Credo che tutti abbiano ormai compreso che essere affetti da ipertensione arteriosa voglia dire avere un valore pressorio, cioè un valore di pressione all’interno del sistema vascolare, elevato rispetto alla media di tutti gli individui della stessa età e con le medesime patologie.
È difficile poter affermare quali siano i valori normali della pressione arteriosa poiché in ciascun paziente possono essere differenti; io sono solito affermare che: il miglior valore pressorio per ciascuno di noi è il più basso che garantisca uno stato di benessere fisico.
Questo perché il flusso di sangue all’interno delle arterie genererà, nel tempo, un lento ma costante deterioramento della loro parete. Questo danno sarà proporzionale al valore medio della pressione che vige in quel vaso e, pertanto, più bassa sarà la pressione e migliore sarà la conservazione dell’integrità strutturale e della funzionalità vascolare.
Naturalmente il valore pressorio inciderà sul flusso sanguigno nei vari tessuti e tale flusso sarà tanto maggiore quanto più elevata è la pressione. Scendere troppo nel valore pressorio potrebbe creare una diminuzione del flusso specie se i vasi sanguigni fossero già deteriorati (rigidi o ostruiti). In tali condizioni si potrebbero generare sintomi come astenia (fiacca), malessere generale, sbandamento, vertigini, caduta a terra per collasso cardio circolatorio; potrebbero, altresì, essere favorite l’insufficienza renale e la cardiopatia ischemica.
In alcune patologie come nello scompenso cardiaco, viceversa, sarà necessario mantenere una pressione arteriosa piuttosto bassa per evitare che il cuore, aumentando il suo lavoro, possa soffrirne: il lavoro di quest’ultimo dovrà essere bilanciato al fine di garantire un’adeguata circolazione sistemica senza determinare ristagno polmonare.
In alcuni casi potrà essere arduo il compito del medico per definire quale sia il valore ottimale della pressione arteriosa per quel singolo paziente dovendo far sì che venga raggiunto un corretto equilibrio capace di evitare l’insorgenza di sintomi.
Sicuramente molti di noi sanno di essere affetti da ipertensione arteriosa; molti sono anche consapevoli di avere una familiarità per tale patologia in quanto erano o sono ipertesi i genitori, i nonni, i fratelli e via dicendo.
Altresì, probabilmente tutti sono consci del fatto che avere la pressione alta vuol dire essere più esposti al rischio di eventi acuti quali infarto miocardico ed ictus cerebrale ma, ciò non implica la certezza di uno di tali eventi.
La probabilità aumenta se dovessero coesistere altri fattori di rischio come il diabete mellito, l’aumentata colesterolemia, la sedentarietà, l’obesità e l’abitudine tabagica (fumo di sigaretta).
Nella gestione dello stato ipertensivo due sono gli attori, il Medico ed il Paziente, che debbono costantemente interagire per ottimizzare i risultati e raggiungere l’obiettivo finale rappresentato dallo stato di benessere protratto nel tempo.
Il Medico dovrà farsi carico di essere sempre presente per supportare il paziente dando a lui sicurezza. Dovrà, nel singolo caso, indicare se dare maggiore importanza alla pressione massima (sistolica) o alla minima (diastolica) tenendo presente che, nel soggetto adulto e nell’anziano, è preferibile gestire la prima in quanto sarà proprio questa a poter creare i maggiori problemi in fase acuta. Nel giovane sarà necessaria una maggiore attenzione alla pressione minima capace di produrre danni a lungo termine. Compito del medico sarà anche quello di comunicare quali siano i valori pressori ottimali nel caso specifico, prescrivere i farmaci più adeguati dando indicazioni su quando e come assumere sia i valori pressori che le terapie consigliate, supportare il paziente nella gestione di eventuali crisi ipertensive. Dovrà orientare il paziente sullo stile di vita migliore da tenere e su come gestire i periodici controlli clinici che ritenesse utili o necessari. Saranno anche suoi compiti valutare l’opportunità di andare alla ricerca della causa scatenante dello stato ipertensivo e di verificare periodicamente la presenza di danni generati dallo stesso attraverso accertamenti quali Ecodoppler vascolare, Ecocardiogramma, Fondo dell’occhio, Esami Ematochimici, ecc.
Il paziente, a sua volta, dovrà seguire scrupolosamente tutte le indicazioni ricevute con particolare attenzione a quelle relative alle abitudini di vita: una dieta con poco sale da cucina e con un adeguato apporto calorico associata ad un graduale incremento dell’attività fisica potranno incidere sul controllo della pressione arteriosa anche perché agiscono sinergicamente nel favorire la perdita di peso. Analogamente dovranno essere seguite le indicazioni sulla gestione degli altri fattori di rischio, primo fra tutti l’abolizione del fumo di sigaretta, se presente.
Compito del paziente sarà, altresì, quello di controllare i valori pressori così come raccomandato sia nella tempistica che nelle modalità di rilevazione del dato; dovrà assumere con regolarità la terapia prescritta rivolgendosi al medico laddove dovesse notare la presenza di possibili effetti collaterali o un inadeguato controllo pressorio.
Sarà necessario, almeno nelle prime fasi di gestione della malattia, una stretta relazione tra il medico e il paziente affinché possa essere valutata l’efficacia del trattamento e la buona tollerabilità del farmaco.
Per concludere, il valore della pressione arteriosa va controllato e va tenuto a bada sia attraverso corrette abitudini di vita sia assumendo regolarmente la terapia farmacologica prescritta. Fondamentale sarà l’utilizzo degli apparecchi elettronici oggi disponibili sul mercato per un assiduo controllo dei valori che andranno registrati manualmente o, se possibile, in formato elettronico per essere mostrati periodicamente al medico di riferimento.
Tutto ciò potrà garantire il miglior controllo pressorio e, più in generale, potrà ridurre il rischio cardio vascolare con una lunga sopravvivenza e con un’ottimale qualità di vita.
dott. Mauro Marchetti