Dopo l’elezione di Robert Francis Prevost a Papa Leone XIV naturalmente si è discusso molto dell’aspetto religioso del Papato, ma non tutti ne conoscono il lato temporale; parlando del quale però non rievocherò argomenti controversi di alta o bassa finanza, né atti impuri commessi da ecclesiastici di vario grado, né l’enigma delle due adolescenti Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi (quest’ultima figlia di un dipendente del Vaticano, di cui per questo era cittadina), misteriosamente scomparse a Roma senza lasciare traccia, a distanza di poche settimane l’una dall’altra, tra maggio e giugno del 1983… argomenti sconvolgenti e dolorosi, di cui altri hanno già discusso abbondantemente nei decenni passati e molti ancora discuteranno in futuro.
Invece oggi approfondirò una peculiare anomalia del Vaticano: infatti il Papa – unico esempio nel mondo moderno – oltre ad essere il capo spirituale di una religione con centinaia di milioni di seguaci in tutti i continenti è contemporaneamente il monarca temporale di uno Stato terreno con tanto di confini e un seggio di osservatore nell’assemblea delle Nazioni Unite; questo Stato possiede anche una sua Banca nazionale (l’Istituto per le Opere di Religione, o IOR), che ne amministra il patrimonio e ne cura le transazioni finanziarie; un piccolo esercito di 135 soldati svizzeri comandati da un colonnello, comunemente detti la Guardia Svizzera o ufficialmente in latino Cohors Pedestris Helvetiorum, presenti non solo nei cerimoniali pubblici dove sfoggiano i loro suggestivi costumi rinascimentali, ma anche più discretamente nei viaggi e spostamenti del Papa, di cui sono tenuti a difendere l’incolumità anche a costo della propria, ed armati non solo di medievali alabarde ma anche di moderne pistole, fucili d’assalto e mitragliatrici; la Pontificia Cohors Helvetica (altro suo nome latino) è composta esclusivamente da cittadini svizzeri di religione cattolica in ricordo del battaglione svizzero immolatosi nella strenua difesa di Papa Clemente VII contro i lanzichenecchi tedeschi dell’Imperatore Carlo V, che a maggio del 1527 misero Roma a ferro e fuoco; e il Vaticano possiede anche un corpo di polizia o Gendarmeria Pontificia, che conta nei suoi vari gradi 130 effettivi, e una magistratura con tre gradi di giudizio.
Di questo Stato, governato possiamo dire dittatorialmente, il Papa è il monarca assoluto, coadiuvato non da organi elettivi ma da un comitato di collaboratori politici e amministrativi – i Cardinali – da lui stesso nominati insindacabilmente e che alla sua morte (o alle sue dimissioni, come avvenne nel 2013) eleggeranno fra loro stessi, in impenetrabile segretezza di procedura e di motivazioni in una riservatissima riunione chiamata Conclave, il suo successore.
Infine il Papa nomina a sua discrezione i vertici degli organismi militari, investigativi e giudiziari pontifici che citavo poco fa.
Ma come si è creata nel tempo questa struttura statale e organizzativa…?
Vediamolo.
Lo Stato Pontificio, o Stato della Chiesa secondo il suo nome ufficiale fino al 1815, per 11 secoli abbondanti esercitò – con pochi intervalli dovuti a brevi rivolgimenti storici – il potere temporale su una vasta estensione dell’Italia preunitaria e influì enormemente sulla storia non solo religiosa ma anche politica e militare del continente europeo: infatti nei secoli medievali e rinascimentali quasi tutti gli Stati europei erano governati da regnanti cattolici su cui il Papato esercitava una potente autorità morale e pratica, minacciandoli con la scomunica, ossia con la micidiale espulsione dalla comunità dei fedeli di Cristo, che inoltre ipso facto scioglieva i sudditi dal giuramento di fedeltà al sovrano; e in quanto interprete supremo della volontà divina il Papa aveva anche il potere, sovente esercitato, di concedere dispense matrimoniali a monarchi e principi che per stringere alleanze dinastiche, o semplicemente perché la desideravano, avevano necessità di contrarre un’unione per qualche motivo normalmente illecita; e naturalmente i Papi potevano favorire col loro prestigio, alleandovisi, l’uno o l’altro Regno o dinastia in lotta per il predominio europeo.
Convenzionalmente si fa risalire alla cosiddetta Donazione di Sutri, con cui nel 728 il re longobardo Liutprando donò a Papa Gregorio II la piazzaforte di Sutri che presidiava la Via Cassia, l’inizio del potere territoriale del Papato, che nei decenni successivi si estese progressivamente inserendosi nelle lotte tra l’Impero greco-bizantino e il Regno franco per il predominio sull’Italia.
