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    Petrolio, benzina e automobile: croce e delizia dei nostri giorni

    Uno dei gesti più comuni della nostra giornata è un’occhiata all’ago del serbatoio dell’automobile: toh, sto quasi in riserva, devo fermarmi a fare benzina!

    Al primo distributore ci fermiamo, mettiamo i litri che vogliamo, paghiamo (quasi sempre imprecando contro il salasso) e via di nuovo in strada.

    Niente di più facile, no…?

    Ma come sempre le cose sono più complesse di quello che appare, e in pochi casi questa considerazione è più vera che in questo.

    Inizieremo la nostra analisi da una breve descrizione della materia prima, proseguiremo con qualche dato storico e chiuderemo con alcune considerazioni.

    Il nome “petrolio”, composto dalle due parole latine “petra” (roccia) e “oleum” (olio) significa letteralmente “olio di roccia”, che secondo gli antichi ne descriveva la provenienza.

    Il petrolio estratto è chiamato “greggio”, ossia “grezzo”, perché ancora non ha subito il processo di raffinazione che ne permette l’uso come fonte di energia.

    Sull’origine del petrolio esistono varie teorie, ma secondo quella prevalente esso sarebbe il risultato della decomposizione di microrganismi marini vegetali e animali rimasti sepolti centinaia di milioni di anni fa durante i sommovimenti geologici.


    Diversamente da quello che si potrebbe pensare, l’uso umano del petrolio non è una novità degli ultimi decenni, ma è vecchio di secoli.

    Nell’antichità si estraeva petrolio dai giacimenti superficiali per produrre medicinali rudimentali o materiale da illuminazione.

    Il petrolio era usato anche in guerra: nell’Iliade Omero parla di un “fuoco inestinguibile” scagliato contro le navi greche e gli storici ricordano il “fuoco greco” usato dall’esercito bizantino, una mistura resistente all’acqua che veniva lanciata con frecce incendiarie contro le navi nemiche.

    L’era industriale del petrolio inizia ad agosto del 1859 negli Stati Uniti con l’inventore Edwin Drake, che dopo avere esercitato diversi mestieri, come molti suoi compatrioti di successo, perforò il primo pozzo in Pennsylvania.

    Allora l’automobile non esisteva e si usava il petrolio per l’illuminazione invece del tradizionale olio di balena. L’epopea dei cacciatori di balene, dai cui lunghi mesi o addirittura anni trascorsi in mare dipendeva l’esistenza delle famiglie, che ne attendevano con ansia e a volte invano il ritorno, è descritta nel bellissimo romanzo “Moby Dick” di Melville e nell’omonimo film di John Huston, in cui Gregory Peck interpretava l’ossessionato Capitano Achab. Come tante volte nella storia, l’avvento di un’innovazione tecnologica (in questo caso il petrolio per illuminazione) decretò la fine di un intero settore economico, ossia la caccia alle balene per ricavarne l’olio per le lampade, e del suo indotto, cioè la costruzione delle navi baleniere (oggi la caccia alla balena prosegue, ma solo come alimento). Dopo l’avvio dell’estrazione industriale l’aumento dell’offerta fece crollare il prezzo del barile di petrolio da 20 dollari a 50 centesimi, tuttavia all’inizio del secolo scorso l’oro nero copriva solo il 2,40% dei consumi energetici statunitensi, ancora dipendenti in stragrande maggioranza dal carbone.

    Dagli inizi del 20° secolo il Texas divenne il centro principale delle estrazioni petrolifere; il primo grande giacimento fuori degli Stati Uniti fu localizzato in Venezuela nel 1917, mentre i giacimenti mediorientali che oggi dominano la scena mondiale furono scoperti solo negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso.

    I primi tentativi di costruire veicoli semoventi risalgono al Rinascimento e via via nei secoli ne vennero realizzati vari prototipi, tra cui alcuni modelli a benzina, ma per i consumi di petrolio la svolta avvenne nel 1908 con il lancio sul mercato della famosa automobile Ford Modello T, con cui iniziò l’era della motorizzazione di massa: nei 19 anni in cui restò in produzione ne furono prodotti ben 15 milioni di esemplari!

    Anche se a metà del 20° secolo il carbone era ancora la maggiore fonte di energia, il petrolio l’ha gradatamente sostituito e oggi copre circa il 90% del fabbisogno mondiale di combustibili.

    Un aspetto preoccupante per noi consumatori occidentali è l’altissima concentrazione delle riserve mondiali in un’area geografica relativamente ristretta e molto turbolenta come il Medio Oriente: il primo grave shock petrolifero avvenne a ottobre del 1973, quando Siria ed Egitto attaccarono Israele nella cosiddetta “guerra del Kippur”.

    In retrospettiva possiamo dire che quello fu l’inizio della fine dell’espansione economica dell’Occidente dopo la conclusione della seconda guerra mondiale: l’incertezza delle forniture portò alle stelle il prezzo del greggio e in tutto il mondo si introdussero misure straordinarie per ridurne il consumo.

    In Italia il governo guidato da Mariano Rumor vietò la circolazione automobilistica la domenica, anticipò l’orario di conclusione delle trasmissioni TV e incaricò l’ENEL di costruire alcune centrali nucleari.

    Appena sei anni dopo, nel 1979, la rivoluzione islamica dell’imam Khomeini in Iran fece esplodere il secondo shock petrolifero, aggravato dall’immediato conflitto della nuova Repubblica islamica con il confinante Iraq guidato da Saddam Hussein: ancora una volta, forniture sconvolte e prezzo del barile in orbita.

