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    ITALIA: VOTARE SÌ O NO AL REFERENDUM?

    Il grande attore TotO in una parodia elettoraleITALIA / VOTARE SÌ  O  NO  AL REFERENDUM?

    di PAOLO GATTO

    Un terzo della Costituzione ‘più bella del mondo’ è stato cambiato. Italiani, confermate questo cambiamento?”

    E’ questa, nella sostanza e nella verità, la domanda alla quale dovranno di fatto rispondere gli italiani quando si recheranno alle urne per votare al prossimo referendum sulle riforme costituzionali volute dal Governo, e non da un’Assemblea Costituente come nella norma, e avallate da un Parlamento eletto e in parte “nominato” con una legge dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 1 del 2014 e incomprensibilmente rimasto a dialogare con Bruxelles, a votare leggi potenzialmente illegittime a seguito della citata sentenza (capite che catastrofe se un giorno ci saranno miriadi di impugnazioni!) e, addirittura, a modificare pesantemente la stessa Costituzione cioè la Legge “fondativa” sulla quale si basa la convivenza dei cittadini e il funzionamento dello Stato e delle istituzioni.

    Il referendum col quale il popolo dirà sì o no alla riforma, essendo confermativo, per essere valido non richiede un numero minimo di votanti. Una vittoria governativa dei sì sarebbe una legittimazione plebiscitaria fortemente desiderata. In RAI i direttori dei TG sono stati cambiati. Nelle testate della carta stampata c’è fermento.  L’informazione che si fa propaganda scalpita ed è già pronta a produrre emozioni capaci di distrarre le masse, sollecitare la pancia e trasformare i cittadini in pubblico ed il pubblico in tifosi.

    Nonostante tutto, emerge comunque un grande problema di logica e di metodo che si riassume in questa domanda: il quesito al quale far rispondere sì o no verrà “spacchettato” visto che gli articoli della nuova Costituzione da valutare, spesso un po’ lunghi e contorti, sono ben 41 o sarà uno solo? Questo fa parte della suspence e del pastrocchio che i parlamentari più pagati d’Europa, incostituzionalmente eletti, sono riusciti a creare con la pretesa di voler trasformare in costituzionalisti milioni di italiani, gente normale con limitate cognizioni di diritto, in particolare di diritto costituzionale.

    Al momento in cui scriviamo il problema è aperto.

    Comunque, in merito allo “spacchettamento” del quesito referendario, una variante possibile dell’interrogazione generalizzata  tipo “accettate o no le riforme?” potrebbe comprendere tre domande tra loro collegate di cui la prima, per sintesi, potrebbe essere nella sostanza la seguente: “Italiani, confermate la sostituzione integrale degli articoli 55, 57, 60, 67, 70, 72, 74, 75, 78, 82, 117, 119 della Costituzione col nuovo testo approvato dal Parlamento?” (Si tratta degli articoli integralmente sostituiti).


    A tale quesito ne dovrebbero essere aggiunti, nella sostanza, altri due, il primo dei quali porrebbe la  seguente questione: “Italiani, confermate l’abrogazione integrale degli articoli 58 e 99 e l’abolizione del terzo comma dell’articolo 62 della Costituzione?

    L’altro quesito, che inquadra la complessità e la pretesa della cambiale in bianco richiesta agli elettori con l’accettazione dell’intera “riforma”, dovrebbe più o meno chiedere, sempre nella sostanza: “Italiani, confermate le ‘modificazioni’, le sostituzioni parziali, le aggiunte, le integrazioni, gli inserimenti, le soppressioni di frasi o parole con riferimento ai seguenti articoli della Costituzione: articoli 63, 64 primo e quarto comma con l’aggiunta di un nuovo comma; articoli 73, 77 primo, secondo, terzo comma con aggiunta di altri commi; articoli 66, 69, 71 primo e secondo comma con aggiunta di un nuovo comma; articoli 73, 77 primo, secondo, terzo comma con aggiunta di altri commi; articoli 79, 80, 83, 85, 86, 94, 96, 114, 118, 120, 122, 126, 135; e ancora: articoli 48, 73, 81,87?

    Viene spontaneo chiedersi se tutto questo sia una cosa seria che rispetta la dignità, l’intelligenza, la buona fede del cittadino. La risposta a questa domanda sarà la stessa che ogni elettore darà nel segreto delle urne contrassegnandola con una “X”. Il fronte del “NO” è ampio ed esclude i seguaci dell’attuale PD renziano e i seguaci di Alfano e Verdini, discussi e discutibili “padri costituenti”.

