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    XIX secolo: Centomila Canari in America

    Monumento a San Antonio de Texas in memoria dei canari fondatori.
    Foto dalla pagina facebook Canary Islands Descendants Association-San Antonio

    La storia non ha valutato nella giusta misura l’enorme contributo delle Canarie alla scoperta e alla colonizzazione del Nuovo Mondo, poiché questo è stato quasi sempre diluito nel credito e nella “gloria” della Spagna.

    Come già commentato più volte, i figli e le figlie di questo arcipelago dell’Atlantico nordafricano sono stati protagonisti, fin dall’inizio, dell’incrocio e della formazione delle nuove società e culture americane.

    Il trasferimento della popolazione iniziò con il reclutamento, per lo più forzato, di guanches e nativi delle isole come uomini di guerra per la conquista dei vasti territori appena scoperti.

    Foto dalla pagina facebook Canary Islands Descendants Association-San Antonio

    È il caso degli oltre 800 soldati naturali delle isole che il secondo Adelantado Pedro Fernández de Lugo portò a Tierra Firme nel 1536, quello che poi sarebbe diventata la Gran Colombia.

    Molti sono morti in quella campagna – tra cui l’Adelantado – a causa dei continui attacchi indigeni, delle malattie tropicali e della fame.

    Tuttavia, questi stessi uomini sono riusciti, nonostante le avversità, ad entrare – questa volta sotto il comando del luogotenente dell’Adelantado, Gonzalo Jiménez de Quesada – in più di 100 leghe (circa 500 chilometri) attraverso il possente fiume Magdalena, nella giungla interna del paese.

    Erano partiti da Santa Marta, città dove tre secoli dopo Bolivar sarebbe morto, e nella loro avanzata fondarono, tra le altre, le città di Tunja, Vélez, La Candelaria (in onore della patrona delle Canarie) e Santa Fe, queste ultime due convertite oggi in quartieri della grande città di Bogotá.

    Già nel XVII e XVIII secolo le dinamiche migratorie delle Canarie cambiarono.


    Ora era un’emigrazione familiare (regolare, anche se c’era ancora la clandestinità), perché l’interesse della Corona spagnola era quello di “ripopolare” quei territori che erano stati devastati dopo la sanguinosa conquista.

    Foto dalla pagina facebook Canary Islands Descendants Association-San Antonio

    In questo modo, migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini delle Canarie si sono imbarcati per i Paesi dei Caraibi alla ricerca di un futuro più promettente nelle Americhe.

    Queste persone umili, oneste e laboriose hanno saputo adattarsi, come nessun altro, ai nuovi territori, molte volte ostili e malsani, molto diversi da quelli da cui provenivano.

    Quei laboriosi e intrepidi canari, nonostante le difficoltà del viaggio e “i sassi della strada”, si sono affermati e hanno fondato, o contribuito alla fondazione di molte città e cittadine in tutte le Americhe: dal Messico alla Florida, passando per la Louisiana, e dall’America Centrale, comprese le isole e i paesi dei Caraibi, fino al cono sudamericano.

    San Antonio de Texas, San Bernardo, Valenzuela e Galveztown (New Orleans, Louisiana) e St. Augustine, Florida, negli Stati Uniti; Merida, Veracruz e Campeche nello Yucatan del Messico; in Colombia, oltre alla già citata Santa Fe de Bogota, hanno fondato New Tenerife, La Palma e Las Palmas; Villa de La Gomera in Guatemala; El Puerto e Villa del Realejo in Nicaragua; San Carlos de Tenerife, Samana e Sabana de la Mar nella Repubblica Dominicana; Río Piedras, Hatillo e Toa Alta, a Puerto Rico; Cabaiguán, Matanzas, San Cristóbal (La Habana), Santiago de Las Vegas e Guantánamo, a Cuba; Nuestra señora de La Candelaria (La Guaira), San Diego de Los Altos (Caracas), Petare, San Carlos (Los Llanos), e San Antonio de Los Altos, in Venezuela; Villa de Candelaria, in Paraguay; Montevideo, Colonia San José e Soria, in Uruguay; e Buenos Aires, in Argentina, sono solo alcune delle principali, tra le tante.

    Ma va notato che per gli emigranti canari l’avventura americana non è stata in alcun modo una strada di rose.

    Foto dalla pagina facebook Canary Islands Descendants Association-San Antonio

    Prima costretti, poi in un regime di semi-schiavitù, e spesso costretti da un’elevata demografia, dalla scarsità di risorse, dalla fame e dalla povertà che colpivano ciclicamente l’economia (basata sul settore primario e sull’esportazione) di queste isole.

    Tutto ciò è stato aggravato dal controllo e dagli impedimenti della Corona alla contrattazione diretta e all’esportazione dalle Isole Canarie.

