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    Lettera al Direttore

    Gentile redazione di Leggo Tenerife,

    mi chiamo Simone Sperduto, sono un connazionale residente in Spagna e ho avuto la disavventura di rientrare, ad inizio marzo, per una settimana a Roma in visita a parenti e amici.

    Quella che ho vissuto io, nel mio piccolo, è la storia di ordinaria follia che deve tollerare, più o meno quotidianamente, chi vive in Italia.

    Senza contare che, sempre in Italia, ci sono cittadini sospesi dal lavoro e senza stipendio da oltre un mese perché hanno scelto di non vaccinarsi: una vergogna inaudita, a loro va tutta la mia solidarietà.

    Tra l’altro se il sottoscritto avesse voluto esercitare, durante la vacanza romana, il proprio mestiere di giornalista – oltre a fare turismo – non avrebbe potuto in teoria accedere a molti luoghi, sia all’aperto che al chiuso, venendo così addirittura meno un diritto costituzionalmente garantito che è quello della libertà di informazione: ma ora ci arriviamo e spiego anche il perché avrei avuto – sempre in teoria – delle limitazioni.

    Premetto che sono vaccinato con doppia dose Pfizer dalla fine di luglio 2021 (vaccino effettuato a suo tempo in Italia ma con certificato “revocato” dal 1 febbraio proprio dall’Italia) e che pertanto al momento ho un certificato vaccinale perfettamente valido soltanto per l’UE; quindi non per l’Italia che ha deciso, con stravagante capriccio, di non allinearsi alla decisione presa dalle competenti sedi europee di uniformare la durata dei certificati vaccinali, derivanti dal completamento del ciclo primario: la durata è 270 giorni (9 mesi) dall’ultima somministrazione o dall’unica dose in caso di vaccino monodose.

    Dal 1 febbraio 2022, i certificati UE che hanno superato i 270 giorni dall’ultima dose devono essere riemessi dal Paese che ha effettuato la somministrazione del cosiddetto booster.

    Tutto questo, però, non vale nel regno rococò di Draghi-Speranza & company dove, per una sorta di solipsistica affermazione del ruolo dell’Italia nell’universo, vige una validità di 6 mesi per i certificati vaccinali da completamento del ciclo di vaccinazione basico.


    Da cui deriva che un cittadino – turista-giornalista – come il sottoscritto non avrebbe potuto avere accesso ai luoghi riservati ai possessori di Super Green Pass (ossia coloro che hanno il vaccino valido secondo le regole all’italiana o sono guariti) o ai luoghi ove previsto il Green Pass base, se non effettuando un tampone in entrambi i casi. Immaginate l’assurdo dispendio di tempo/denaro ogni 48 o 72 ore – a seconda che si volesse effettuare un tampone antigenico o molecolare – quando di fatto già si ha un certificato vaccinale che l’UE dichiara ancora valido.

    Quindi avrei potuto accedere a determinati luoghi previa effettuazione di tampone?

    Per coloro che arrivano in Italia da uno Stato estero, con certificato vaccinale riconosciuto ed emesso da oltre 6 mesi (o con certificato di guarigione), in teoria basterebbe un tampone.

    Ma siamo sicuri che questo sia valido per chi è cittadino Aire, con vaccinazione effettuata in Italia e certificato “revocato” quindi proprio dall’Italia perché superiore ai 6 mesi?

    E, soprattutto, vi sembra normale che vi sia questa distinzione tra chi vive in Italia e chi arriva dall’estero?

    Ora, secondo la logica del Governo italiano, un turista con passaporto comunitario dovrebbe preventivare che uno degli Stati membri interpreti in via del tutto unilaterale delle normative europee vigenti – che pure hanno una certa flessibilità – nonostante sia stata la stessa Europa a invitare tutti gli Stati membri a uniformarsi sulla validità dei certificati onde evitare discrepanze interpretative.

    Diciamo quantomeno che non ho potuto fare turismo liberamente: il semplice utilizzo di una metropolitana o il prendere un caffè in un bar era, per quelli come me, considerato off-limits stante doversi sottoporre a test e sperare che non ci fossero problemi con il Green Pass “revocato”.

    Ora, se questa è l’idea di fondo di libertà di movimento con la quale l’Italia intende invitare i turisti, ivi compresi i connazionali residenti all’estero, credo che il Governo italiano abbia una concezione abbastanza naif e ottocentesca di cosa sia il turismo: ci sono turisti stranieri che si sono imbattuti nelle follie all’italiana di questi mesi e che (oso immaginare) non vi torneranno.

    Tra l’altro è di queste ore l’indiscrezione secondo la quale dal 31 marzo, benché decada in teoria lo stato di emergenza sanitaria in Italia, il Green Pass probabilmente non cesserà di esistere all’istante ma solo in modo graduale.

    L’ultima follia l’ho dovuta riscontrare in aeroporto a Fiumicino al momento dell’imbarco per Madrid, dove degli addetti aeroportuali contestavano la validità del mio Green Pass: a quel punto ho dovuto pretendere dall’Italia che venissero applicate con rettitudine le normative europee vigenti a garanzia del mio diritto di cittadino Aire di rientrare nel Paese di residenza.

    Ovviamente la Spagna ha considerato valido il mio certificato vaccinale, senza alcun problema, sia all’andata che al ritorno.

    Se questa è l’Italia, signori miei, benedico il giorno in cui sono espatriato.

    E non vi nascondo che ricevo spesso messaggi in privato da parte di italiani, che vivono in Italia, che mi chiedono informazioni circa la possibilità di trasferirsi all’estero; penso sia il caso che la politica italiana cominci a valutare seriamente questi campanelli d’allarme.   

     

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