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    La distopia non è un genere letterario

    Ovunque ci sono grandi manifesti che indicano la responsabilità di tenere il cellulare ben carico e consigliano di portare con sé una batteria esterna per evitare incidenti.

    Sono stato in una città dove per accedere alla stazione ferroviaria bisogna avere una carta bancaria. 

    Tutte le pareti dell’edificio sono in vetro e all’ingresso ci sono porte metalliche a tornello che si aprono solo quando si passa la carta su un lettore. 

    Se si è in possesso di un biglietto del treno, non si paga; se non lo si ha e si rimane più di un’ora all’interno della stazione, il costo è di 40 euro al giorno. 

    Anche all’uscita si deve strisciare la tessera. 

    All’esterno c’è un parcheggio per auto, moto e biciclette e un punto specifico per far scendere e salire i passeggeri (“Kiss & Ride”). Il tempo massimo consentito in quest’area è di due minuti.

    Tutto si svolge tramite app mobile, dall’acquisto dei biglietti all’ordinazione di cibo nei ristoranti della stazione. 

    Non ci sono biglietterie, ma solo un paio di macchine all’ingresso, alcune delle quali vendono biglietti del treno, altre panini e bevande da asporto. 


    Un paio di persone aspettano il loro turno, con il cellulare in mano. 

    Nessuno chiede documenti per entrare in stazione o in treno, non sembra essere necessario, sanno tutto, a partire dalle vostre coordinate bancarie.

    E non è nemmeno necessario avere una carta bancaria fisica, basta averla sul cellulare, nell’app della banca. 

    Non ci sono guardie e non si vedono molte telecamere di sicurezza, non c’è nessuno che chieda documenti per entrare in stazione o in treno, non sembra essere necessario, sanno tutto con i vostri movimenti bancari.

    Ovunque ci sono grandi cartelli che indicano la responsabilità di avere il cellulare ben carico e consigliano di portare con sé una batteria esterna per evitare contrattempi. 

    Se il vostro cellulare venisse spento, non potreste fare praticamente nulla, nemmeno uscire dalla stazione, anche se il contatore delle ore trascorse lì dentro resterebbe attivo. 

    C’è un numero whatsapp a cui si può scrivere per segnalare incidenti, ma non avete un cellulare, nessuno vi guarda, chi darebbe il proprio a voi?

    I contanti non servono nemmeno per andare in bagno. 

    All’ingresso dei bagni c’è un altro lettore di carte (90 centesimi di euro per l’accesso). 

    Lì incontro il primo essere umano che lavora nella stazione. 

    In realtà, è un umano che pulisce i bagni dopo ogni utilizzo. 

    È possibile scansionare un QR sulla porta di uscita della toilette e compilare un sondaggio per valutare le sue prestazioni.

    La vera distopia è lì, all’interno di quel cubicolo di vetro, e nessuno, tranne forse i senza carta, sembra notarla.

    Fuori, dall’altra parte del vetro, a sei gradi e al buio alle quattro del pomeriggio, ci sono i senza-carta. 

    Si riparano in strati e strati di cappotti, cappelli, guanti e coperte, seduti o sdraiati su cartoni e sacchi della spazzatura. 

    Alcuni rovistano nei bidoni dei ristoranti, altri guardano dentro. 

    Sembrano quasi spettatori di un film. 

    Le pareti di vetro della stazione sono uno schermo su cui possono osservare i passeggeri che si muovono nei corridoi, indossando cuffie wireless, trascinando le loro valigie a rotelle, mentre guardano i loro telefoni cellulari.

    Se i passeggeri girassero la testa per guardare fuori, sarebbe strano come se il protagonista di un film potesse vedere lo spettatore che lo guarda dall’altra parte dello schermo. 

    I senza-carta sono spettatori invisibili di un film muto. 

    In stazione non parla quasi nessuno e non ci sono annunci al pubblico. 

    Tutte le informazioni di viaggio appaiono, quasi istantaneamente, sullo schermo del cellulare, grazie all’applicazione mobile.

    Nessuno stacca gli occhi dal cellulare per un secondo. 

    Ci sarà chi legge le notizie o guarda le previsioni del tempo, chi guarda l’ultimo episodio dell’ultima serie o naviga sui social network ascoltando la musica scelta dall’algoritmo, chi sta pensando di lasciare X per smettere di fomentare odio e disinformazione, ma che differenza fa? 

    La vera distopia è lì, dentro quel cubicolo di vetro, e nessuno, tranne forse chi non ha la carta, sembra accorgersene. 

    La distopia non è un genere letterario.

    Liberamente tradotto

     

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