Qualcuno si ricorda di Liz Truss…?
Probabilmente no, data la sua meteorica permanenza alla guida del governo britannico: eletta alla guida del Partito Conservatore il 5 settembre 2022 in sostituzione del controverso Boris Johnson, e subito dopo nominata Prima Ministra dalla regina Elizabeth II appena 2 giorni prima di morire, la catastrofica permanenza di Truss a Downing Street 10 – la residenza ufficiale del capo del governo – si concluse già il seguente 25 ottobre sotto il nuovo re Charles III.
I maligni insinueranno che questo record di premierato più breve in assoluto sotto due regnanti diversi le ha fruttato ugualmente un cospicuo vitalizio, e che quindi tutto sommato per lei ne è stravalsa la pena… sta di fatto che Truss cadde rovinosamente dal piedistallo su cui si era appena arrampicata perché in quel rachitico mese e mezzo, apparentemente senza rifletterci – o forse sì – aveva redatto un bilancio dello Stato imperniato su massicci tagli delle imposte, e fin qui niente di male anzi benissimo; ma la “dimenticanza” di ridurre anche gli sperperi della spesa pubblica spalancò una voragine nelle finanze statali, che terrorizzando gli investitori nei titoli di Stato britannici fece impennare il tasso d’interesse richiesto per convincerli ad accettare il maggior rischio di incapacità del Regno Unito di restituire il debito.
Però per comprendere meglio quel che ho appena scritto è opportuno un breve ripassino di un paio di concetti finanziari con cui forse non tutti hanno familiarità, anche se nei mesi e anni passati mi è già capitato di parlarne.
Cominciamo a rispondere alle domande: che cosa sono i titoli di Stato, e cos’è il debito pubblico?
Semplificando possiamo dire che i titoli di Stato sono ricevute di prestiti concessi al governo di un Paese da risparmiatori nazionali ed esteri desiderosi di mettere a frutto i capitali di cui non hanno bisogno immediato; i governi pagano a questi investitori un interesse periodico per un periodo di tempo pattuito, variabile da pochi mesi a molti anni, con la promessa di restituirgli il capitale alla fine del periodo.
E perché gli Stati chiedono in prestito questi soldi…?
Qui possono esserci 2 risposte: quella ufficiale è che la riscossione delle tasse non basta per coprire tutte le spese necessarie per fornire ai cittadini ospedali, scuole, polizia, tribunali, blah blah eccetera; ma c’è anche una risposta maliziosa, cioè che ai politici i soldi non bastano mai perché prendono gusto a maneggiarli e oltre alle pubbliche utilità pensano di poterci fare anche tante altre belle cose, ad esempio agevolare in qualche modo più o meno tortuoso qualche amico vicino o lontano, diretto o indiretto, che poi gli sarà grato e ricambierà il favore… e uno dei modi più semplici di trovare i quattrini necessari è indebitare lo Stato, poi un giorno qualcuno (forse) pagherà, e in ogni caso il pagatore non sarà chi ha firmato le spese.
Ma ovviamente non tutti i Paesi debitori sono uguali: ci sono quelli in cui si può avere fiducia che ci restituiranno il capitale, ed ai quali in cambio di farci dormire sonni tranquilli possiamo chiedere un interesse modesto, e quelli in cattive acque, che per allettarci a prestargli soldi nonostante l’incubo di non rivedere più i nostri risparmi ci offrono un tasso d’interesse alto o altissimo, i cui cospicui pagamenti però aggraveranno il debito nazionale in una spirale micidiale di nuovi prestiti per pagare gli interessi di quelli vecchi (ogni allusione a Paesi a noi noti non è affatto casuale).
Da luglio 2024 nel Regno Unito però governano i laburisti di Keir Starmer dopo la schiacciante vittoria elettorale ottenuta contro il Partito Conservatore guidato dal successore di Truss, il nababbo anglo-indiano Rishi Sunak, ma dopo l’avvicendamento dalla destra alla sinistra l’United Kingdom si ritrova impantanato in una crisi del debito pubblico ancora più agitata: nelle ultime settimane il tasso d’interesse pagato dai titoli di Stato si è impennato al massimo dal 1998, battendo perfino il picco negativo del governo Truss, e un altro pessimo segnale è venuto dalla sterlina, deprezzata di circa il 10% sul dollaro: infatti se il tasso d’interesse di uno Stato sale, la sua valuta dovrebbe apprezzarsi per gli acquisti degli operatori desiderosi di investire nelle sue obbligazioni, ma l’accavallarsi dei due andamenti negativi indica una sfiducia profonda, che se lo Stato fosse un’azienda lo manderebbe al tribunale fallimentare, e i suoi amministratori in galera.
Come si evolverà questa preoccupante situazione è imprevedibile: in teoria il governo laburista dovrebbe cercare di rinsavire e di mettere ordine nelle sue finanze, ma uno dei difetti delle moderne democrazie avanzate – come eufemisticamente le chiamano – è che i ricchi stipendi dei politici dipendono dalle elezioni e nessuno degli eletti vuole scontentare i suoi elettori, i quali d’altra parte, nati e pasciuti nella bambagia dello “Stato del benessere” faticosamente costruito con blood, sweat and tears (sangue, sudore e lacrime) dai loro nonni e bisnonni, invece credono di goderne per diritto divino e di rinunciare alla goduria non vogliono neanche sentire parlare.
Fin qui dunque il resoconto delle acque tempestose in cui naviga il Regno Unito… sic transit gloria mundi, e ben gli sta.