    La crisi evidenziò definitivamente la vulnerabilità delle economie dell’Occidente industrializzato e la loro rischiosa dipendenza dalle vicende politiche e belliche dei produttori mediorientali.

    Negli scorsi decenni questa consapevolezza dell’importanza vitale dell’area per gli assetti politici ed economici mondiali ha spinto le potenze occidentali a intervenirvi frequentemente e con grande spiegamento di mezzi, dalle due guerre del Golfo (interventi statunitensi in Iraq) del 1990-91 e 2003 ai bombardamenti francesi in Libia contro Gheddafi nel 2011.

    Non dimentichiamo che le impennate del prezzo del petrolio creano inflazione, perché i produttori di beni scaricano il maggior costo del carburante sui consumatori, che così vedono decurtato il loro reddito.

    Nel 1979 il secondo shock petrolifero oscurò le città ma schiarì le menti degli occidentali sulla loro dipendenza dalle importazioni di petrolio e sulla necessità di contromisure che la riducessero. 

    Negli anni seguenti il prezzo del greggio fu nuovamente spinto al ribasso dai piani di risparmio energetico, dall’entrata in scena di nuovi produttori (principalmente la Russia) e dalla costruzione di centrali nucleari, ora però molto contestate ovunque.

    Negli ultimi anni il prezzo del petrolio ha continuato a oscillare a seconda delle vicende politiche e dell’andamento dell’economia mondiale.

    Recentemente, ad esempio, i dazi imposti dal presidente Trump alla Cina frenano l’economia del colosso asiatico ma anche di tutti i Paesi che vi esportano i loro prodotti, a cominciare dalla Germania, che a sua volta è il motore dell’economia europea e uno dei principali clienti degli esportatori italiani… e così via in una catena di contraccolpi negativi incrociati, che rallentando l’economia riducono la domanda di petrolio deprimendone il prezzo.

    Quando ciò accade, come negli ultimi mesi, i produttori (riuniti nel cartello dell’OPEC, ora denominato OPEC+ per includervi i 9 Paesi non membri) si accordano per sostenere il prezzo del greggio tagliando la produzione.

    Per ridurre la dipendenza dai produttori da alcuni anni gli USA hanno sviluppato una nuova tecnologia di estrazione da un particolare tipo di rocce, denominate tecnicamente scisti bituminosi.

    Questa tecnologia è più costosa di quelle tradizionali (e quindi conveniente solo se il prezzo si mantiene sopra un certo punto di pareggio) e anche più inquinante, fatto deprecabile ma inevitabile per svincolarsi dalle turbinose vicende politico-religiose del Medio Oriente.

    L’ultima necessaria considerazione è che il petrolio non è infinito; le opinioni sulla consistenza delle riserve mondiali sono divise, ma le stime più accreditate su quanto potrebbe durare l’oro nero si aggirano sul mezzo secolo, a consumi invariati e se non verranno scoperti e sfruttati nuovi giacimenti (comitati del no permettendo).

    Ma immaginiamo che in un’epoca futura popolazioni e governi sappiano che all’esaurimento delle riserve mancano solo 5 anni… quale sarebbe lo scenario?

    Ovviamente prezzo altissimo della materia prima e dei carburanti, che diventerebbero un bene di lusso a disposizione di pochi privilegiati… crollo industriale e dell’economia mondiale… povertà dilagante… rivolte popolari seguite da dittature… guerre per accaparrarsi gli ultimi giacimenti… uno scenario apocalittico ma nient’affatto irreale, poiché si può discutere sull’entità delle riserve e su quanto dureranno, ma che il petrolio non è infinito e che ogni giorno se ne consumano quantità ingenti è un concetto intuitivo.

    Fra una cinquantina d’anni la tranquilla e meccanica sosta di pochi minuti alla pompa di benzina, da cui abbiamo iniziato la nostra analisi, potrebbe essere un lontanissimo e rimpianto ricordo.

    In questo caso, l’età d’oro di benessere diffuso permesso all’umanità dall’abbondanza di petrolio come risorsa energetica sarebbe durata appena duecento anni, una frazione trascurabile nella storia del mondo.

    Agghiacciante, vero?

    Che fare dunque…? Le cosiddette energie rinnovabili di sole, vento e maree, inizialmente economicamente non competitive ma i cui costi grazie alle nuove tecnologie sono in sensibile discesa, sono la prima opzione, ma che bastino da sole a soddisfare il fabbisogno di energia su cui si regge l’economia mondiale resta da dimostrare.

    Il nucleare, dopo alcuni sfortunati incidenti che hanno fortemente impressionato l’opinione pubblica, trova sempre meno sostenitori.

    Intanto tutte le case automobilistiche hanno avviato studi di realizzazione dell’auto elettrica, non solo meno inquinante del motore a scoppio ma anche tecnicamente meno complessa, e che per questo rivoluzionerà la produzione automobilistica e inciderà fortemente su tutto il suo indotto.

    Non dimentichiamo però che anche l’energia elettrica necessaria per ricaricare le batterie di centinaia di milioni di automobili in qualche modo dovrà essere prodotta, quindi il problema non è stato eliminato ma solo riformulato.

    Non mi ritengo un sognatore, tuttavia mi affascina la visione fantastica dei pozzi di petrolio abbandonati nei deserti arabi, fra i cui tralicci arrugginiti tornerebbero a pascolare le capre.

    Chissà che tra qualche decennio possa diventare realtà…?

    Francesco D’Alessandro

     

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