Domani 10 maggio, cadrà l’anniversario della nascita di Benito Pérez Galdós, lo scrittore canario ritenuto da alcuni il maggiore autore spagnolo di tutti i tempi dopo il padre della letteratura nazionale, Miguel Cervantes.
Mi è venuto in mente di commemorare con voi questo compleanno perché da circa un mese dedico i miei 20-30 minuti di lettura serale prima di addormentarmi al suo capolavoro, l’appassionante romanzo “Fortunata y Jacinta”, colossale non solo per la sua bellezza e profondità, ma anche per la lunghezza e la molteplicità dei personaggi, le cui complesse vicende si intrecciano in tanti romanzi incastonati nel romanzo principale ramificandosi, separandosi e ricongiungendosi – come negli stupefacenti intricatissimi arbusti che a volte fotografo nelle mie camminate nei sentieri montani di Tenerife – in un variegato arazzo magistralmente intessuto attorno al triangolo sentimentale tra il volubile Juanito de la Cruz e due donne di diversissima condizione sociale e psicologia, la moglie Jacinta e l’amante Fortunata, da lui conosciuta prima del matrimonio e poi riapparsa nella sua vita qualche anno dopo.
Consiglio vivamente la lettura di questo sfaccettato romanzo, scaricabile gratuitamente in internet da numerosi portali specializzati, non solo per i suoi meriti intrinseci, ma anche come utilissimo esercizio di piacevole apprendimento della lingua spagnola.
Dunque se ancora non lo conoscete vi presento Benito Pérez Galdós… nato a Las Palmas de Gran Canaria il 10 maggio 1843, ultimogenito dei dieci figli del colonnello dell’esercito Sebastián Pérez Macías e di Dolores Galdós Medina, “donna dal volitivo carattere” secondo le parole dello stesso Benito.
Erano altri tempi! e se i genitori non avessero insistito a procreare dopo i primi nove figli, né Benito né i suoi romanzi sarebbero esistiti…
I due fratelli maggiori Domingo e Sebastián emigrarono a Cuba quando Benito aveva appena cinque anni, e il nonogenito Ignacio, legato a Benito da particolare affetto, dal 1900 al 1905 fu Capitán General de Canarias (cioè Comandante generale delle forze armate isolane), lo stesso incarico assunto nel febbraio di 31 anni dopo dal Generale Francisco Franco, protagonista in quel fatale 1936 della rivolta contro la Seconda Repubblica, che dilagando dal nostro Arcipelago verso la penisola deflagrò la Guerra Civile spagnola.
Nel 1862 l’infatuazione del diciannovenne Benito per la coetanea cugina cubana Sisita – innamoramento malvisto dalla madre di Benito, Doña Dolores – fu il motivo dell’esilio a Madrid del giovanotto, ufficialmente per proseguirvi gli studi in legge ma in realtà per staccarlo dalla ragazza.
E da casualità nasce evento, perché senza quest’allontanamento forzoso forse la vita dello scrittore avrebbe preso un’altra piega… Sisita invece dopo la partenza di Benito per Madrid fu richiamata a Cuba dal padre – il fratello di Doña Dolores – che le aveva combinato il matrimonio con un ricco sessantenne, e successivamente rimasta vedova si risposò e morì di parto a 28 anni.
Nella capitale Benito strinse amicizia con lo scrittore Leopoldo Alas (noto con lo pseudonimo di Clarín), molto meno prolifico di lui anche perché morto ad appena 49 anni, ma comunque autore del capolavoro “La Regenta”, storia dell’irresistibile attrazione – vanamente mascherata da fervore religioso – tra il sacerdote Fermín de Pas e Ana Ozores, insoddisfatta vittima di un matrimonio di convenienza con il magistrato (il “Regente”) della fittizia cittadina dal nome molto simbolico di Vetusta in cui Clarín raffigura Oviedo, il sonnacchioso capoluogo delle Asturie di dove era originario.
Di questo penetrante racconto vi suggerisco sia la lettura che la visione della piacevole miniserie in tre puntate (con finale diverso da quello del romanzo) ricavatane dalla televisione spagnola e facilmente rintracciabile in internet digitando le due parole chiave: Regenta RTVE.
