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    SPIGOLATURE MAGGIO

    Gli occhi sono inutili se non si vede con la mente.

    Nello strano mondo che oggi viviamo, dove ormai passiamo le ore davanti alla televisione, ci assale una nausea mentale mista a sgomento come quando da piccoli attendevamo il nostro turno per fare l’antitetanica.

    È un periodo della vita in cui anziché abbracciare vorremmo essere abbracciati.

    Ci comincia a mancare anche quella sorta di bacio che davamo alla moglie prima di andare a dormire e che ora c’è vietato.

    Al risveglio notiamo un irreale silenzio che giunge dalla strada e pensiamo che alcuni di noi appartengono, per l’anagrafe, alla categoria di quelli più “solleciti” a morire.

    In questo periodo, che pare sacro e misterioso e dove percepiamo la nostra limitatezza e forse la nostra codardia, continuiamo con i nostri vaniloqui saltellando tra i vari programmi televisivi in attesa di una manna dal cielo. Ascoltiamo coloro che con tanta laboriosità e saccenza e supponenza, tentano di convincerci di diventare anche noi cazzeggio.

    Monaci tibetani che compongono un mandala

    Viviamo come quando, due quarti di secolo fa, con la TV in bianco e nero improvvisamente, durante un quiz con Mike Buongiorno, l’antenna faceva i capricci e improvvisamente sullo schermo apparivano rigacce e mozziconi di frasi incomprensibili e rimanevamo sconcertati e impotenti e ad un interlocutore nel nostro cervello chiedevamo “quale è la risposta al quiz?”, pensando di aver perso una cosa fondamentale per la nostra vita.

    Un certo mondo si sta allontanando, e non tornerà più come prima, certo forse non piaceva a nessuno, tutti ci lamentavamo, ma prevedo che ne proveremo una certa nostalgia.

    E allora mi chiedo se in questo tempo sospeso fra il reale e l’irreale, cominceremo ad apprezzare l’effimero dove cogliere la bellezza della vita: una piuma bianca che volteggia, una foglia ingiallita con mille sfumature, il riflesso in una pozza d’acqua dopo la pioggia, una ciocca di capelli della nostra compagna mossa dal vento.


    Il Faust di Goethe spiega bene il paradigma non di ciò che siamo, ma di ciò che saremmo dovuti diventare.

    O meglio, di ciò che dovremmo cercare di essere.
    I monaci tibetani disegnano stupendi mandala con grani di sabbia dai più diversi colori.

    Capolavori! ma appena finiti li distruggono, insegnando l’impermanenza delle cose, per mostrare che la perfetta bellezza è in ciò che è transitorio.

    Andrea Maino

    Monaci tibetani che compongono un mandala.

     

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