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    César Manrique, creazione e libertà

    Il nome di César Manrique ricorre spesso, qui sull’Arcipelago, in particolare a Lanzarote che fu il suo luogo di nascita nell’aprile del 1919, ma sono tanti a ignorare la sua storia e la sua genialità artistica.

    Manrique può essere definito senza ombra di smentita un artista poliedrico che ha trovato espressione nella pittura, nella scultura, nell’architettura, nella decorazione ma soprattutto nella capacità di vedere oltre, quasi che possedesse uno speciale lasciapassare per il futuro.

    Del resto fu proprio lui, a metà degli anni ’60, a intuire la minaccia urbanistica su un arcipelago che cominciava a decollare come meta turistica d’eccellenza e il tempo gli diede ragione, guardando oggi al degrado ambientale di molte zone delle isole.

    Il concetto di sviluppo sostenibile lo si deve alla sua lungimiranza, laddove le menti amministrative dell’epoca si trovavano ottenebrate dalla speculazione caotica a discapito di un turismo intelligente.

    Temuto ma rispettato dai politici, Manrique non andava troppo per il sottile, suo fu il discorso di accusa all’amministrazione canaria per mancanza di rispetto per l’ambiente nella folle corsa all’edificazione, durante il discorso tenuto in occasione del ricevimento del premio Teide de Oro nel 1988.

    Fortemente sensibile alla minaccia della perdita del patrimonio naturale delle isole, Manrique dichiarò guerra più volte agli speculatori, o assassini del pensiero come li definiva lui, senza evitare di esprimersi anche contro il tessuto sociale dei compatrioti, totalmente ignari, a suo modo di vedere, di vivere in uno dei luoghi più ricchi in termini di natura, clima, paesaggi e bellezze naturalistiche.

    L’infanzia vissuta sulla playa de Famara deve aver forgiato non solo il suo eclettico spirito artistico ma anche il suo forte attaccamento ai valori naturali dell’arcipelago.


    Un’influenza forte, materica e spirituale, quella che l’artista subì e che gli consentì di esprimere in più forme la sua personalità.

    Le isole, come ammise una volta, sono più irreali rispetto alla terraferma e coloro che ci vivono sono il risultato di una esperienza di vita limitata dal mare e che porta a guardarsi dentro.

    Al centro delle sue più feroci critiche, insieme alla classe politica colpevole di assenza di lungimiranza, i costruttori edili, quelli dei soldi facili, come sottolineava, e soprattutto complici di azioni sconsiderate e di ingiustizie vergognose nei confronti dell’arcipelago.

    Manrique era indubbiamente un artista fortemente in simbiosi con la propria terra, che non smetteva di ammirare senza perdere mai lo sguardo curioso di chi, quella terra, la vede per la prima volta.

    Ma nonostante questo forte legame, l’artista non mancava di avere un approccio internazionale, uno sguardo aperto sul mondo dal quale traeva forte ispirazione.

    Negli anni ’60, trovandosi a New York, rimase incuriosito dai parabrezza concavi delle auto e anni dopo sfruttò quell’immagine per creare il Mirador del Río, grandi occhi sulla bellezza di La Graciosa e gli isolotti di Chinijo.

    Ma fu a New York che entrò in contatto con il movimento della pop art che diede vivacità e originalità alle sue successive opere.

    La sua mente istrionica la si può riconoscere nello spazio unico creato sfruttando un tubo vulcanico che enfatizza la peculiarità di Los Jameos del Agua, nell’architettura fusa con la natura del Jardín de Cactus, nella grande scultura monumentale unita alla tradizione contadina della Casa Museo del Campesino, nell’incomparabile e idilliaco Lago Martiánez, nell’esaltazione di una vista panoramica straordinaria sulla Valle del Golfo a El Hierro con il Mirador de la Peña, nel Parque Maritimo di Santa Cruz, tentativo questo di rigenerare parte della costa e nel Mirador de Palmarejo, a La Gomera, con la sua vista mozzafiato sull’imponente Valle Gran Rey.

    Numerosi i riconoscimenti ottenuti per il suo contributo artistico per l’ambiente naturale, come il Premio Mondial de Ecología y Turismo del 1978, la medaglia d’oro delle Belle Arti nel 1980, il Premio Canarias de Bellas Artes nel 1989; e se Lanzarote ottenne a sua volta la dichiarazione UNESCO di Riserva Mondiale della Biosfera nel 1993 fu proprio grazie a lui.

    A soli sei mesi dall’inaugurazione della sua fondazione in Taro de Tahíche a Teguise, all’età di 73 anni, Cesar Manrique lasciò quest’ultima sua creazione alle due di notte del 25 settembre del 1992.

    La sua Jaguar stava percorrendo le strade tanto amate quando si schiantò contro una jeep ad un incrocio e su Lanzarote calò un irreale silenzio.

    Manrique se n’era andato per sempre, dopo aver vissuto una vita libera e felice, come aveva ammesso più volte parlando della sua esistenza.

    Cittadino del mondo, Manrique, fu prima di tutto un vero cittadino canario.

    di Ilaria Vitali

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