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    Giganti caduti

    Ricordate quando (non secoli fa, sono passati pochi anni!) portavamo al negozio il rullino di fotografie da sviluppare e un paio di giorni dopo andavamo a ritirare le stampe, che dopo aver scartato quelle sfocate, storte o col dito nell’angolo (ma ugualmente pagate) inserivamo con cura nelle pagine del voluminoso album da sfogliare quando avremmo avuto nostalgia di quei momenti…?

    Ricordate i marchi di quei rullini di pellicole, che producevano anche le macchine fotografiche in cui inserirli…? L’americana Kodak, identificata dal suo tipico marchio giallorosso, era quella più nota, ma c’era anche l’italiana Ferrania… entrambe spazzate via, assieme a gran parte dei negozi delle stampe, dall’assalto a tenaglia di internet e del digitale.

    Ora tutti noi abbiamo in tasca un poliedrico e inseparabile aggeggio (mi piace chiamarlo così), che per poche centinaia di euro non solo ci permette di comunicare istantaneamente in vari modi (telefonicamente, con immagini in tempo reale e con messaggi scritti) con parenti e amici all’altro capo del mondo, ma anche – tra le sue altre innumerevoli funzioni – di scattare fotografie di buona qualità, che non hanno bisogno di album perché possiamo archiviarle e rivederle in un televisore, o in un tablet grande solo una minima frazione dello spazio che in qualche cassetto avrebbero occupato tutti gli album necessari, o addirittura nella capientissima memoria dello stesso aggeggio che le ha scattate.

    Invece a quel tempo se volevamo ammirare le nostre fotografie in uno schermo di dimensione paragonabile a quello dell’odierno televisore dovevamo prima di tutto scattarle con una pellicola speciale, che dopo averla sviluppata il negozio ci consegnava in diapositive incastonate in cornicette di cartone rigido, da conservare in appositi raccoglitori e da inserire per la visione in un costoso proiettore che non serviva ad altro… tutti oggetti la cui progettazione e produzione erano costate tempo, fatica e ingenti investimenti, ma che furono relegati velocemente nel dimenticatoio dalla travolgente innovazione tecnologica, che ci fa risparmiare tempo, spazio e denaro.

    Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, dopo l’inevitabile crollo in borsa, Kodak entrò in amministrazione controllata e poco dopo cessò la produzione sia delle pellicole che delle macchine fotografiche.

    Sia Kodak che Ferrania nel corso degli anni per sopravvivere si sono riconvertite in altri settori.

    Una piccola divagazione che mi riguarda come accanito lettore: la bellezza del libro cartaceo è indiscutibile… il contatto delle dita con la carta delle pagine da sfogliare e la loro stessa visione, e perfino l’odore, sono affascinanti… ovviamente non possono essere eguagliati da nessun asettico lettore elettronico… che però ha dalla sua il vantaggio del ridottissimo spazio in cui immagazzinare l’equivalente di intere casse di libri cartacei.


    Dopo una certa lotta interiore, alla fine a malincuore ma pragmaticamente ho dovuto arrendermi alla comodità e rinunciare all’affetto per il libro cartaceo, troppo ingombrante rispetto ai 12x15x0,50 centimetri del lettore elettronico, che di libri ne contiene centinaia.

    Ma proseguiamo con i colossi abbattuti dall’innovazione tecnologica…

    Appena 7 anni fa, nel 2013, fallì la catena di noleggio di videocassette Blockbuster, la cui travolgente ascesa, iniziata nel 1985 nella città texana di Dallas, era proseguita con lo sbarco in Europa nel 1989 e in Italia nel 1994.

    In appena 10 anni solo negli Stati Uniti il numero di negozi Blockbuster era salito a 4.800, ma verso la fine del primo decennio di questo secolo iniziò la crisi, alimentata dall’irruzione del compact disc e di internet, che permettevano di procurarsi e conservare film e serie tv con grande facilità.

    Uno dopo l’altro le migliaia di negozi Blockbuster intorno al mondo furono costretti a chiudere e nel 2010 la società dichiarò fallimento. 

    Una curiosità: a tutt’oggi sopravvive nel mondo un solo negozio Blockbuster, nella cittadina di Bend in Oregon, che per questa sua particolarità attira nostalgici e cultori del vintage.

    Il regno del compact disc, giustiziere della videocassetta, è anch’esso durato pochi anni, scalzato dalle chiavette, dai dischi rigidi sempre più capienti dei computer e dai dischi per l’archiviazione esterna, capaci di contenere centinaia di film in una scatolina di una dozzina di centimetri di lunghezza.

    Diversa è la storia del produttore finlandese di telefoni cellulari Nokia, vittima non dell’innovazione tecnologica (di cui anzi fu grande protagonista) ma di scelte strategiche errate.

    Nokia fu fondata nel 1865 come fabbrica di cellulosa lungo il fiume Nokianvirta, presso la città di Tampere, dall’ingegnere minerario Knut Fredrik Idestam.

    Negli anni fra il 1980 e il 1990 del secolo scorso Nokia entrò nella produzione di televisori e computer, che abbandonò dopo qualche tempo perché non riusciva a reggere l’intensissima concorrenza.

    La svolta avvenne con l’acquisizione dell’azienda di telefonia mobile Mobira, che fu il trampolino di lancio della travolgente ascesa di Nokia nel settore: a ottobre 1998 strappò a Motorola il primo posto nella classifica mondiale dei produttori di telefoni cellulari (che mantenne per 13 anni fino al 2011, quando fu sorpassata da Samsung), rivolgendosi al pubblico più giovane e più sensibile alle mode.

