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    Un Gennaio intenso di pensieri ben pensati

    Condivido oggi le riflessioni più interessanti che ho letto e ascoltato in questo primo mese di un anno destinato a essere importante.

    Come percepirci in questo caos?

    Sollevati che i deliri di Davos abbiano un ostacolo delle dimensioni di Trump di cui preoccuparsi, senza confondere Trump con un eroe di Marvel, perché non lo è.

    Spaventati a morte dall’essere i cittadini di una Europa che a breve pagherà il prezzo di secoli di arroganza, avviliti per le scelte del governo italiano, campione di incassi al botteghino dell’opportunismo spicciolo.

    Sullo sfondo di queste pur valide osservazioni, il cambiamento macroscopico, come la fine o l’inizio di un’era glaciale, è considerato la fine dell’imperialismo e il ritorno degli imperi.

    Perché questo è.

    I soggetti del discorso sull’uomo stanno sulle dita di una mano e sono tutti d’accordo che le leggi del mercato abbiano soppiantato le leggi della fisica e siano divenute le colonne d’Ercole oltre le quali non c’è nulla. 

    Il capitalismo ipertrofico del 21° secolo si è ammalato della malattia del marxismo.


    La pretensione escatologica, l’intolleranza, la carente dimensione spirituale, appoggiata su un apparato burocratico enorme.

    Nell’assedio del capitalismo gentile, è caduta quella che Goethe chiamava l’ultima cittadella inespugnabile che ognuno ha dentro di sé.

    La rivoluzione green ha fagocitato l’ecologismo senza mettere in discussione il consumo e lo sfruttamento indiscriminato di risorse, lo ha solo reindirizzato. 

    Il femminismo new age consegna la gonna agli uomini e i guantoni alle donne, ignora le madri di famiglia monoreddito e non nomina primari donna negli ospedali.

    Lo smart working, racchiude le api operaie in confortevoli nidi in cui uno crede di lavorare mentre comodamente mette la lavatrice, mentre di fatto, anche quando mette la lavatrice, lavora anestetizzato da un ottimismo conformista senza sogni.

    I saggisti più brillanti che ho letto ultimamente, riflettono sul concetto di “dispositivo di controllo emozionale” o di “detonatore sociale”, come anestetico di massa dei nuovi imperi nascenti, che si prefiggono di raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo, evitando le rivoluzioni per non doverle soffocare.

    Tutto sta nel deviare la nostra analisi del perché ci risulti difficile essere progettuali e felici non permettendo che identifichiamo come colpevole chi detiene il potere.

    La verità è che il sapore di nulla che a volte ha la vita è nato quando siamo stati spinti a confondere gli ideali con i target e la realizzazione dei sogni con il soddisfacimento di desideri trasformati in bisogni.

    Siamo esausti prima di aprire gli occhi al mattino perché gli obiettivi dietro i quali ci affanniamo non sono i nostri ma quelli del mercato con la emme grande che alza la posta tutte le volte che diventiamo veloci abbastanza da avvicinarci a una meta.

    Il consumatore disciplinato corre sempre, non ha tempo per guardarsi intorno e rompere le scatole a chi pensa per lui.

    E’ qui che entra in gioco la pioggia incessante di  dispositivi capillari per la gestione emozionale.

    La filosofia da sei euro e  cinquanta vive il suo momento d’oro e non è un caso.

    Parlo del pasticcio new age che ha come valore sommo la resilienza, cardine massimo dell’addottrinamento del popolo mansueto e produttivo per il sistema.

    Siamo bombardati da stoicismo da Bignami,  feng shui scritto fen sciui, da manuali di auto aiuto e dalla stucchevole  mielosità del pacifismo dei vegetariani di Pasqua, da soul coaching dilettanti e ogni tipo di invito a dedurre che, se la soluzione è intima e individuale ci sono due pilastri stabiliti che non sono oggetto di discussione:

    1. 1. Il problema è intimo e non sociale, non sappiamo gestire la nostra vita.
    2. 2. La rabbia, la tristezza, la reattività, sono state messe al bando nel lessico, e quindi nel pensiero collettivo.

    E’ il colpo di genio del neoliberalismo woke che ha addormentato la sinistra e limato le zanne alla destra, offrendoci un lupo nuovo, col quale usciamo a passeggio volentieri, senza mettere il naso fuori dal ghetto emozionale in cui ognuno si prende cura solo di se stesso.

    L’immensa risorsa dei colori della libertà lascia così la tavolozza: l’ibridazione fra diversi, il contatto, il dialogo, la reattività, la rabbia, l’empatia, la collaborazione, lo sdegno, la riflessione critica, l’inventiva e lo spazio vuoto necessario per immaginare il nuovo… puff.

    In una nuvola di incenso e curry che nasconde il troppo pieno in cui viviamo sopportando, come in un ascensore affollato che non arriva mai.

    I virus di stato, rendendo il contatto pericoloso, danno un colpo all’acceleratore e creano microtraumi in cui insinuare nuove convinzioni.

    Suggerisco alcuni autori a chi volesse approfondire:

    Byung Chul Han, Carlos Javier Gonzalez Serrano, Pascal Chabot, Terry Egleton.

    L’ultimo in particolare ha scritto un libro stupendo che analizza la differenza fra l’ottimismo senza sbocco e la speranza. 

    Bellissimo. 

    Meglio della filosofia da €6,50 per uscire dal senso di vuoto.

    Claudia Maria Sini

     

     

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