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    Piero Angela e Riccardo Muti: la strana coppia del 2018

    Facebook è per lo più un palcoscenico di media bassa qualità per oratori con ben poco da dire.

    Talvolta però ci stupisce e questa volta più che mai.

    Muti  inedito, alla fine di un bellissimo concerto a Norcia, punta il dito sui Vescovi in prima fila e sculetta mimando una chitarra mal suonata, canta i versi di una nota canzone di chiesa.

    Perché?

    Perché se ogni città d’Italia avesse una scuola pubblica di musica di alto livello e un’orchestra in ogni città e la chiesa la pagasse per suonare Vivaldi la domenica invece di insulse canzonette mielose, il nostro paese metterebbe in moto tre macchine fondamentali per uscire dal baratro.

    Creerebbe una istruzione pubblica di livello, con essa, posti di lavoro per chi ci insegna, posti di lavoro per chi facesse parte delle orchestre cittadine, e  in più canali per rieducare le persone ad apprezzare e riconoscere la qualità dell’arte, l’importanza di uno spirito elevato, educato alla qualità.

    Cura straordinaria per un paese privatizzato capillarmente, involgarito, impoverito, cavalcato da veline e calciatori miliardari.

    Quello di Muti sarebbe certo un paese diverso.


    Diverso da cosa?

    Dal paese che con la sintesi e l’eleganza che lo contraddistingue ci dipinge Piero Angela in un epitaffio gentile quanto impietoso di un paese che definisce “già morto” perché non punisce i colpevoli e non premia i meritevoli.

    E’ davvero tutto qui.

    La diagnosi del declino italiano è semplice e alla portata di tutti.

    Sceglierei questa frase per la lapide di un immaginario cimitero in cui le potenze occidentali, incapaci di abbandonare un’idea sbagliata di mondo, si allineassero nell’ultimo giardino una accanto all’altra.

    Sulla lapide del nostro bellissimo paese perduto scriverei ”Deceduto per non aver punito i colpevoli né premiato i meritevoli, illuso, che non fosse un suicidio assicurato”.

    Buon Vivaldi a tutti.

    Claudia Maria Sini

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