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    Patria tra patrie

    Anche qui a Tenerife non abbiamo potuto evitare di essere coinvolti nella stagione politica elettorale italiana, complice il fatto che sul palco di Vox, il partito di destra entrato da pochi anni nell’arco costituzionale del parlamento spagnolo, è salita Giorgia Meloni, in quanto leader del partito dei conservatori europei.

    Si sono mescolati così gli interessi di politica interna e locali con quelli globali e le bandiere di partito sventolano tra idee, miti e progetti condivisi fuori confine.

    I partiti di Spagna e Italia hanno presentato, chi su palchi di comizi chi su palchi di convention, la propria agenda politica per i prossimi anni.

    Tutte le forze vedono la democrazia minacciata.

    L’Europa vede la democrazia minacciata se una nazione ritiene la propria sovranità superiore a quella europea (la Polonia per esempio) e la Spagna vede minacciata la politica socialista del Psoe dal partito di destra, il fantasma del fascismo in Italia poi è un assunto sempre calendarizzato.

    La democrazia si ritiene tanto minacciata che il pericolo fascista torni in auge ovunque e in Spagna, dove la Meloni è indicata come erede mussoliniana, è tornato anche il termine socialdemocrazia.

    Negli ultimi anni la società democratica vantava l’immagine di se stessa come progresso, perfetto, buono e ottimo, insomma la cosa migliore che l’umanità potesse scegliere.

    La pandemia dimostrò che il nocciolo duro di ogni progresso è invece la parte più piccola che ci definisce, quella che non cambia: la patria.


    E su Patria era concentrato il discorso di Vox e di FD’I.

    Da quando Sanchez disse che Spagna è una Nazione dentro le nazioni, che ha varie patrie, senza neanche scomodare Ortega y Gasset con” España inverterbrata”, ma ammiccando ai catalani indipendentisti, soci di governo, l’allarme è scattato in tutte le forze politiche che vedono nella monarchia il punto nevralgico, fondamentale e custode della democrazia spagnola.

    Ovvio quindi che il termine patria sia tornato prepotentemente di moda nei discorsi politici che interessano la politica locale così come quella europea più estesa.

    I due paesi Spagna e Italia diventano affini nel processo politico che stanno vivendo.

    In Italia ricorrere alla patria significa difendere interessi contro politiche distruttive, in Spagna è qualcosa di passato e in entrambi i casi è mentalità fascista da cancellare.

    Ma c’è un pericolo fascista davvero in Spagna e in Italia?

    Nello specifico Sanchez, presidente del consiglio in Spagna, si crede erede legittimo dei fautori della democrazia spagnola, più volte lo rimarca nei suoi discorsi, e per tanto in diritto di governare secondo la sua democrazia, quella del Psoe o quella del sanchismo, come molti opinionisti, qui, iniziano ad evidenziare.

    Nella narrazione storica e nell’evidenza storica invece, eredi del periodo della transizione e della democrazia spagnola ci sono anche i politici cresciuti e formatisi democraticamente nelle file della forza politica della destra. Proprio la democrazia maturata negli anni in Spagna, dopo la morte di Franco, ha permesso in un governo l’entrata nel parlamento di una porzione importantissima di elettori: i votanti di destra.

    Ciò significa che la maturità di un popolo è tale da avere la parte e la controparte, una destra e una sinistra legittimamente eletti.

    Rappresentando di fatto, così, l’intera popolazione che vive in una democrazia.

    Le forze socialiste, di sinistra, che hanno più facilità nel formare gruppo intorno a temi caldi dell’attualità quali il cambio climatico, le politiche di immigrazione, i diritti delle minoranze, il femminismo, l’opportunità o meno della declinazione al femminile del linguaggio corrente, credono che, in quanto cassa di risonanza di queste tematiche, siedono dalla parte del giusto.

    Possessori del giusto, ritengono quindi i propri oppositori nel torto e meritevoli di essere silenziati con i mezzi che la democrazia offre: renderli cioè antidemocratici e indicarli come fascisti.

    E quando queste forze politiche parlano di patria di fronte a discorsi che snaturano e sono costrette a difendersi da un passato che non gli appartiene, le politiche della destra sembrano essere sempre populiste e peccano di poca visione futurista.

    Anche quando presentano nelle proprie convention le nuove prospettive, il nocciolo di fondo è sempre un nucleo che li definisce inevitabilmente conservatori, opposti a quei progressisti che si autodefiniscono oggi anche democratici.

    Anzi più democratici che mai, anzi di nuovo socialdemocratici.

    Assistiamo ad un conservatorismo nudo e crudo e ad una socialdemocrazia resuscitata.

    Uno dei due è atemporale e vizia l’indirizzo politico sociale che i partiti di governo prendono tanto in Italia come qui in Spagna.

    Ad alimentare la polemica ci si mette anche un premio nobel: invitato sul palco della convention del Partito Popolare spagnolo il nobel alla letteratura Mario Vargas LLosa (già candidato alla presidenza del Perù)  afferma che “importante in una elezione non è avere libertà di votare, ma votare bene”.

    Cosa voleva dire con questa frase shoccante?

    Che bisogna votare la democrazia, non votare qualcuno solo perché si è in democrazia e quindi uno qualunque tra i candidati perché in parvenza di democrazia, ma votare la democrazia che è rappresentata:  questo è votare bene.

    Ha alimentato di fatto la spinta a definirsi sempre democratici.

    Ma se la socialdemocrazia, lanciata così nel dibattito politico da Sanchez, oggi trova diritto di esistenza perché la democrazia è minacciata dal fascismo in quanto si esige patria, il rischio è quello che non si ha contenuti reali per governare.

    Se non si governa su realtà, il governo degenera.

    Per questo bisogna votare bene, e non cadere nei tranelli della falsa democrazia.

    Un pericolo che avverte Llosa sta passando nella comunità internazionale.   

    Esiste una mitologia che accompagna ogni stato nel suo sentimento nazionale.

    E il voler mettere nell’agenda politica il soggetto patria non è nostalgia, ma realismo storico.

    È necessità storica di fronte ad una azione politica che priva la società degli uomini di punti di riferimento immediati.

    Non c’è una nostalgia del tempo passato ma una identità che si vede defraudata.

    Non vale sostenere che il discorso di patria-nazione-sovranità ostacoli e fermi l’evoluzione della società democratica.

    Il discorso politico che proietta la parola patria al vertice dell’agenda politica dei partiti è un discorso che interpreta l’humus del popolo, che ragiona sulle esigenze e che cerca di mediare nell’universalismo politico con le forze opposte.

    La politica degli stati è tale che diventa sempre più frequente, oggi, conoscere i leader, i progetti e i temi dei partiti delle altre nazioni.

    La conoscenza diretta delle problematiche locali degli altri stati, dei soci oltre confine e il dibattito che ne segue è la testimonianza più netta di come agisce il globalismo politico.

    Per questo motivo il rilancio del tema Patria è importante.

    Da non archiviare come nostalgico o come discorso mitologico di un tempo che fu e che non deve tornare.

    Patria oggi, nelle agende politiche dei partiti del 2022 è il punto fermo che non va in deroga a nessun opportunismo politico.

    Giovanna Lenti

     

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