    In questa occasione fu emanato il Regio Decreto del 1678 per regolare l’emigrazione canaria verso l’America, noto come “tributo di sangue”, secondo il quale per ogni 100 tonnellate di merce esportata dovevano essere inviate cinque famiglie canarie.

    E così, in quelle condizioni deplorevoli, il più delle volte nella stiva delle navi, come un carico in più, migliaia di uomini, donne e bambini delle Canarie hanno marciato, alcuni di loro sono morti durante il viaggio denigratorio, che poteva durare, in condizioni avverse, fino a tre mesi.

    Nelle parole della professoressa Ana Lola Borges:

    “Questo Regio Decreto è stato emanato dalla Corona spagnola con un triplice scopo: primo, ripopolare o stabilire nuovi insediamenti in quei luoghi che erano molto spopolati o a rischio di cadere in mani straniere.

    Il secondo obiettivo era la coltivazione della terra, non solo per l’auto-approvvigionamento, ma anche per creare un’economia agro-zootecnica, di cui le Canarie erano ben consapevoli.

    E in terzo luogo, il contadino-agricoltore era obbligato ad alternare quei compiti sul campo con quelli di un soldato, nel caso in cui fosse necessario difendere il territorio dagli attacchi nemici”.

    Foto dalla pagina facebook Canary Islands Descendants Association-San Antonio

    E già all’inizio del XIX secolo, il trattamento degli emigranti canari continuava ad essere lo stesso nella maggior parte dei casi, o anche peggio.

    L’incaricato d’affari della Spagna in Venezuela riferisce: “Arrivano carichi di famiglia e vengono assunti da uomini disumani che hanno le loro proprietà in luoghi non molto salubri.

    Sono sovraccarichi di lavoro, sulle rive di laghi e fiumi dove perdono la salute e le energie; se si ammalano, come di solito accade, si fanno pagare cibo e medicine a un prezzo esorbitante; il compito assegnato loro dura 18 ore, e se non lo completano, invece di essere pagati in proporzione al lavoro, non sono pagati affatto

    Un’altra dura testimonianza è quella dello storico Francisco María de León, quando afferma che, in questo senso, le Isole Canarie hanno sostituito le coste della Guinea: “Una volta arrivati al porto, i lotti dei lavoratori vengono messi all’asta, come se fosse un mercato di schiavi.

    La reazione logica di molti canari è stata quella di scappare.

    I giornali annunciavano le loro fughe e chiedevano la loro ricerca e la loro punizione, come se fossero schiavi fuggiti.

    Foto dalla pagina facebook Canary Islands Descendants Association-San Antonio

    E così, nel 1841, solo recentemente arrivati (in Venezuela), 84 isolani sono fuggiti.

    In quel secolo, l’emigrazione delle Isole Canarie era diretta principalmente verso Cuba, Venezuela e Uruguay.

    È stato quando abbiamo incrociato i dati demografici e statistici corrispondenti al XIX secolo che ci siamo resi conto dell’entità dell’evento.

    Il professore di Storia canario-americana, Julio Hernández, ci dice: “Cuba è, con una nota differenza rispetto ad altri luoghi, il Paese che accoglie più immigrati canari: (…)

    Nella seconda metà dell’Ottocento, tra i cinquanta e i sessantamila canari emigrarono nella Grande Antilla, compresa l’emigrazione clandestina”.

    E se ora prestiamo attenzione al ricercatore venezuelano, di origine canaria, Manuel Martín Marrero – che nella sua opera Canarios en América offre un resoconto dettagliato dei dati ufficiali del Registro dell’iscrizione degli emigranti in Venezuela, dal 1841 al 1893 – vediamo che in quei cinque decenni “circa 40.000 canari” sono entrati nel Paese dopo la sua emancipazione.

    Completiamo le statistiche con i dati da loro forniti e con i quali tutti gli storici concordano sull’Uruguay: “Più di 10.000 canari, principalmente da Fuerteventura e Lanzarote, sono entrate nel paese durante il XIX secolo”.

    Foto dalla pagina facebook Canary Islands Descendants Association-San Antonio

    Beh, sommando le tre cifre otteniamo un totale di… più di 100.000 persone!

    Numeri che mi sorprendono, il primo, perché stiamo solo paragonando l’emigrazione canaria a questi tre principali paesi riceventi americani, ma ce ne sono stati altri, come il Brasile, l’Argentina, gli Stati Uniti…

    E l’entità del fatto aumenta quando contrapponiamo queste cifre demografiche a quelle della popolazione che aveva allora il nostro arcipelago: nel 1802 le Canarie contavano 195.000 abitanti; e nel 1900 erano 360.000.

    Ciò significa che solo nel XIX secolo più di un terzo della popolazione canaria è emigrata in America!

    È vero che a volte trattiamo i dati storici con un po’ di leggerezza, e non ci rendiamo conto che, se non andiamo più a fondo, possiamo arrivare a conclusioni almeno sorprendenti.

    È bello conoscerli e diffonderli…

    dalla Redazione

     

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