o di qualcun altro, è capacissimo di tornare a mentire per perseguire altri obiettivi.

    Francesco D’Alessandro

     

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