Papa Stefano II legittimò il dominio del re franco Pipino sulla Gallia in cambio di generose donazioni al Vaticano di territori italiani strappati ai bizantini: l’Esarcato di Ravenna, la Pentapoli (in greco: “le 5 Città”) marittima di Rimini, Pesaro, Ancona, Fano e Senigallia e l’altra Pentapoli montana di Gubbio, Cagli, Urbino, Fossombrone e Jesi.
Il figlio di Pipino, l’Imperatore Carlo Magno, imitò il padre donando progressivamente al Pontefice parti dei Ducati di Benevento e Spoleto e della Tuscia, tra cui Viterbo, e vari territori del basso Lazio e della Campania tra cui Capua, Sora e Teano.
Ometto, mancandomene il tempo e lo spazio, la lunghissima storia delle alternanze di amputazioni e ingrandimenti dello Stato della Chiesa nei continui mercanteggiamenti, guerreggiamenti e alleanze tra Papi e Imperatori susseguitisi nei secoli, di cui chi vuole potrà trovare in internet esaustive cronache… e saltiamo direttamente alla metà del XIX secolo in cui lo Stato Pontificio, ripristinato dalla Restaurazione dopo le convulsioni dell’era napoleonica, comprendeva l’odierno Lazio, e costeggiando a est il confine con l’Abruzzo, allora appartenente al Regno di Napoli, scavalcato l’Appennino si estendeva nell’Italia centrale fino Mare Adriatico attraverso Umbria e Marche e infine, confinando a ovest con il Granducato di Toscana e i Ducati emiliani di Modena e Reggio e di Parma e Piacenza, occupava la Romagna e Bologna lambendo il Veneto allora appartenente all’Impero d’Austria.
I moti risorgimentali italiani inevitabilmente coinvolsero anche lo Stato Pontificio e nel 1849 le potenze cattoliche (Spagna, Austria e soprattutto la Francia) inviarono truppe contro la Repubblica Romana che aveva costretto alla fuga il Papa Pio IX… ma ormai gli eventi precipitavano e nel 1860 il Regno del Piemonte si annesse in rapide campagne militari, vanamente contrastate dell’esercito papalino, i territori pontifici della Romagna, dell’Umbria e delle Marche.
La svolta finale avvenne quando, sgretolatosi l’Impero francese di Napoleone III con la disfatta di Sedan contro la Prussia il 1° settembre del 1870, e quindi non potendo più lo Stato Pontificio contare su quella tutela diplomatica e militare, il Regno d’Italia si vide spalancata la porta per l’annessione anche del Lazio e di Roma.
Poche settimane dopo il tracollo francese, il 20 settembre 1870, dopo una resistenza simbolica delle truppe papaline che però costò la vita a una dozzina di zuavi pontifici e al maggiore Pagliari dei bersaglieri italiani, l’esercito sabaudo entrò in Roma ponendo fine a 11 secoli di potere temporale e territoriale del Papato; che tuttavia fu ripristinato nel 1929 con la restituzione dallo Stato italiano al Pontefice di un esiguo territorio comprendente anche Piazza San Pietro e la Basilica dello stesso nome, centro spirituale del Cattolicesimo mondiale.
Oggi chi a Roma da Porta Cavalleggeri entra in Piazza San Pietro attraversando il Colonnato del Bernini esce dall’Italia per qualche centinaio di metri, rientrandovi tra i negozi di cineserie pseudopapali di Via di Porta Angelica dopo aver riattraversato il lato opposto del Colonnato.
Conclusa questa sintetica storia dello Stato Pontificio spenderò qualche parola sul suo nuovo monarca, il secondo Papa extraeuropeo consecutivo (sarà un segno dei tempi…?) e il terzo in assoluto (il primo fu il siriano Gregorio III nel remotissimo 731).
Mi sembra presto per avallare affrettati giudizi sulla continuità o discontinuità politica e ideologica tra il gesuita Francesco I, al secolo Jorge Mario Bergoglio, e l’agostiniano Robert Francis Prevost o Leone XIV, laureato in matematica e filosofia e proveniente dallo stesso Ordine a cui apparteneva anche l’abate e scienziato Gregor Johann Mendel, codificatore delle leggi della genetica che portano il suo nome.