    Molti sono i cambiamenti costituzionali introdotti e in poco spazio è impossibile approfondirli. La logica complessiva della riforma può essere ben compresa abbinando questa riforma costituzionale alla nuova legge elettorale, l’Italicum, già approvata dal Parlamento con legge ordinaria. La nuova legge elettorale nasce a seguito della sentenza di incostituzionalità della legge precedente, il Porcellum, con la quale è stato eletto questo Parlamento “costituente”: con una formidabile  alterazione della rappresentanza democratica  cioè del principio di proporzionalità della rappresentanza, come ha rilevato la Consulta nella citata sentenza, in virtù di un microscopico scarto dello 0,37% la coalizione risultata prima ha avuto un premio di ben 340 parlamentari. La situazione tra i due primi gruppi contendenti  era nel 2013:  29,55% contro 29,18%. Adesso con legge ordinaria i nostri furbi padri della Patria hanno indicato nell’Italicum, nuova legge elettorale, una soglia formale, e del tutto indifferente nella pratica, del 40% per aggiudicarsi il premio di maggioranza evitando così nuovi appunti della Consulta, lasciando poi nei fatti tutto invariato perché ricorrendo al ballottaggio prende il premio chi tra i primi due contendenti vince. Con buona pace del principio della proporzionalità della rappresentanza che la Corte aveva raccomandato di salvaguardare. Così si aprono le strade per consentire alla maggioranza governativa ampia libertà nelle nomine, giustamente ben pagate, delle cosiddette istituzioni di garanzia, dei giudici della Consulta stessa (3 giudici eletti dalla Camera, 2 dal Senato). A proposito del Senato, cambia la composizione: è formato esclusivamente da consiglieri regionali che si eleggono tra loro e che eleggono sindaci, cooptandoli opportunamente. Non sono pagati e dovrebbero fare due lavori impegnativi (sindaco e senatore, consigliere regionale e senatore…). Invece dello stipendio, per non pesare sulle finanze pubbliche, come senatori riscuotono “solamente” i rimborsi spese.  Non è infine vero che il Senato non ha voce in capitolo su questioni nazionali. Senza essere eletto dal popolo, così come le Provincie “abolite” (ora  per una parte chiamate Città metropolitane), il Senato partorito dal trio Renzi-Boschi-Verdini con l’aggiunta non secondaria di Alfano ha tanti compiti dai quali possono persino nascere pesanti conflitti istituzionali. Insomma, in 41 articoli di legge costituzionale ci sta in pieno una vera e propria rottamazione “popolare”, cioè della partecipazione del popolo sovrano. 

    Sostanzialmente la riforma, accentrando i poteri nell’esecutivo e indebolendo il Parlamento, torna utile alle istituzioni sovranazionali che dettano legge anche a livello periferico dei singoli Stati. E torna utile all’Europa della BCE, della finanza e a vocazione tedesca che fa da sfondo e asseconda il declino produttivo e il prestigio dell’Italia.

    La verità e il nocciolo della questione di questa “riforma” è altrove e non risiede in presunti miglioramenti, sempre auspicabili e possibili purché reali, delle norme costituzionali. Scrivono i costituzionalisti Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante nel loro libro “Loro diranno, noi diciamo”, edito da Laterza: “Istituzioni imperfette possono funzionare soddisfacentemente se sono in mano ad una classe politica degna e consapevole del compito di governo che le è affidato, mentre la più perfetta delle Costituzioni è destinata a funzionare malissimo in mano ad una classe politica incapace, corrotta, inadeguata.” E rivolgendosi direttamente ai paladini del “sì” aggiungono: “Non accollate a una Costituzione le colpe che sono vostre. Rinnovatevi prima di cambiare la Costituzione a vostro uso e consumo. Cambiare la Costituzione, così come voi volete, significa non curare i mali della corruzione politica ma renderli più forti, cronici e incurabili.” Tutto qui, per un Paese che alla voce “corruzione” ha in bilancio una stima di appena 60 miliardi di euro annui ed è penultima, prima della Bulgaria, nella classifica europea della corruzione percepita dai cittadini e dalle Imprese.

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