Ma la constatazione che i laburisti, trionfatori nelle elezioni di luglio 2024 con una percentuale stellare, in appena poco più di un semestre sono precipitati a percentuali di approvazione rasoterra, mi fa riflettere che in realtà lo scorso luglio non furono loro a trionfare ma i conservatori a crollare, perché gli elettori erano arcistufi di qualcosa ormai diventatagli insopportabile.
E colpisce il dilagare in tutta Europa di quest’insofferenza dell’elettorato verso i partiti al governo, dal crollo dei conservatori del Regno Unito, ligissimi esecutori degli ordini del socialdemocratico Biden, alla disfatta del centrosinistra di Macron in Francia, che ho raccontato in queste pagine lo scorso agosto, alle elezioni anticipate in Germania il prossimo 23 febbraio, in cui si prospetta la massiccia avanzata della “estrema destra” di Alternative für Deutschland, che innescherebbe un cataclisma politico in tutto il continente, e dalla recente vittoria del FPÖ (Partito della Libertà) in Austria, anch’esso tacciato di “estrema destra”, ma che nonostante l’iniziale ostracismo dei politicamente correttissimi pare avviato ad assumere la guida del governo, alla vittoria in Romania del candidato presidenziale di destra Calin Georgescu, annullata a dicembre e riprogrammata al 4 maggio dalla Corte costituzionale con l’esplicito quanto risibile pretesto che era stata… influenzata dalla propaganda dei media sociali…!
Cosicché, osservo, quegli stessi che spocchiosamente criticano le presunte “democrazia autoritarie” poi adottano proprio i metodi di cui le accusano.
Anche in Italia alcune recenti elezioni regionali sono state perse dal governo… non vinte dall’opposizione, che aveva zero titoli di merito per vincerle, bensì perse dal governo, come accadde lo scorso luglio ai conservatori nel Regno Unito; noto per inciso che a gennaio la produzione industriale italiana è diminuita per il 22° mese consecutivo e Bankitalia ha comunicato che per la prima volta nella storia il debito pubblico nazionale ha superato di 5 miliardi di euro l’astronomica soglia di tremila miliardi (che se scritti in cifre sono un 3 seguito da DODICI zeri), equivalente a un debito di circa 50.000 euro per ciascun italiano compresi minorenni e pensionati; ma nessuno saprà mai, perché i numeri sono secretati, quanti di quei miliardi sono stati bruciati nella voragine infinita degli “aiuti bellici”.
A maggio poi sarà eletto il presidente polacco, in una votazione importantissima per gli equilibri nazionali ed europei e che si annuncia contrastatissima.
Dunque in Europa c’è un malessere che bolle in pentola ma che i governi fanno finta di ignorare, o come dicono gli spagnoli con un’arguta espressione, aquí hay gato encerrado (dimenticando che più tieni rinchiuso il gatto infuriato, e più lui si inferocisce), perché ovunque gli elettori cercano di inviare ai governanti – finti sordi – un segnale di profonda insofferenza per i miliardi e miliardi di euro inutilmente inceneriti nel pozzo senza fondo (veramente ho in mente un paragone più colorito, ma in pubblico me ne astengo) della guerra, e per la crisi economica innescata nel continente dalla sottomissione di quasi tutti (anche se non tutti) i governi europei alla strategia del ragno della precedente presidenza USA – vedremo cosa combinerà la nuova – che ha regalato caramelle e dollari solo agli Stati Uniti ed a noi europei ha lasciato solo sacchi di puzzolente carbone e debiti.
Eppure, nonostante le sue rovinose finanze, il 16 gennaio l’imperterrito Keir Starmer ha firmato a Kiev l’impegno del Regno Unito di garantire per 100 anni (testuale!) la “sicurezza dell’Ucraina”, promettendole “per tutto il tempo necessario” la sua assistenza, ovviamente non spirituale, che imporrà ai cittadini britannici (per 100 anni…?!?) altri ingentissimi oneri, perché i missili costano e anche parecchio… però saranno contenti i loro produttori.
Nello stesso 16 gennaio ho ascoltato con le mie orecchie il Segretario della NATO, l’olandese Mark Rutte, asserire senza girarci intorno la necessità di passare a una “war mindset”, cioè a una mentalità di guerra (più chiaro di così non si può..!) e ho visto Zelensky insistere a Varsavia per “l’indispensabile” sostegno dell’Europa, inutile dire in che maniera… con i sentiti ringraziamenti di Alternative für Deutschland al presidente ucraino, ancora imperversante sebbene da tempo decaduto e non più rieletto, per il suo fattivo contributo alla loro campagna elettorale in Germania.
A questo punto dell’articolo mi pare di vedere alcune narici sdegnosamente arricciate: maaa e la giustiziaaa…? e i principiii…? e i vaaaloooriii…?
Sappiate, cari sdegnati, che i governanti percepiscono ricchi stipendi dai loro votanti non per infliggergli in malafede lezioni di interessata e ipocrita morale, però inutili per pagare le salate bollette delle famiglie, bensì per compiere il loro clamorosamente violato dovere di difendere gli interessi dei connazionali che con i loro sacrifici gli pagano quei succosi stipendi.
Ora mi mancano il tempo e lo spazio per approfondire qui questa tesi, che però ho ampiamente argomentato a pagina 20 del numero di ottobre di questo giornale, a cui rimando chi vorrà almeno riflettere su un ragionato punto di vista che sicuramente non leggerà né ascolterà in nessun autonominato e autoreferenziato vangelo radiofonico, televisivo o giornalistico degli pseudomoralisti padroni del vapore.
Qui di seguito il link per scaricarlo da internet, e buona lettura!
www.leggotenerife.com/edizione-digitale-anno-2024/
Francesco D’Alessandro