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    Spagna, El Dorado per la mafia italiana che immette droga sul mercato

    Dopo che per anni i giudici e i pubblici ministeri italiani hanno affermato che la Spagna è il vero paradiso per la mafia italiana, il generale Giuseppe Governale, responsabile della DIA, ha rilasciato un’intervista nella quale analizza il fenomeno.

    Il Generale Governale, nato a Palermo nel 1959, è responsabile delle unità di élite della anti mafia italiana, la DIA, e da buon siciliano vissuto in una terra che ai tempi è arrivata a negare l’esistenza di Cosa Nostra, ha coltivato un atteggiamento intransigente e rigoroso nell’affrontare un fenomeno radicato e diffuso quale quello della mafia.

    Come afferma nell’intervista, Governale racconta di come 50 anni fa in Sicilia si dicesse che la mafia non c’era, non esisteva, nonostante giudici e pubblici ministeri ne descrivessero nomi, fatti e ramificazioni.

    Ma la mafia, sottolinea, non è solo in Italia, è ormai ovunque, e in Europa, dove alcuni paesi ne negano l’esistenza soprattutto per comodità, ha comprato quartieri, edifici, resort, adattando il proprio operato alle potenzialità dei vari territori.

    In Spagna, secondo il Generale Governale, la mafia italiana è rilevante, insidiosa ma soprattutto silenziosa, poiché desidera che ancora si dica che, di fatto, non esiste.

    Il turismo è il principale mercato da cui attinge, come quello delle Isole Canarie e delle Baleari dove hanno radicato un business basato sul traffico di cocaina; la Spagna è come un check point sulla rotta della cocaina dall’America Latina verso l’Italia, la Germania e l’Olanda.

    Ma, ribadisce, se la droga è la prima risorsa per la mafia italiana, è il turismo il secondo business, nonostante la polizia spagnola lavori con il massimo impegno sul campo.

    Sarebbero necessarie nuove leggi, precisa, e un cambiamento sociale radicale, affinché non avvenga ciò che già è accaduto in altri paesi, dove la società si comporta come se la mafia non fosse presente.


    Un atteggiamento, questo, tipico dei paesi dove la mafia italiana ha messo radici ma che in Spagna è sintomo della mancanza di conoscenza del problema da parte delle autorità, che tendono quindi a sottovalutarlo.

    Sono nuove attualmente le amicizie tra Cosa Nostra in Albania, la Colombia dell’Europa, come viene descritta; le operazioni di polizia si sono concentrate su questo paese produttore di droga, senza mai riuscire a debellarvi le mafie italiane presenti.

    Il perché?

    Perché non sono criminali comuni, fanno parte di reti nate nell’Italia meridionale probabilmente nel 19° secolo e da allora hanno fatto affari con la politica, il mondo economico e quello imprenditoriale.

    Del resto, sottolinea Governale, la mafia ha una peculiare abilità che è quella di adattarsi velocemente, è un autentico camaleonte che rapidamente è in grado di cambiare aspetto, così come si è assistito in Italia.

    Il fascismo, afferma il Generale, dovrebbe servire da esempio.

    Nel 1930 Mussolini pensava che il fenomeno della mafia potesse scomparire solo ricorrendo a misure forti e funzionò: la mafia ricadde su sé stessa, si indebolì, si registrarono meno omicidi e sembrò, per un periodo, che tutto si fosse ridimensionato.

    Con l’arrivo degli alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, si creò un ponte immaginario con gli Stati Uniti, dove la mafia emigrò facendo fortuna.

    Un altro aspetto di fondamentale importanza è il rapporto della mafia con la politica, con cui ha saputo intrattenere rapporti più o meno continui.

    Negli ultimi 18 mesi ci sono stati 37 consigli comunali italiani le cui amministrazioni sono state sciolte a causa dell’infiltrazione della mafia e, fatto nuovo, di questi 37 comuni la maggior parte si trova al nord e non al sud come si possa immaginare.

    Per fare un esempio, in Liguria ci sono 4 cellule della ‘ndrangheta.

    Il Generale analizza poi un’altra peculiarità della mafia italiana che la distingue ad esempio dai cartelli dei narcotrafficanti del Messico: le varie organizzazioni mafiose non si fanno la guerra, stringono accordi non scritti e si suddividono la torta per non alterare gli equilibri.

    Dopo il 1982, quando lo Stato italiano ha risposto agli omicidi di Falcone e Borsellino con una grande operazione in Sicilia, la mafia ha capito che era ora di svolgere la propria attività in silenzio per non attirare l’attenzione di media, polizia e giudici, un po’ come sta accadendo ora in Spagna.

    La vera difficoltà oggi è con la ‘ndrangheta che, caratterizzata da rapporti basati su legami di sangue, ha pochi pentiti e rende molto arduo il lavoro di coloro che indagano.

    Cosa Nostra si identifica invece con i territori nei quali opera, come Porta Nuova, Palermo Centro, Brancaccio, Pagliarelli, e non con i cognomi di chi è al vertice, come nella ‘ndrangheta, con i vari De Stefano, Tigano e Molé.

    dalla Redazione

     

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