Pérez Galdós rimase sempre ostinatamente celibe, ma ebbe numerose relazioni passionali, la più nota delle quali con un’altra scrittrice tra le mie preferite, la gallega Emilia Pardo Bazán, il cui figlio primogenito Jaime fu fucilato durante la guerra civile da miliziani repubblicani della Federación Anarquista Ibérica… già, perché è opportuno ricordare che la “memoria historica” è una questione molto più sfaccettata di quella a senso unico attualmente propagandata. Jaime non era figlio di Benito ma del marito di Emilia, José Pardo, sposato da lei ad appena 16 anni quando lui ne aveva 19; all’epoca si imponevano questi matrimoni precoci quando i ragazzi erano stati, come dire… frettolosi.
Anche di Emilia posso raccomandarvi – sebbene con grave imbarazzo nella scelta dei titoli! – qualche lettura, dal notissimo “Los Pazos de Ulloa” al drammatico e amarissimo “Viaje de novios”.
Nelle sue lettere Emilia chiamava Benito con gli appassionati nomignoli di “monín”, “mi almita”, “miquiño mío”, “pánfilo de mi corazón” o “mi siempre amado”, impossibili da tradurre senza sciuparne il fascino.
Emilia rievoca in una lettera a Benito un impeto passionale che li travolse durante un percorso notturno in carrozza, in cui lei dimenticò nella vettura un indumento intimo: “Mi fa ridere il ricordo di quell’indumento… cosa avrà pensato il custode della Castellana quando l’ha trovato?”.
Di questi due straordinari autori, entrambi prolificissimi, fortunatamente mi rimane ancora molto da leggere!
Pérez Galdós come studente di giurisprudenza fu pigro e svogliato, tanto che nel 1868 abbandonò definitivamente l’università … dalla cronaca dell’allora giovane giornalista e suo amico Ramón Pérez de Ayala apprendiamo che a Madrid Benito visse a lungo in casa del cugino José Hurtado de Mendoza; si alzava all’alba e scriveva a matita – da lui ritenuta più comoda della penna da intingere continuamente nel calamaio – fino alle dieci, poi usciva a passeggio prestando orecchio alle colorite conversazioni dei passanti, che riproduceva nei colloqui dei suoi personaggi.
Non beveva alcolici, ma era un accanito fumatore di sigari.
Nel primo pomeriggio leggeva testi in spagnolo, francese o inglese, poi usciva di nuovo a passeggio per immergersi nella popolazione, distogliendosene solo se in città si teneva qualche concerto che da appassionato musicofilo non voleva perdere.
Era trascurato nel vestire e prediligeva i colori neutri, perché era timido e non gli piaceva attrarre l’attenzione.
Per conoscere nell’intimo la Spagna profonda la percorse in lungo e in largo in treni di terza classe, mescolandosi ai più diseredati e alloggiando in locande di infima categoria.
Nonostante il carattere schivo nel 1886 il politico Práxedes Mateo Sagasta, presidente di numerosi governi tra il 1870 e il 1902 e anch’egli suo amico, lo fece eleggere deputato del Partito Liberale per la circoscrizione di Guayama nella lontanissima isola americana di Puerto Rico allora possedimento spagnolo, in cui Benito non aveva né avrebbe mai messo piede… e la frequentazione del parlamento gli fornì un prezioso osservatorio di un altro e ben diverso spaccato della società spagnola.
Nel 1907 Benito fu eletto deputato di Madrid nel partito repubblicano, ma qualche anno dopo, disgustato dalla “farsa” della politica, se ne allontanò dedicando le ormai scarse forze ai suoi romanzi e commedie.
Leggiamo in Cánovas (1912), uno degli ultimi episodi della lunghissima serie storica Episodios nacionales: “I due partiti che si sono accordati per alternarsi pacificamente al potere sono due combriccole che aspirano unicamente a pascolare nel bilancio pubblico.
Non hanno ideali né alcun proposito elevato, non miglioreranno di un millimetro le condizioni di vita di questa poverissima e analfabeta popolazione.
