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    Il riscaldamento climatico e la competizione per la conquista dell’Artico

    Cari amici, forse ricorderete che il mese scorso ci siamo lasciati parlando della quantità enorme di energia necessaria al mondo per mantenere il livello di benessere e di mobilità che oggi conosciamo: diciamoci la verità, a tutti piace fare belle dichiarazioni di principio per sentirsi paladini dell’ambiente, ma se per questo dovessimo perdere le nostre comodità… l’automobile, i viaggi aerei, gli elettrodomestici… alla fine della storia non credo che molti siano disposti a rinunciarci.

    Comunque sia, come dicevo il mese scorso, a consumi invariati e se non verranno scoperti e sfruttati altri giacimenti alcuni calcoli stimano ad appena altri circa 50 anni la durata delle riserve planetarie di petrolio.

    Negli ultimi decenni tutti abbiamo notato l’innalzamento della temperatura noto come “cambiamento climatico”, da alcuni attribuito alla nocività delle attività umane, mentre altri, citando circostanze storiche, lo attribuiscono alle variazioni del clima che nel corso dei secoli e dei millenni si sono alternate durante l’evoluzione del pianeta.

    Non voglio entrare qui in questa controversia, anche perché non ci sono argomenti schiaccianti a favore dell’una o dell’altra tesi; resta comunque evidente che il clima sta diventando più caldo e che se ne parla molto, ma superficialmente e spesso strumentalizzando questa circostanza a favore di questa o di quella tesi politica e ignorandone invece le profonde conseguenze economiche, avverse ad alcuni e favorevoli ad altri, ma comunque di portata tale da cambiare radicalmente l’assetto del mondo.

    Oggi parleremo delle conseguenze del riscaldamento climatico sulla regione artica e delle sue profonde ripercussioni economiche sul futuro dell’intero pianeta.

    Si intende per Artide l’area (senza confini precisi, perché in continuo mutamento) che circonda il Polo Nord, comprendente i territori più settentrionali dei continenti asiatico ed americano appartenenti a Canada, Danimarca (con la Groenlandia e le Isole Fær Øer), Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti.

    Per rendersi conto dell’importanza strategica dell’Artico basta solo considerarne l’estensione: circa un sesto della superficie terrestre, pari a più di 30 milioni di chilometri quadrati (100 volte la superficie di tutta l’Italia isole comprese).

    Evidentemente lo scioglimento dei ghiacci artici (che dal 1994 hanno perso circa 40.000 km quadrati all’anno) avrà conseguenze economiche fortemente impattanti, due delle quali esamineremo oggi.