    Nel 1998 Nokia fatturò 20 miliardi di euro, realizzando un utile di 2,60 miliardi.

    Nel 2000 l’azienda finlandese aveva più di 55.000 dipendenti e controllava il 30% del mercato mondiale della telefonia mobile (quasi il doppio di Motorola, seconda in classifica), operando in 140 paesi e quintuplicando tra il 1996 e il 2001 il fatturato, salito in quel quinquennio da 6,50 ​​a 31 miliardi di euro.

    Nel 2000, all’apice del successo, Nokia valeva da sola il 4% del PIL finlandese, il 21% delle esportazioni nazionali e il 70% della capitalizzazione della borsa di Helsinki.

    Nel 2006 Nokia arrivò a controllare il 51% del mercato mondiale dei telefoni cellulari, conquistandone il dominio in tutti i continenti escluso solo il Nordamerica.

    A quel tempo Nokia, così come gli altri principali produttori di telefonini, usava il sistema operativo Symbian, di cui nel 2004 divenne il principale azionista e nel 2008 l’unico proprietario, mentre i concorrenti passavano gradualmente al sistema Android.

    A febbraio 2011 Nokia, rimasta sola a usare il Symbian fuori del Giappone, ne annunciò il graduale abbandono e il passaggio al sistema operativo Phone 7 di Windows, che però avrebbe perso la sfida con Android: due errori strategici consecutivi che le sono state fatali.

    Attualmente il marchio Nokia è stato concesso in licenza all’azienda finlandese HMD Global, che ne sta tentando il rilancio producendo cellulari funzionanti col sistema operativo Android.

    Circa un semestre fa ha fatto molto scalpore il fallimento dell’operatore turistico britannico Thomas Cook, inventore dei viaggi organizzati nel 1841, quando noleggiò un treno per trasportare i partecipanti a un congresso contro l’alcolismo.

    La moderna Thomas Cook, nata a giugno 2007 dalla fusione tra Thomas Cook AG e MyTravel Group, quotata in borsa a Londra e sponsor nel 2012 dei giochi olimpici nella capitale britannica, con 97 aerei, 2.926 punti vendita, 21.000 dipendenti e oltre 19 milioni di clienti all’anno era il secondo maggiore operatore turistico nel Regno unito (dopo TUI Travel) e il primo in Francia, Germania, Olanda, Scandinavia, Stati Uniti e Canada.

    Il problema di Thomas Cook è stato che oggi i turisti non hanno più bisogno di intermediari per recarsi nelle loro destinazioni preferite, e per pubblicare in Facebook o in Instagram fotografie straordinarie, scattate in luoghi meravigliosi, vogliono anche distinguersi dalla massa, fare il viaggio che nessun altro loro conoscente ha fatto prima… esattamente l’opposto dell’offerta degli operatori turistici di massa, com’era Thomas Cook.

    Il suo vantaggio erano i prezzi bassi, i cui modesti margini di guadagno erano compensati dall’alto numero dei clienti, ma questa strategia è stata vanificata dall’irruzione nel mercato di due fenomeni che hanno travolto gli intermediari: le prenotazioni online di soggiorni in alloggi privati (Booking e Airbnb) e le compagnie aeree a basso costo come Ryanair o Easyjet, mentre restavano incomprimibili gli alti costi fissi delle oltre 500 agenzie fisiche di Thomas Cook.

    A settembre 2019, schiacciata da due miliardi di debiti e dopo aver inutilmente chiesto soccorso al ministro dei trasporti del governo britannico, che le negò i 250 milioni di sterline necessari per restare operativa, l’agenzia dovette dichiarare fallimento.

    Ma chi di spada ferisce di spada perisce: proprio in queste settimane tocca ad Airbnb subire le pesanti conseguenze di un evento imprevisto – l’epidemia di Covid – che repentinamente ha inceppato l’ingranaggio apparentemente ben oliato dei viaggi e del turismo; infatti è della prima settimana di maggio la notizia che il colosso delle prenotazioni online di soggiorni intende licenziare il 25% dei suoi dipendenti.

    Ho lasciato per ultimo un caso particolarmente doloroso, perché riguardante l’Italia: Olivetti, oggi appartenente al Gruppo Telecom Italia e praticamente dimenticata, sino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso (appena poco più di 30 anni fa!) era un colosso mondiale della produzione di macchine per scrivere e da calcolo nonché dell’elettronica, che possedeva filiali e fabbriche anche negli USA e giunse a impiegare oltre 70.000 dipendenti (oggi dimagriti ad alcune centinaia).

    Olivetti inventò gioielli come la Divisumma 14 (la prima calcolatrice elettromeccanica capace di eseguire le quattro operazioni e di stampare il risultato), l’Elea 9003 (uno dei primi calcolatori completamente a transistori) e il Programma 101, il primo elaboratore, precursore degli odierni personal computer.

    Il tramonto fu causato da una concomitanza di fattori negativi: contrasti all’interno della famiglia Olivetti, l’impossibilità di tenere il passo degli ingentissimi investimenti richiesti dall’affermazione dell’elettronica, e probabilmente anche il generale progressivo declino dell’Italia a partire dall’ultimo quarto del secolo scorso, che come in tanti altri casi ha risucchiato l’azienda nel suo gorgo.

    Sic transit gloria mundi.

    Francesco D’Alessandro

     

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