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    La situazione sta iniziando a cambiare e manca ancora un anno alle nuove elezioni

    Il maggio 2023 non è così lontano e molti hanno iniziato il conto alla rovescia.

    È il momento delle inaugurazioni, delle promesse, dei progetti, dei lavori, delle riparazioni di strutture in disuso da anni, delle assunzioni statali, ma soprattutto delle promesse!

    Tutti gli occhi sono ora puntati su un processo elettorale che si preannuncia entusiasmante, sia per le elezioni politiche che per quelle regionali e comunali, e i nervi sono a fior di pelle, perché per alcuni l’esclusione dalle liste può causare una forte depressione.

    Man mano che vengono annunciati i candidati nei diversi partiti politici, questi iniziano con le promesse, ma alla fine di tutta questa storia è il cittadino a decidere, anche se poi si fanno i patti per prendere le poltrone e spartirsi le posizioni.

    Se un padiglione viene ristrutturato e poi si rompe di nuovo, ed è ancora chiuso, è il momento di inaugurarlo senza problemi.

    Se si fa un lavoro su una piscina comunale e la si presenta come esempio al mondo con un impianto fotovoltaico ideale, ma dieci giorni dopo viene chiusa per la caduta di un muro, è il momento di accelerarne la riapertura.

    Se presentano un evento sportivo con 25 nazionalità, ci saranno mesi in cui si dirà che gli atleti che verranno sull’isola rappresenteranno il doppio dei Paesi, anche se nessuno controlla se sono davvero solo 50 gli atleti che sono venuti a trovarci.

    Ci saranno mesi di foto e ancora foto, più del solito, il che è già una follia, perché la maggior parte dei politici crede che apparire in una foto sia sinonimo di fare qualcosa, una filosofia che è totalmente fuori moda.


    Nei comuni, i residenti sanno bene chi si è occupato dei loro quartieri e chi no; mentre in altri ambiti l’onda vincente è legata al momento in questione, per cui ora arrivano i giorni e i mesi di silenzio, perché uno scandalo potrebbe determinare il futuro elettorale di molti.

    È arrivato il momento delle feste, dei concerti con le star dei media, degli eventi sportivi con personaggi importanti e dei tagli di nastro.

    Il governo delle Isole Canarie si è schierato fin dal primo momento a favore della lotta contro il cambiamento climatico.

    Lo ha fatto con una dichiarazione di emergenza climatica che a molti è sembrata esagerata, se non addirittura azzardata, visto che il nostro status di destinazione turistica ci impone di avere un’immagine il più possibile positiva nei mercati di provenienza dei visitatori.

    Ciò che manca perché questo discorso smetta di suonare allarmistico e acquisti peso è l’assoluta coerenza di tutti i pronunciamenti.

    Qui alle Canarie nessuno vuole guardare al passato, ma il devastante incendio di Gran Canaria, il fallimento di Thomas Cook, le terribili conseguenze della pandemia, il vulcano di La Palma, l’attuale invasione russa dell’Ucraina o il nuovo vaiolo delle scimmie non bastano a farci guardare al futuro con ottimismo.

    Negli ultimi due anni e mezzo di pandemia, il turismo è stato il settore dell’arcipelago più duramente colpito e più economicamente colpito dallo scoppio della crisi sanitaria.

    Le ondate successive ne hanno impedito la ripresa in diverse occasioni, come durante la scorsa stagione invernale, anche se sembra che ora, con l’avvicinarsi della stagione estiva, il volume degli arrivi di visitatori nelle isole si stia nuovamente avvicinando alle cifre pre-pandemiche, il che è senza dubbio un’ottima notizia per la ripresa economica del territorio.

    Secondo gli ultimi dati disponibili sul sito web di Promotur Turismo de Canarias per il mese di aprile, le isole hanno ricevuto un totale di 1,8 milioni di passeggeri, di cui 1,1 milioni provenienti da aeroporti stranieri, 386.704 da aeroporti continentali e 350.800 da aeroporti delle Canarie.

    Sebbene si tratti di dati generalmente buoni per il settore, considerando la situazione attuale, le cifre sono ancora inferiori a quelle registrate nel 2019, prima dello scoppio della crisi sanitaria.

    Purtroppo nessuno ha la risposta.

    Tra assalti alle capitali (o ai municipi), risse politiche (anche se oggi sono più frequenti, visto il livello dei nostri leader nazionali) e minacce di guerra tra Paesi, stiamo creando un “mondo meraviglioso” per il futuro.

    Non so se sia colpa della pandemia, ma secondo me siamo rimasti bloccati per troppo tempo ad assistere a una serie di eventi insoliti, passivamente e “stancamente”.

    La promessa che nessuno sarebbe stato lasciato indietro in questa crisi non è stata mantenuta.

    La libertà e l’indipendenza economica si ottengono con il lavoro e lo sforzo… almeno in generale.

    Se parliamo di libertà di pensiero, quella vera, non il programma politico, dobbiamo essere in grado di confrontare, di avere dei criteri.

    E questo deriva dalla cultura e dall’educazione.

    E questo viene dalla famiglia, dalla scuola e dai libri.

    Da qui si capisce che l’informazione non è la stessa cosa della cultura (quando mai? Raramente), che i dati non sono la stessa cosa di una versione veritiera e contrastata.

    Le nostre vite sono così stabulate o omologate che, forse, l’unico modo per essere liberi è rompere le catene che ci legano alla routine, all’accettato, al consolidato, alla rassegnata sopportazione, al guardare altrove, all’“andrà tutto bene”…

    Inoltre, non prendiamoci in giro: in questi tempi di politicamente corretto, libertà significa necessariamente diventare insopportabili agli occhi spaventati di chi ci circonda.

    Ci si sente meglio se facendo parte della sensazione di benessere della maggioranza.

    Le persone hanno paura di dissentire e spesso tacciono i loro pensieri se vedono che non hanno abbastanza sostegno al tavolo.

    Non credo che questa sia onestà, per quanto comoda possa essere.

    Forse dovremmo sacrificare ogni tentativo di uniformità, rinunciare al dogmatismo dei media, alla posizione rigida e alla consistenza vellutata del pensiero unico.

    Ma ci aspetta un anno divertente.

    Bina Bianchini

     

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