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    LAS LECHERAS, EROINE DIMENTICATE

    A dicembre terminai il racconto della nostra passeggiata nel sorprendente quartiere del Barrio Nuevo di Santa Cruz esprimendo l’intenzione di parlarvi del sentiero di Las Lecheras, dove quel giorno proseguimmo l’escursione, poi ripetuta qualche settimana più tardi per godere nuovamente dell’impressionante panorama aereo della capitale… chi volesse vederne le immagini le troverà nei due album fotografici dedicati alle “Lecheras” nella mia pagina di Facebook.

    Foto d’epoca dal gruppo Facebook:
    fotos de ayer y de hoy de las ocho islas canarias

    In quelle due occasioni mi ha affascinato ripercorrere – non solo fisicamente ma anche mentalmente – i passi delle lattaie e contadine di Anaga, umili eroine di un tempo dimenticato che per oltre cento anni, fino alla metà del secolo scorso, dopo la mungitura ponevano all’interno del cappello di paglia (la crema solare di allora…) un panno ritorto in uno spesso cerchio per ammortizzare il peso di qualche decina di chili della larga cesta di vimini contenente i bidoni di latte da vendere a Santa Cruz.

    Foto di Francesco D’Alessandro

    Con la pesante cesta del loro povero tesoro in equilibrio sulla testa, d’estate o d’inverno iniziavano ancora prima dell’alba il tragitto su quel ripido e scosceso sentiero, spesso scalze perché per le loro poverissime famiglie le scarpe erano un lusso da preservare gelosamente per le grandi occasioni… e qualche ora e molti chilometri dopo penetravano dal sentiero in città, schivando le garitte doganali che vigilavano le entrate stradali.

    Foto d’epoca dal gruppo Facebook:
    fotos de ayer y de hoy de las ocho islas canarias

    Vendevano il latte bussando di casa in casa, ma i clienti abituali avevano un bidone riservato con sopra scritto il loro nome, che la lechera gli consegnava pieno ritirando quello vuoto da lavare accuratamente prima del giro successivo.

    Ultimate le consegne le lattaie iniziavano sullo stesso sentiero, col loro magro eppure prezioso incasso custodito in una tasca cucita alla cintura sotto il grembiule, i lunghi chilometri di ritorno alle loro casupole, dove le attendevano le altre faticose incombenze giornaliere di un’esistenza tanto grama e dura che oggi nemmeno riusciamo a concepirla; poi tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 del secolo scorso i camion delle centrali del latte che facevano il giro delle stalle e i nuovi obblighi sanitari misero rapidamente fine alla secolare fatica delle lecheras.

    Foto di Francesco D’Alessandro

    Anche grazie alle loro sofferenze e sacrifici, che hanno nutrito generazioni intere, oggi le loro immemori bisnipoti e trisnipoti comprano i tetrapak di latte salendo in ascensore dal parcheggio del supermercato agli scaffali, con un occhio sempre incollato ai silenziosi messaggi digitali che lampeggiano dall’imprescindibile telefonino… ma le parole scambiate tra le Lecheras loro bisnonne e trisavole per farsi coraggio durante le lunghe ore di duro cammino sull’aspro e solitario sentiero, trasportate dal vento nel silenzio secolare dei monti attraverso i gorghi del tempo, ancora vi risuonano per chi – ripercorrendo i loro passi per diletto e non più per dura necessità – immagina di coglierne l’ormai fievole e indistinto sussurro.

    Francesco D’Alessandro

     


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