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    Quando i combattimenti tra cani erano solo spinte e spettacolo

    La presenza del cane per i lavori nei campi dell’isola (pascolo, allevamento del bestiame, sorveglianza delle fattorie) ha svolto un ruolo anche nelle relazioni tra vicini e villaggi.

    A metà del XX secolo, soprattutto a Gran Canaria, l’amore per i combattimenti tra cani era una folle passione.

    Il cane da presa canario è una razza dall’aspetto nobile ma imponente, la cui attuale funzionalità è quella di guardia.

    Solo 50 anni fa era, fondamentalmente, un cane da combattimento, e con questa intenzione si facevano gli incroci: da un lato, il cane da presa canario arrivato dopo la conquista e i bardino di origine indigena che si prendevano cura del bestiame e degli allevamenti; dall’altro, i bulldog e, soprattutto, bull terrier che arrivavano nelle Isole per mano degli inglesi.

    Era un tempo in cui, senza televisione, il calcio veniva seguito alla radio e nei villaggi c’era la lotta canaria, la lotta dei galli e i combattimenti dei cani.

    Clemente Reyes, un allevatore di cani Presa Canario racconta che specialmente a Gran Canaria, i combattimenti tra cani erano una cosa molto comune, era una passione folle.

    A Las Palmas, negli anni ’50, ogni volta che si sentiva parlare dell’arrivo di una nave inglese, tutti correvano al molo perché l’equipaggio o i viaggiatori arrivavano con i bulldog o bull terrier e cercavano qualche cane per gli accoppiamenti.

    Spiega Reyes che per capire bisogna saper comprendere la cultura locale e lo spettacolo perché le lotte dei cani alle Canarie erano molto diverse da quelle selvagge che gli americani o gli olandesi fanno per scommettere.


    I cani si puntavano, si azzuffavano, ma quando i padroni vedevano che si facevano male, li separavano e il combattimento finiva lì.

    I proprietari stessi erano quelli che si preoccupavano maggiormente dei cani, perché il giorno dopo ne avevano bisogno per sorvegliare la casa o lavorare in fattoria.

    Amable Rodriguez il cui padre era molto appassionato di combattimento tra cani negli anni ’60, conferma che il cane da presa canario tiene la preda con i denti e non strappa.

    Gli scontri non duravano fino alla fine, tutti amavano il loro cane e quando stava perdendo, ci si fermava.

    Le lotte dei cani negli anni ’40, ’50 e ancora negli anni ’60 si svolgevano nelle fattorie oppure erano pubbliche e si tenevano davanti alla chiesa incluse nel programma di feste che il giornale annunciava.

    Francisco Saavedra Sosa ne sa molto.

    Suo padre, Francisco Saavedra Bolaños, conosciuto come Pancho Saavedra, era un allevatore di cani da presa a Gáldar con esemplari che divennero molto famosi nella lotta.

    Nel tempo gli hanno portato molti cani da altre parti dell’Isola e da Tenerife, per coprirli con i suoi campioni.

    Curiosamente, quello che Pancho Saavedra inizialmente cercava erano cani da guardia per la fattoria; negli anni ’40 il furto di mais era piuttosto comune perché c’era la fame, come pure lo era il furto delle cipolle che venivano portate via di notte.

    Allora al padre di Francisco fu dato un meraviglioso cane da presa di nome Grei.

    Il padre si fidava di quel cane e a quel tempo teneva il miglio sul terreno ad asciugare per poi sgusciarlo nel pagliaio.

    Grei si stendeva nel pagliaio su una stuoia in cima all’aia.

    Una notte il cane lasciò entrare nella fattoria Juan Sosa, un amico di Pancho che invece di andare a casa sua a La Montaña, dormiva lì.

    Quando Pancho chiese con stupore da che parte fosse entrato e quello gli rispose attraverso la porta e il cane non gli abbaiava addosso, Saavedra iniziò a cercare un sostituto.

    Gli dissero che Francisco Monzón ne aveva uno a La Montaña, al quale lanciava il cibo da lontano perché non ci si poteva avvicinare per quanto era cattivo.

    Saavedra ci andò e gli offrì uno scambio.

    Il vicino gli risponde che quel cane gli era stato portato da La Aldea perché aveva morso il proprietario, al quale era stato dato quando era un cucciolo perché a soli tre mesi aveva morso un bambino.

    Il ‘Bicho’ era davvero cattivo e il nome già diceva tutto.

    Il figlio di Pancho Saavedra ricorda che lo scambio ebbe luogo e Pancho Saavedra portò via il cane legato e con un pezzo di carne in bocca.

    Quella notte gli diede da mangiare legato con una catena fino a quando il cane, brontolando minaccioso fece sapere che era stufo.

    Poi l’animale saltò in faccia a Pancho che lo aspettava, lo colpì con la catena sulla groppa e gli gridò: “Io sono il tuo padrone!” e quelle parole bastarono perché gli fosse fedele fino alla morte.

    La fama e la ferocia di Bicho si diffusero in tutta l’isola.

    Veniva sfidato nel combattimento, da cui è sempre uscito vittorioso, anche di fronte a cani da presa di 50 chili quando lui ne pesava appena 30.

    Racconta Francisco che un pomeriggio videro arrivare alla fattoria una folla, perché ai vecchi tempi i muri erano bassi e si vedeva fuori.

    Erano gli anni ’40 e lui e suo fratello Pepe erano bambini.

    Ricorda che un certo don Ricardo, un uomo con fattorie in Juncalillo e molta altra gente erano andati per vedere il combattimento dei cani.

    Il padre era già sceso con Bicho, legato con una corda, lo sciolse cinque metri prima in modo che il cane, con l’impulso, si lanciasse sull’altro.

    Lo sciolse, si lanciò, l’altro cane cadde e continuarono ad andare in giro uno sopra l’altro, fino a che quel cane non iniziò a guaire.

    Il compito principale di Bicho, comunque, era ancora quella di fare la guardia alla tenuta.

    Pancho aveva un albero di fico sotto il quale la gente passava e prendeva un frutto, ci legò il cane intorno e i fichi tornarono a cadere marci a terra.

    A causa delle frequenti rapine nelle fattorie della zona, giravano le guardie giurate in uniforme con un moschetto. Pancho aveva il suo Bicho, ma lo avvertirono di stare attento perché le guardie avevano paura di quel cane.

    Poco dopo, Bicho morì dissanguato con lo stomaco perforato: era stato nutrito di carne con vetri rotti.

    Dice Francisco di non aver mai visto suo padre piangere come quella volta.

    Quel cane era stato come un figlio per lui.

    Ci sono stati anni in cui i cani da presa stavano scomparendo, tutti preferivano il pastore tedesco o cane della polizia, come lo chiamano qui.

    Pancho continuò ad avere cani per tutta la sua vita, soprattutto il presa canario, e per alcuni anni ancora partecipò ai combattimenti.

    Il più memorabile fu con il famoso Nerone, un presa gigante di 72 chili – fino a quando alla fine li lasciò.

    Claudia Di Tomassi

     

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