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    Come vivremo nelle Isole?

    Il prevedibile calo di circa il 20% del PIL delle Canarie quest’anno genera un’enorme incertezza sul futuro delle isole, che dipendono fortemente dal turismo, vittima economica centrale del coronavirus.

    Tutto inizia da quel sabato 14 marzo, quando il governo centrale decretò lo stato di allarme per combattere il coronavirus.

    Il coronavirus ha già causato 22.902 morti in Spagna, di cui 131 nelle Isole Canarie.

    E produrrà il più grande calo del PIL nazionale dai tempi della guerra civile, l’8%, secondo il FMI, e circa il 20% nelle Isole Canarie, secondo le stime dello stesso Esecutivo regionale.

    Il crollo del settore turistico, che produce circa il 35% della ricchezza delle isole e il 40% dell’occupazione.

    Un colpo d’antologia in una comunità dove il 35% della popolazione era già a rischio di povertà o di esclusione sociale prima di questa crisi.

    “Il modello che abbiamo è il prodotto di una crescita infernale, con una spinta al turismo di massa che ha fatto arrivare a cercare lavoro molte persone da fuori.

    E la voracità della leadership canaria nello sfruttare al massimo il turismo è stata tale che è andata a un ritmo molto più alto di quello consentito dalle nostre risorse”.


    Dopo i primi passi del governo centrale per salvare la struttura produttiva del Paese e garantire i redditi – per favorire gli ERTE delle aziende colpite durante lo stato di allarme dalla COVID-19, che comprendono circa 200.000 canari, iniettare 100.000 milioni di liquidità alle imprese e ai lavoratori autonomi attraverso il finanziamento dell’Istituto di credito ufficiale, rendendo più flessibile il pagamento di alcune imposte, concedendo una moratoria sull’affitto o il pagamento per la cessazione dell’attività a un milione di lavoratori autonomi – il governo delle Canarie ha anche adottato alcune misure, come il rimborso di parte di questa cessazione dell’attività da parte dei lavoratori autonomi o il rinvio della riscossione dell’IGIC a giugno.

    Con il crollo dell’IGIC, la principale fonte di entrate dell’arcipelago stesso – 1.472 milioni di euro lo scorso anno – il governo ha dovuto sottoscrivere una politica creditizia di 1.700 milioni di euro per le spese correnti.

    Ma per una situazione del genere ha bisogno di molta più liquidità, e l’Esecutivo intende liberarla usando l’eccedenza delle amministrazioni canarie – oltre 4.000 milioni di euro – e aumentando la loro capacità di indebitamento.

    E per entrambe le cose è necessaria l’autorizzazione del governo centrale, che guarda di traverso al piano di ricostruzione europeo – criticato questa settimana dai leader dei vari Paesi dell’UE – che presumibilmente fornirà anche qualche aiuto alle regioni ultraperiferiche come le Canarie.

    Ma manca ancora così tanta concretezza che fa paura a pensarci, con la calma con cui si decidono queste cose nell’UE, che è un gioco permanente di equilibri e di poteri.

    Questa settimana, la portavoce del CC al Congresso, Ana Oramas, il cui partito ha presentato un piano economico shock nelle Isole Canarie, ha chiesto al presidente Pedro Sanchez un trattamento differenziato per le Isole.

    “Le Isole Canarie saranno una questione di stato tra qualche mese”, ha detto.

    Il portavoce di Nueva Canarias, ha sottolineato i rischi di frattura sociale.

    dalla Redazione

     

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