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    La turistificazione secondo Ulisse

    La Divina Commedia appartiene alla famiglia dei libri più nominati che letti, complice il modo barbaro in cui ce la presentarono a scuola, quasi tutti ignorano che Dante fu un Julian Assange, un uomo coraggioso, moderno, scomodo.

    La differenza fra Dante e Assange sta nel fatto che Dante non coltivava l’illusione che i miliardari mai sazi di potere e prepotenza della sua epoca potessero essere puniti in questa vita e si limitò a mostrarceli in calzini e mutandoni in tutta la loro arrogante pochezza, puniti in un inferno metaforico, ma non adesso e non qui.

    In virtù di questo morì povero e in esilio ma si risparmiò il destino di Assange che, per mancanza di eroi disponibili a rovinarsi la vita per lui, morirà certamente in prigione, perché l’inferno di questo mondo è molto più incisivo e concreto di qualsiasi inferno dell’aldilà.

    La riflessione di oggi tuttavia, parte da tutt’altro argomento e da un solo verso della Divina Commedia tratto dal mio canto preferito, l’undicesimo dell’Inferno.

    E’ un verso in cui Ulisse, partito in guerra per difendere una terra di valori solidi, contadini e pescatori felici, produttori di valori e di sogni, torna dopo vent’anni e si riappropria di una terra in cui nessuno dei valori per i quali si è battuto è ancora in piedi.

    Vent’anni sotto il tacco dei Principi assetati di solo potere, indifferenti e sprezzanti rispetto alle tradizioni e ai valori di Itaca, hanno cambiato quella terra.

    I sudditi di Ulisse si accontentano che la guerra sia finita e mettono un giorno dopo l’altro senza cercare di dare a quei giorni un brivido, un sogno, un senso.

    Come dice Robert De Niro nel capolavoro di Sergio Leone, “C’era una volta in America, “vanno a letto presto”.


    Ulisse si trova all’inferno, per una colpa che non piace alla Chiesa cattolica del medioevo ma è in realtà il più grande pregio che si possa riconoscere a un uomo:  non è disposto a sopravvivere quieto e innocuo,  in attesa di morire.

    Ulisse rappresenta i valori di Dante stesso, i valori di chi rimanda al mittente la resilienza di Mario Draghi e paga pegno, ma si comporta da uomo dando forma al tempo in cui vive.

    Il verso con cui arringa sulla spiaggia i suoi vecchi compagni d’armi per metterli su una barchetta è bellissimo: “fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza “.

    Con quelle parole, carica un gruppo di sessantottini che hanno conosciuto Woodstock, l’occupazione delle scuole e delle fabbriche, le botte ad armi pari con la polizia nei giorni in cui si moriva da tutti e due i lati, il grande giornalismo, le scuole di partito, l’impegno politico come fede.

    Li strappa dal torpore di un ritorno in una realtà in cui ci si aspetta che si comportino da clienti disciplinati della bottega del mondo.

    Sono passata per caso su quel verso l’altro giorno e mi ha colpito la sua allucinante attualità.

    Leggevo un bellissimo articolo sulla trasformazione dei centri urbani, specie quelli ricchi di storia, in vetrine per turisti in cui si promuove la depopolazione del tessuto sociale con radici, quello che si riconosce nei monumenti, nelle opere d’arte, quello che produce opere frutto del talento individuale, opere del piccolo ingegno individuale, differenti in ogni luogo, perché frutto di sensibilità diverse.

    Si chiama TURISTIFICAZIONE, è la superficializzazione del contenuto storico dei monumenti che debbono essere  fotografati, non studiati, mentre le dimore storiche debbono essere suscettibili di modifiche aggressive per aumentarne la ricettività.

    Il tessuto economico deve essere miscelato come si faceva da bimbi con i colori della plastilina e ridotto ad un unico ammasso senza chiara determinazione.

    I costi, debbono salire alle stelle all’interno di pochi mostri mangiatutto che monopolizzano l’offerta di prodotti di massa, uguali ovunque, che chi passa e va un poco vuole comprare, un poco deve comprare, perché non può fare altrimenti.

    La movida deve diventare un diritto per dare il colpo di grazia al passaggio obbligato da residenti a transitanti bisognosi di un ricordo,  di un post a effetto per i social.

    Per i residenti, coloro che hanno un legame di tradizioni e emozioni con la connotazione del luogo in cui sono nati, sorgono ghetti residenziali un poco fuori città, la festa grande dei palazzinari, muniti come è d’obbligo di una città mercato, un distributore, e un burgherlandia perché la spartizione della preda avviene così, a ognuno la porzione sua.

    La trasformazione bilaterale dell’uomo cliente a quel punto è compiuta: la sola azione sociale consentita, è il consumo.

    L’appiattimento della varietà della democrazia appiattita in feedback a senso unico fra i produttori di beni di consumo e i clienti residenti in casa propria e clienti itineranti ognuno nella città dell’altro.

    Privati in assoluto dello spazio urbano e vitale per seguire virtute e conoscenza, disciplinati nello spazio di un consumo senza fine, fatti, per dirla con Dante, per viver come bruti, pronti per essere trasformati all’occorrenza in qualcos’altro, perché privati della motivazione e dello stimolo a salire in 8 su una 500 e andare, bastoni  in mano, a liberare Assange. 

    Claudia Maria Sini

     

     

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