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    Mi trasferisco all’estero. E le tasse?

    Il fenomeno italiano degli expat è sempre più diffuso, non solo tra i giovani ma anche tra persone più adulte e ultimamente da pensionati; ma nonostante i grandi slanci che portano a queste drastiche decisioni e le informazioni raccolte sui paesi dove si andrà ad abitare, molti rimangono ancora piuttosto all’oscuro sul funzionamento della tassazione.

    A rivelarlo sono i numerosi forum e pagine Facebook dedicate agli expat, dove fioccano domande sul tema della fiscalità all’estero e sulle tasse da pagare.

    Innanzitutto è bene sapere che viene seguito il principio della World Wide Taxation Principle, o principio della tassazione mondiale, che impone al cittadino che lavora all’estero ma che ha mantenuto la propria residenza in Italia, il pagamento delle imposte su quanto percepito all’estero secondo il sistema fiscale italiano.

    Insomma, se si lavora all’estero, le tasse si pagano in Italia oltre che nel paese straniero; questo è valido però solo per quei paesi che non hanno aderito a particolari convenzioni internazionali che di fatto evitano la doppia tassazione, per tutti gli altri le imposte ivi pagate possono essere detratte da quelle italiane.

    Generalmente i cittadini italiani che lavorano all’estero e sono iscritti all’AIRE, l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, non risultano più fiscalmente residenti in Italia e quindi non sono sottoposti all’obbligo di presentare ogni anno la dichiarazione dei redditi con conseguenti imposte da pagare, contrariamente a quanto avviene nel caso in cui manchi la suddetta iscrizione e pertanto il soggetto risulti ancora residente a livello fiscale nel paese d’origine.

    Nella fattispecie sono considerati cittadini fiscalmente residenti in Italia, oltre a quelli che non hanno presentato iscrizione all’AIRE, coloro che vi vivono almeno 183 giorni all’anno e quindi iscritti all’anagrafe comunale di pertinenza e coloro che si sono trasferiti in uno di quei paesi cosiddetti a fiscalità privilegiata.

    L’Agenzia delle Entrate, è bene sottolinearlo, considera cittadino italiano fiscalmente residente in Italia anche quello che ha trasferito la propria residenza all’estero, dove lavora, ma che ha mantenuto il proprio domicilio fiscale nel paese d’origine.

    Il cittadino italiano che si trasferisce all’estero e che entro 90 giorni presenta l’iscrizione all’AIRE, viene sì cancellato dall’anagrafe del comune di origine ma non evita l’imposizione fiscale se non ha provveduto a dimostrare che l’Italia non è più il centro dei propri affari.


    Quindi attenzione, la sola iscrizione all’AIRE non è sufficiente stando alla giurisprudenza italiana.

    Ma quali sono i paesi con i quali l’Italia ha stipulato un accordo che evita la doppia imposizione fiscale?

    In realtà sono diversi e non necessariamente in territorio UE, basti pensare all’Arabia Saudita, all’Argentina, all’Armenia, all’Australia, al Brasile, al Canada, Cile, Cina, Congo, Sri Lanka, Stati Uniti, Vietnam e molti altri.

    In questo particolare caso per il cittadino che vi risiede e vi lavora, è prevista una detrazione per la quale le tasse pagate all’estero costituiscono credito d’imposta per la dichiarazione dei redditi da presentare in Italia.

    Insomma, prima di diventare expat a tutti gli effetti, è bene informarsi con cura circa le normative fiscali cui si è sottoposti a seconda del quadro nel quale si è inseriti.

    Biancamaria Bianchini

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