    • Riguardo alle risorse energetiche, indispensabili per mantenere il livello di benessere e di servizi a cui siamo abituati, i geologi stimano che sotto i ghiacci in graduale scioglimento dell’Artico possano trovarsi un quarto delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale e ampi giacimenti di metalli (anche questi, come il petrolio, non infiniti) necessari all’industria, i cui prezzi (e quelli dei prodotti per i quali servono) potranno solo aumentare via via che se ne ridurrà la disponibilità. Storicamente i grandi mutamenti delle condizioni di vita e di lavoro spesso hanno acceso conflitti, e il riscaldamento climatico potrebbe creare una di queste situazioni. Le grandi manovre dei Paesi che si affacciano sull’Artico per accaparrarsene le risorse sono già iniziate: Russia, Stati Uniti, Canada, Norvegia, Danimarca (alla quale appartiene tra fremiti d’indipendenza l’enorme isola artica della Groenlandia, il cui sottosuolo trabocca di risorse minerarie vergini, come diremo tra poco) reclamano ognuno la sua fetta di territorio. Ad esempio, la Russia sta progressivamente rafforzando le sue basi militari nell’Artico acquartierando nel mare di Barents, nell’estremo settentrionale della Federazione, la Flotta del Nord, la maggiore delle sue quattro flotte strategiche, che da sola conta i due terzi dell’intera sua marina. Come contromossa la Norvegia, Paese membro della NATO e dove sono stanziate truppe statunitensi, ha speso fondi cospicui per ammodernare il suo sistema difensivo inserendovi nuovi aerei e sommergibili.
    • Ma la conseguenza più impattante, che potrebbe cambiare l’assetto del mondo, è lo scioglimento dei ghiacci artici, che rivoluzionerebbe i trasporti marittimi. Attualmente le grandi rotte commerciali tra le potenze economiche dell’Europa settentrionale (Germania in testa) e l’Asia e la Cina, nuovo fulcro emergente dell’economia mondiale, hanno un lungo passaggio obbligato: varcare lo stretto di Gibilterra, entrare nel Mediterraneo, attraversare il Canale egiziano di Suez e da lì, tramite lo Stretto di Aden spesso infestato dai pirati somali, circumnavigare la penisola indiana e infine, attraversato lo Stretto di Malacca tra Malesia e Indonesia (da cui oggi passano circa 60.000 navi all’anno e un quarto del commercio mondiale), puntare nuovamente a nord e verso la Cina o il Giappone o la Corea. Lo navigabilità delle acque artiche permetterebbe a cinesi, coreani e giapponesi, ma anche agli statunitensi della costa occidentale (California), di attraversare lo Stretto di Bering tra l’Alaska statunitense e la Russia e, passando SOPRA la Siberia, di spuntare direttamente nei pressi del porto russo di Murmansk, non lontano dal confine con Norvegia e Finlandia, che così diverrebbe un importante snodo di smistamento commerciale verso l’Europa settentrionale e centrale, con un risparmio di migliaia di chilometri, e quindi di tempo e carburante, di circa il 40% rispetto alla rotta mediterranea… e da lì gli asiatici potrebbero far proseguire le loro navi da nord anche verso il Regno Unito. Alla Russia, data la sua collocazione geografica, l’aumento della temperatura e la navigabilità dell’estremo nord sopra la Siberia aprirebbero prospettive di sviluppo enormi. Da notare che già oggi, nonostante le merci asiatiche debbano passare obbligatoriamente da Suez e dal Mediterraneo, gli asiatici, che guardando solo la carta geografica dovrebbero trovare conveniente assegnare ai porti italiani il ruolo di trampolino verso l’Europa centrale, preferiscono allungare di parecchio il percorso attraversando tutto il Mediterraneo, varcare lo stretto di Gibilterra, circumnavigare le coste atlantiche di Spagna, Francia  e Belgio per sbarcare nel porto olandese di Rotterdam… una situazione assurda ma reale e consolidata, sulla quale per carità di patria preferisco risparmiarmi la parole… vedremo poi che risultati darà la recentissima visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia, ancora è troppo presto per dirlo. Con l’apertura della rotta artica dall’Asia all’Europa settentrionale il Mediterraneo resterebbe definitivamente emarginato e lo Stretto di Suez (che da giugno 2017 a giugno 2018 ha incassato dai pedaggi del traffico mondiale di navi ben 3,50 miliardi di dollari) continuerebbe a servire solo l’Europa meridionale, meno vivace economicamente e meno interessante per gli asiatici di quella settentrionale, proprio in un periodo storico in cui gli scambi commerciali tra Europa ed Asia sembrano avviati a impennarsi.
    • Un discorso a parte merita la Cina, il colosso emergente che – come ho già avuto modo di dire in passato – secondo me entro la fine del secolo toglierà agli Stati Uniti dal ruolo di potenza leader mondiale. La via polare servirà ai cinesi non solo per esportare i loro prodotti in Europa, ma anche per importare le materie prime e il gas necessari al loro sviluppo e di cui il grande nord russo è ricchissimo. Ma con la lungimiranza e il pragmatismo che li contraddistingue – in stridente contrasto con la miopia e la fumosità degli europei – i cinesi non solo stanno colonizzando economicamente l’Africa e allungando i tentacoli verso l’America ispanica, ma stanno cercando di crearsi in Groenlandia una base prossima all’Artico. L’enorme isola della Groenlandia (oltre 2 milioni di km quadrati, cioè 7 volte l’Italia, ma solo 57.000 abitanti) è ricca di petrolio, gas naturale, diamanti, oro, uranio e piombo e gode di un’amplissima autonomia amministrativa nell’ambito dello Stato danese, ma con forti spinte verso l’indipendenza, probabilmente finora frenate solo dal fatto che ogni anno il bilancio groenlandese riceve dalla Danimarca mezzo miliardo di euro di sussidi. Tuttavia la voglia di svincolarsi completamente dalla Danimarca rimane e la Cina potrebbe offrire ai groenlandesi gli strumenti decisivi per riuscirci e per sviluppare le sue risorse minerarie, ottenendone in cambio una testa di ponte nell’Artico. A ottobre 2017 il premier groenlandese Kim Kielsen, leader del partito socialdemocratico di maggioranza relativa Siumut, ha guidato a Pechino una delegazione per rafforzare la cooperazione nei settori della pesca (una dei pilastri dell’economia dell’isola), delle miniere e del turismo. I cinesi stanno finanziando in Groenlandia la costruzione di una lunga serie di infrastrutture, fra cui tre aeroporti per voli sia cargo che turistici. Nel 2017 i visitatori cinesi in Groenlandia sono stati 87.000, una cifra notevole considerata la distanza e la relativa arretratezza del settore turistico. I cinesi agiscono su scala planetaria, sicuramente non pensano solo all’Italia…

    Non si tratta dunque solo della scomparsa dell’habitat naturale dell’orso bianco che non trova più cibo, a cui generalmente si limitano i commenti sul riscaldamento climatico che vediamo in TV, ma con tutto il rispetto per l’orso polare (lo dico senza  la minima ironia) anche di qualcosa di molto più profondo e grave.

    La situazione è in costante evoluzione e nei prossimi anni le conseguenze potrebbero ribaltare l’assetto del mondo quale lo conosciamo oggi.

    Francesco D’Alessandro

     

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