La Torre dell’Orologio è, come suggerisce il nome, una torre dell’orologio situata in Piazza San Marco a Venezia, accanto alle Procuratie Vecchie.
E’ anche conosciuta come la torre dell’orologio dei Mori.
L’edificio, progettato da Mauro Codussi, fu costruito tra il 1496 e il 1499.
Presenta cinque aperture, di cui quella centrale è la più grande.
Questa apertura incorpora un ingresso a due piani, con il grande quadrante dell’orologio che lo sovrasta, sormontato da una torre a un piano con la raffigurazione del Leone di San Marco su uno sfondo notturno, mentre due figure in bronzo oscurato fingono di essere giganti, ma sono conosciuti come i “Mori”.
Sono alti e suonano la campana ogni ora.
Il meccanismo dell’orologio, che risale al 1499 e da allora è stato ampiamente restaurato, muove il quadrante principale dell’orologio, composto da diversi quadranti concentrici.
Per alcuni ricercatori, il Mencey Belicar, Don Enrique Canario de Icoden, “il più famoso e più bello”, finì i suoi giorni in Italia, anche se crediamo che non sia stato dimenticato dalla Serenissima Repubblica di Venezia, che lo ha immortalato nella Torre dell’Orologio in Piazza San Marco.
Gli unici documenti veneziani finora noti sulla presenza del “Re di Tenerife” a Venezia sono i Diari di Marin Sanudo (1466-1536).
In quest’opera monumentale, composta da 58 volumi con oltre 40.000 pagine manoscritte e avente come protagonista la città di Venezia, Sanudo registra la vita quotidiana di un’innumerevole quantità di informazioni, dalle notizie di politica estera agli eventi quotidiani, dalle delibere di governo alle descrizioni di feste religiose, dalle notizie di guerre alle denunce di crimini.
I Diarii iniziano nel 1496 e terminano nel 1533, poco prima della morte dell’autore.
Nella sua cronaca, Sanudo dedica al Re di Tenerife tre passaggi.
Nel primo, datato 10 giugno 1496, riassume un dispaccio dell’ambasciatore in Spagna, il cavalier Francesco Capello, e, dopo aver parlato dello stato della guerra tra la Lega antifrancese e la Francia, scrive:
“E i detti re di Spagna hanno donato al cavalier Francesco Capello, nostro ambasciatore, con l’incarico che sia presentato a questa Signoria (di Venezia) un re coronato, saraceno, di quelle isole appena trovate, e sembra che di questi Re ne siano stati portati 7 con queste ultime caravelle (in Spagna) che sono arrivate.
I più famosi e i più belli hanno voluto donare alla nostra Signoria.”
In questo racconto Capello offre due fatti interessanti.
In primo luogo, parlando delle ultime caravelle arrivate da quelle isole appena scoperte potrebbe riferirsi solo alle Canarie e alle caravelle di Alonso de Lugo, perché Colombo, di ritorno dal suo secondo viaggio, arrivò a Cadice il giorno successivo, l’11 giugno.
In secondo luogo, Sanudo riferisce che i Re che arrivarono in Spagna da Tenerife furono sette, mentre altre testimonianze dell’epoca affermano che furono nove.
Il dispaccio originale di Capello, di cui parla Sanudo, è andato perduto negli incendi di Palazzo Ducale a Venezia.
Tuttavia, la risposta inviata dalla Serenissima a Capello è stata ritrovata negli Archivi di Stato di Venezia.
La lettera, datata 15 luglio 1496, si conclude con una postilla che chiarisce che il Re donato a Capello dai Re Cattolici era un mencey di Tenerife.
Nella seconda parte della sua cronaca, Sanudo riassume il resoconto presentato da Capello al Senato e fornisce vari dettagli sul “Re di Tenerife”, sulle sue abitudini e sulle circostanze della sua cattura, e riferisce i dettagli di come le autorità veneziane arrivarono a decidere sul suo futuro: “E (come) aveva presentato il detto re nero alla Signoria. Che era molto morigerato, ma non sapeva parlare e tuttavia era stato battezzato.
La scelta di cosa fare di lui fu discussa tra i saggi del Consiglio. Alcuni volevano donarlo al Marchese di Mantova e il … giugno il Consiglio dei Pregadi (Senato) decise che andasse ad abitare a Padova, nel palazzo del Capitano, e che gli venisse data la somma di 5 ducati per il suo mantenimento e 2 ducati per la persona che doveva servirlo.
E che gli si comprassero abiti, di volta in volta, secondo le sue necessità.
Questo fu scritto in memoria del dono inviato dal Re e dalla Regina di Spagna.
E disse che gli sembrava di essere in paradiso.
Egli, si diceva (ut dicitur), che aveva 2.000 persone (a Tenerife) sotto la sua autorità, e nella sua terra si mangiava carne umana, cioè di quelli giustiziati, e insieme ad altri 6 re furono portati in Castiglia nelle caravelle, e fu la gente di Spagna a prendere il dominio di dette isole.
E si disse (ut dicitur) che, prima di essere sottomessi, questi capi si difesero molto.
Questo re camminava in testa al corteo, al fianco del Doge il giorno del Corpus Domini (25 maggio 1497) ed entrò a Padova con il capitano Fantin da Pexaro il 18 giugno 1497.
Tornando a Venezia, la torre nota come torre dell’orologio dei mori, presenta in cima due enormi figure in bronzo, che probabilmente rappresentano gli aborigeni delle Canarie ridotti in schiavitù dalle razzie compiute fino alla conquista spagnola.
Si può notare che portano la “sunta”, una mazza molto spessa con manganelli alle estremità, che i Guanci usavano.
Si può anche notare che i guerrieri hanno la barba e indossano pellicce, alla maniera degli antichi canari, proprio molto simili alle statue dei Guanches che vediamo riprodotte sui quadri in Tenerife.
Molti non sanno che nel 1496, dopo la conquista dell’isola di Tenerife da parte dei castigliani, Alfonso Fernández de Lugo consegnò ai Re Cattolici sette dei Menceyes catturati sull’isola.
A Soria, dove ha sede il tribunale, i Re Cattolici fanno “dono” all’ambasciatore Capello della Serenissima Signoria di Venezia, di uno schiavo per il Doge.
Il “senza nome” Mencey si reca con il suo seguito a Barcellona e poi a Valencia, dove si imbarca per Tunisi e infine arriva a Venezia il 17 maggio 1497.
Il Mencey sfilò tra lo stupore dei veneziani che ne ammiravano la statura, la corpulenza, l’abbigliamento e i costumi.
E non meno impressionato fu lo stesso Mencey, che disse di trovarsi in paradiso.
Nello stesso anno furono scolpiti dallo scultore Paolo Savin i “Mori” dell’orologio veneziano.
Il Mencey potrebbe essere stato la possibile ispirazione per questo artista.
Il destino del Mencey si conclude anni dopo a Padova, dove muore di malinconia”.
Bina Bianchini