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    L’Arcipelago si sta mangiando le sue aree costiere

    In circa 30 anni le isole Canarie hanno aumentato la superficie urbanizzata del 130%, percentuale di gran lunga superiore alla media spagnola e che denota una considerevole diminuzione delle aree costiere.

    La portavoce di Greenpeace Pilar Marcos, esperta in biologia ambientale, ha assicurato che oggi le Canarie hanno in assoluto la percentuale maggiore di degrado e di distruzione delle aree costiere di tutta la Spagna.

    In particolare la Marcos spiega che il 12% circa delle coste dell’Arcipelago è degradato principalmente a causa della costruzione, per un 8,7%, e degli incendi boschivi di grandi dimensioni, per un 3,2%.

    La possibile rinascita del settore edilizio, commenta, costituisce un pericolo non indifferente, considerando che le aree costiere sono già sature di costruzioni e posseggono ecosistemi danneggiati per l’80% nei primi 10 km.

    Un sistema costiero sano, precisa la Marcos, aiuta a ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici, è una naturale difesa contro l’innalzamento dei mari causato dallo scioglimento delle calotte polari, quindi costruire sulle difese naturali rappresentati da boschi, crinali e aree costiere, significa mettere in serio pericolo non solo l’ecosistema, ma anche la vita delle persone.

    La soluzione, secondo l’attivista, sta semplicemente nell’applicazione delle leggi ambientali già esistenti, senza ricorrere alla creazione di nuovi regolamenti.

    E il riferimento è ad esempio alla legge che vieta di costruire nei primi 100 metri di costa, bypassata dalla Ley del Suelo e dalla legge per riabilitare alla costruzione gli spazi naturali che hanno consentito di rinnovare il pacchetto ricettivo delle isole, con la realizzazione di nuove strutture là dove sarebbe stato proibito.

    La Marcos di fatto chiede tolleranza zero in merito alle richieste di edificazione sulle aree costiere e nelle zone ambientali, l’unico polmone dell’Arcipelago che permetterà uno sviluppo economico e sostenibile nel futuro.


    Risulta così contraddittorio che un paese che vive di turismo, non si preoccupi di migliorare la gestione del suo territorio, partendo ad esempio dalle acque reflue: dei 395 punti di scarico presenti sulle isole, 277 risultano non autorizzati.

    La biologa a tal proposito avverte che sono molti i comuni non in grado ancora di gestire le acque reflue e che contribuiscono così a peggiorare la qualità della balneazione; una grave carenza che si esprime in pesanti sanzioni europee alla Spagna.

    Oltre alla iper urbanizzazione e alla mala gestione degli scarichi, si aggiunge il problema della plastica e delle micro plastiche che sta già minacciando le catene trofiche e di conseguenza il sistema digestivo degli esseri umani.

    «Siamo una società dipendente dalla plastica, a cominciare dal sacchetto di patatine che, abbandonato sulla spiaggia, finisce in mare con ovvie conseguenze» commenta la Marcos.

    Il problema è reale ed è serio, aggiunge, e la sua soluzione anche in questo caso sarebbe molto semplice; fa parte della responsabilità civile di ognuno iniziare a rinunciare a prodotti confezionati con la plastica e fa parte della responsabilità delle amministrazioni la creazione di politiche comuni che rispettino l’ambiente, eliminando l’utilizzo delle plastiche in tutto il mondo.

    «In Etiopia – sottolinea – hanno da tempo eliminato le borse di plastica e dovremmo seguire quell’esempio».

    Tornando alle aree costiere, si può pensare di costruire all’infinito, fino a occupare l’ultimo chilometro di costa incontaminata, ma questo non è futuro, è autodistruzione.

    di Ilaria Vitali

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