Leone XIV ancora non ha dovuto confrontarsi seriamente con le tematiche contemporanee più scottanti, e per ora quasi tutti un po’ volenterosamente lo trovano simpatico cercando di appropriarsene: progressisti e conservatori, sinistra e destra, che si affannano ciascuna a rivendicarne l’appartenenza al proprio campo ideologico; verrà sicuramente il momento in cui dovrà scontentare qualcuno, o forse anche tutti… anzi a me sembra che inevitabilmente abbia già cominciato.
Per il momento destra e sinistra entrambe citano a riprova del suo presunto orientamento ideologico a loro gradito l’Enciclica “Rerum Novarum” (cioè, traducendo liberamente dal latino, “Le moderne innovazioni”), emanata a novembre 1891 dall’ultimo Papa che prima del Cardinale Prevost assunse il nome di Leone; alla destra piace la critica che quell’Enciclica fa del socialismo e alla sinistra piace vedervi un embrione della “dottrina sociale della Chiesa”, ed entrambe – ognuna dal proprio punto di vista – danno per scontato che Leone XIV abbia assunto questo nome richiamandosi a quell’Enciclica del suo ultimo omonimo.
Ma chi dà quest’interpretazione della scelta del nome potrebbe anche sbagliarsi, perché nella storia spiccano anche altri memorabili Papi di nome Leone: uno – raffigurato da Raffaello durante il papato di ancora un altro Leone, il decimo della serie – secondo la tradizione con la sola forza dello Spirito Santo fermò Attila sul Mincio e salvò l’Italia dalle devastazioni dei terribili Unni; un altro Leone in cambio di cospicue donazioni territoriali, come ricordavo più sopra, il 25 dicembre dell’anno 800 nell’antica Basilica di San Pietro incoronò Carlo Magno a primo Imperatore del Sacro Romano Impero; ci fu il Leone che durante il suo pontificato ebbe l’ingrato compito di doversi opporre allo scisma di Martin Lutero; e infine il Leone XII che in pieno Anno Giubilare 1825 fece ghigliottinare in Piazza del Popolo due cospiratori carbonari.
Chiudo queste considerazioni su Papi e Papato con una mia riflessione già vecchia di qualche anno: secondo il Dogma dell’infallibilità papale (emanato da Pio IX nel 1870, cioè proprio nell’anno in cui l’invasione italiana cancellò il potere temporale dei Papi) il Rappresentante di Dio in terra è infallibile quando nell’esercizio di questa sua funzione di rappresentanza divina parla “ex cathedra” in materia di dottrina e morale; dunque ci si aspetterebbe da un’istituzione che si afferma di diretta emanazione divina che essa eserciti una sua influenza inevitabile e decisiva sulla morale e sul costume sociale di qualsiasi periodo storico; eppure la storia dimostra il contrario, cioè che è stata la Chiesa a essere costantemente influenzata dagli orientamenti e comportamenti dei diversissimi contesti sociali in cui si è trovata a operare nei suoi due millenni di esistenza, ai quali orientamenti e comportamenti umanamente e terrenamente il Papato si è sempre adeguato adottandoli e anzi interiorizzandoli: politicante e guerreggiante in prima persona nel Medioevo, corrotto nei costumi durante i rinascimentali secoli d’oro delle arti, e mandante dal 1796 al 1865 di 516 condanne a morte eseguite dal boia papalino Giovanni Battista Bugatti, popolarmente chiamato Mastro Titta.
L’ultimo ghigliottinato dal successore di Mastro Titta fu a luglio 1870, due mesi prima dell’invasione italiana, il brigante Agapito Bellomo, ma solo nel 2001 per decisione di Wojtyla la pena di morte fu ufficialmente abolita dalla legislazione penale dello Stato Pontificio.
Ma poiché i tempi cambiano e con essi le inclinazioni sociali, da qualche decennio, in un’ennesima mutazione di pelle, il Vaticano ha progressivamente assunto una postura vagamente socialisteggiante, indulgente e – per usare un aggettivo oggi diventato il prezzemolo di ogni discorso – “inclusiva” verso chi in secoli passati avrebbe – come universalmente si usava allora – spicciativamente processato, torturato per ottenerne la confessione o l’abiura e infine arso sul rogo o decapitato.
E, restando in tema di correlazioni e intrecci storici tra Papato e politica, c’è chi crede di vedere un’interessante coincidenza tra la recente elezione presidenziale di Trump e l’elezione a Papa di un suo connazionale… il tempo – o forse nemmeno quello – chiarirà se ci sia stata, ci sia o ci sarà una qualche correlazione tra le ascese dei due personaggi statunitensi – in elezioni tanto vicine nel tempo quanto abissalmente diverse nelle modalità – a capo dei due potentissimi imperi di Mammona e del Paradiso.
Francesco D’Alessandro