Si daranno il cambio lasciando tutto così come lo trovano e ridurranno la Spagna a uno stato di consunzione che potrà concludersi solo con la morte… non creeranno altro che mera burocrazia, clientelismo, sterile accavallarsi di raccomandazioni, favori elargiti ai compari legiferando senza nessun beneficio, e avanti con gli inganni…”.
Ripeto la data di quest’amara riflessione: 1912. A me ricorda qualcosa di più recente, e non solo della Spagna… e a voi…?
I suoi ultimi anni furono amareggiati dalla progressiva perdita della vista e dalla povertà: non sapeva amministrare le sue finanze e nonostante il successo dell’amplissima produzione letteraria e teatrale non fu mai proprietario di un’abitazione e anzi si era enormemente indebitato per la sua debolezza di soccorrere chiunque, in difficoltà vere o presunte, gli chiedesse soldi; e quando lui stesso non sapeva come pagare i debiti si rivolgeva agli usurai, che azzannavano spietatamente la preda.
Racconta ancora Pérez de Ayala: “Era la vacca da mungere di tutti gli usurai e le usuraie madrileni…
Quando uno di quei viscidi e piagnucolosi strozzini gli presentava per la firma una delle sue diaboliche ricevute, in cui la consegna di cinquemila pesetas in contanti si trasformava come per magia in un debito di cinquantamila pesetas dopo un anno, Don Benito nascondeva con la mano sinistra lo scritto, senza nemmeno leggerlo, e firmava rassegnato.
E così gli interessi di questi debiti artificiosi bruciavano quasi tutte le entrate mensili che Don Benito percepiva dalla vendita delle sue opere.”
Nel 1913 perse completamente la vista e cominciò a soffrire di arteriosclerosi e ipertensione.
Il 20 gennaio del 1919 fu svelata nel Parque del Retiro a Madrid una sua scultura finanziata da una sottoscrizione popolare e Pérez Galdós, ormai cieco, si fece sollevare per palparla e pianse constatandone con le dita la somiglianza al proprio viso.
Quasi un anno dopo, all’alba del 4 gennaio 1920, morì a 76 anni nella sua abitazione in Calle Hilarión Eslava a Madrid.
Alle undici di notte di quella stessa giornata nel Patio de Cristales della Municipalità madrilena fu allestita la camera ardente, meta di un incessante pellegrinaggio di decine di migliaia di cittadini e visitata dal Capo del Governo e da cinque ministri.
Quella notte tutti i teatri di Madrid rimasero chiusi affiggendo il cartello “Rappresentazione sospesa” e lunedì 5 gennaio il feretro, scortato dalla Guardia Municipale in alta uniforme e accompagnato in triste corteo da una folla di 30.000 madrileni, si mosse verso il Cementerio de Nuestra Señora de la Almudena, dove ancora si trova la tomba dello scrittore.
Ma, come sempre accade a chi in qualche modo lascia in qualcuno un’impronta del proprio passaggio, Benito Pérez Galdós non è realmente morto… ogni sera prima di addormentarmi le sue parole risuonano in me, e risuoneranno ancora per molte settimane, sul filo delle vicende del fatuo Juanito de la Cruz, delle due nemiche Jacinta e Fortunata tanto diverse tra loro e da lui tanto diversamente amate, dell’instancabile benefattrice Guillermina Pacheco, di Doña Barbarita e di suo marito Don Baldomero, del loro fedele factotum Plácido Estupiñá, dello sventurato Maximiliano Rubín e di sua zia Doña Lupe, e di tanti altri personaggi con cui sfogliando le pagine stringerò appassionata amicizia – o magari inimicizia – nelle prossime settimane.
Vorrete conoscerli anche voi…?
Lo spero, ve lo auguro.
E il 10 maggio, carissimo amico Benito, incurante della voragine dei secoli ti rivolgerò per il tuo compleanno un pensiero affettuoso per tenermi ogni sera una così piacevole compagnia, sperando che da lassù, ovunque tu sia negli immensi spazi siderali, nove giorni dopo ricambierai l’augurio al tuo ammirato e grato lettore.
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