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    Dei vulcani e dei nomi: Tajogaite Vs Colonialismo Culturale

    Nell’estate del 1949, quando avevo nove anni, dovevo trascorrere le vacanze estive a Hoyo de Mazo.

    Questo è stato impedito dal vulcano San Juan.

    Mio padre noleggiò uno dei pochi taxi che aveva La Laguna in quel periodo – ricordo sempre quello di Jacinto “Capitán” e Julián Santana, che si fermava in Plaza de la Catedral – per andare di notte a vederlo dalla cima di El Sauzal, passando per La Garañona.

    Mio padre diceva che mia nonna Carmen è rimasta incinta dopo l’allarme Chinyero.

    Era, di fatto, un “figlio del vulcano” che mia zia Mercedes, sua sorella maggiore, ha visto.

    Quando, poco dopo l’inizio dell’anno scolastico, il 26 ottobre ’71, scoppiò la Teneguía, io ero il direttore della scuola secondaria di Los Realejos – ancora la “Sección Delgada” della scuola di La Laguna – e, con il permesso dell’ispettorato scolastico, presi la mia tenda e Juanita ed io andammo a La Palma per una settimana.

    Da Santa Cruz de La Palma, venerdì 29, siamo stati accompagnati dal nostro amico e collega Cándido Marante al ristorante La Parada a Fuencaliente.

    Abbiamo fatto scorta di cibo e acqua e caricato la nostra attrezzatura, siamo scesi il più vicino possibile al vulcano incipiente, tra i tremendi ruggiti e i pennacchi di fumo e cenere con cui ci minacciava.


    Siamo rimasti lì, scalciando fino in fondo, a guardare l’avanzata della colata lavica fino a quando l’abbiamo vista entrare in mare.

    I palmeros, nelle vicinanze, si affrettavano a raccogliere l’uva, la squisita malvasia e qualche negramolo.

    Abbiamo aiutato un po’ in questo raccolto frettoloso, soffiando via la graniglia e la cenere per mangiare quegli acini, quelli più vicini alla lava, con il nuovo sapore che gli ha dato Teneguía.

    Noi due, in piedi da soli davanti alla colata lavica e guardandola avanzare, incendiando la rada vegetazione davanti, e cavalcando sulla sua schiena infuocata, enormi blocchi fumanti che navigano nella lava, è qualcosa che è impossibile da dimenticare.

    I gas erano scarsi, ma, inoltre, siamo stati sempre molto attenti a tenere il vento alle spalle – consiglio di Telesforo Bravo – una svista che è costata la vita all’unica persona morta nell’eruzione, un turista.

    Era un vulcano sperimentale gentile, quasi giocattolo, non popolato, anche se rovinava splendidi vigneti, compensati dalla striscia di terra che veniva recuperata dal mare.

    Sono riuscito ad accendere una sigaretta nella lava che era appena passata.

    Quando scoppiò il vulcano Tajogaite, pensai di andare a vederlo come avevo fatto con Teneguía.

    Un paio di giorni dopo, vedendo dove stava andando la colata lavica, conoscendo la zona e avendo molti amici nella zona, ci ho pensato.

    Ho visto le frettolose fughe forzate a causa dell’avanzata delle colate laviche, ho conosciuto l’angoscia, più dura della paura, di coloro che si lasciavano alle spalle tutta la loro vita, i loro ricordi familiari, le loro case e fattorie costruite con tanta fatica, inghiottite dal fiume in fiamme, e ho capito che non avevo cuore di andare “da turista” senza poter aiutare minimamente perché, se c’è qualcosa che perdona meno della lava, è l’età che ci priva della nostra forza.

    Sono rimasto a casa a guardare la TV e Involcan.

    Sono proprio la televisione, la radio e i media spagnoli in generale che, nel dolore del dolore altrui che diventa il mio, mi provocano un’indignazione ottusa, un’indignazione di basso livello se paragonata alla vera sofferenza umana della Valle di Aridane.

    È la nomina esogena permanente, che anche i media canari come Radio Club e il suo annunciatore creolo Puchi Méndez assumono nella propaganda dei loro “Teides de Oro”. 

    Hanno insistito per chiamare il nuovo vulcano VOLCÁN CUMBRE VIEJA.

    Fortunatamente, il presentatore della cerimonia di premiazione ha reagito e l’ha chiamato TAJOGAITE.

    Spero che Nemesio, di cui apprezzo la dedizione, raccolga il testimone, che, da quanto mi hanno detto gli amici palmeros, è quello che sperano e desiderano.

    Nelle foto satellitari si può vedere tutta la catena montuosa a sud che parte dalla Caldera con i numerosi vulcani che la coronano.

    Questo evidenzia l’assurdità della nomenclatura che vogliono imporci.

    Che sciocchezza! Perdonabile nei media spagnoli per la loro radicale ignoranza della nostra realtà, ma non nei media spagnoli.

    La Cumbre Vieja è un’intera catena montuosa che va da La Caldera e Cumbre Nueva fino alla punta meridionale di Fuencaliente, una zona che occupa un terzo della superficie dell’isola.

    In questa catena montuosa, dichiarata come PARCO NATURALE CUMBRE VIEJA, hanno avuto luogo TUTTE le eruzioni vulcaniche conosciute di Benahoare, come quelle di Birigoyo, Nambroque, Tacande, Tahuya, El Charco, San Antonio, Malforada, San Juan con le sue tre bocche di El Duraznero, Llano del Banco e Hoyo Negro e così via fino a Teneguía.

    Erano tutti UN vulcano a Cumbre Vieja, come quello attuale TAJOGAITE, ma nessuno di loro è IL vulcano Cumbre Vieja.

    Ancora una volta, il colonialismo culturale spagnolo, di fronte all’apatia e al disinteresse dei criollos “difensori” della propria identità, ci ruba persino la nomenclatura.

    Francisco Javier González

    (Tradotto da La Redazione)

    Canarias a 11 de diciembre de 2021

     

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