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    La misteriosa San Borondon e Atlantide

    Questo mese l’arca del mistero torna a navigare nelle acque magiche e misteriose di un’isola mitica delle Canarie.

    I primi racconti basati su questa nostra sfuggevole isola risalgono a Tolomeo e Plinio, che le assegnarono il nome di Abrasitus (Luogo inaccessibile).

    Secondo questi scrittori e scientifici alcuni marinai dopo essere riusciti ad approdare sull’isola per poi ripartire carichi di viveri e acqua, hanno provato a tornare una seconda volta ma questo risultò impossibile in quanto l’isola si manteneva sempre alla stessa distanza.

    Le popolazioni  indigene delle isole hanno sempre inserito nelle loro tradizioni l’esistenza di un’isola posizionata tra La Palma, La Gomera ed El Hierro, ma non le avevano attributo nessun nome limitandosi a raccontare di un’isola che esisteva da sempre, dimora degli Dei e protetta da streghe volanti.

    In questo articolo però racconteremo l’esperienza di 4 persone avvenuta nella primavera del 1936.

    Una di queste persone è Pedro Gonzales Vega, un famoso scrittore spagnolo, sua moglie inglese figlia di un famoso scienziato e due amici pescatori abituati a navigare nelle acque canarie.

    Queste persone tutti gli anni avevano l’abitudine di navigare da isola a isola a bordo di una piccola barca con vele quadrate chiamata feluca. Arrivati tra Tenerife e La Palma entrano in una corrente sconosciuta che inizia ad allontanarli dalle isole, portandoli in una zona di mare coperta da nubi minacciose.

    Con molta paura e preoccupazione si trovano presto nel centro di una burrasca molto forte su un’imbarcazione decisamente non adatta ad affrontare la situazione.


    Quando ormai tutti gli occupanti consideravano di non avere più possibilità di evitare il fato, davanti a loro tra le onde si apre un tunnel apparentemente formato da acque vorticose.

    Entrando al suo interno il mezzo inizia ad aumentare la velocità e si vedono entrare dentro nell’oceano fino a quando al fondo di questo tubo misterioso vedono una luce e al proseguire distinguono un’isola piatta con spiagge chiare e due piccoli picchi che si elevano dal centro.

    Quando arrivano ad essere prossimi alla fine del tunnel possono osservare come l’isola si trovi circondata da una sorta di cupola cristallina che si apre parzialmente solo per permettere ai marinai di entrare al suo interno.

    Una volta approdati sulla spiaggia una voce dentro la loro testa li esorta a proseguire verso il centro dell’isola.

    Un fatto ancora più insolito ed inspiegabile fu che questa voce comunicava con ognuno nella propria lingua madre.

    Arrivati in una radura scoprono una costruzione in cui vengono invitati ad entrare e dove la voce spiega essere un luogo di decontaminazione.

    Al suo interno passano per varie stanze dove dei mezzi meccanici li spogliano, puliscono e disinfettano e alla fine gli consegnano dei vestiti molto attillati ma comodi.

    Alla fine del processo si trovano in presenza di un gruppo di persone e una di loro li informa che possono restare sull’isola qualche giorno ma che per alcuni impegni inderogabili si deve allontanare, ma li lascerà con un cervello artificiale in grado di rispondere ad ogni loro domanda provvedendo a tutte le loro necessità.

    Questa macchina straordinaria racconta loro che le tecnologie di cui dispongono sull’isola si trovano circa 2.000 anni avanti a quelle del mondo esteriore e che gli abitanti dell’isola sono i sopravvissuti dalla  distruzione di Atlantide.

    Sempre secondo questa macchina l’isola e le attrezzature sono frutto della collaborazione tra gli atlantidei e dei maestri provenienti dalle stelle.

    Gli abitanti dell’isola non vogliono che la si chiami San Borondon o Abrasitus o con altri nomi in quanto il nome che le hanno attribuito è Atlantaria.

    Dopo circa tre giorni dal loro arrivo, l’equipaggio viene invitato a tornare alla barca per poter tornare indietro in quanto le allineazioni permettono di farli tornare al punto dove erano stati prelevati.

    Usciti dalla cupola e tornati nel tunnel di acqua vengono avvolti da una fitta nebbia e al diradarsi scoprono di essere prossimi all’isola di La Palma.

    Questo è un piccolo riassunto dell’estesa narrazione, ma sufficiente per far nascere il dubbio che il mistero di San Borondon potrebbe essere molto più complicato da risolvere di quanto si pensasse.

    Vorrei sottolineare che nel 1936 non esistevano computer, robot e altre tecnologie di questo tipo, il che dà al racconto un valore ancora più importante.

    Loris Scroffernecher

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