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    Italiani all’estero

    Sono 899mila gli italiani trasferiti all’estero negli ultimi 10 anni.

    Di questi, 208mila (23%) sono in possesso almeno della laurea.

    Lo rileva l’Istat nel report “Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente” relativo all’anno 2019.

    Nell’ultimo decennio –si legge nel report – si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni anagrafiche di cittadini italiani per l’estero (emigrazioni) e un volume di rientri che non bilancia le uscite (complessivamente 899mila espatri e 372mila rimpatri).

    Di conseguenza i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani, soprattutto a partire dal 2015, sono stati in media negativi per 69mila unità l’anno.

    Nel 2019 il volume complessivo delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è di 180mila unità, in aumento del 14,4% rispetto all’anno precedente.

    Le emigrazioni dei cittadini italiani sono il 68% del totale (122.020).

    Se si considera il numero dei rimpatri (iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini italiani), pari a 68.207, il calcolo del saldo migratorio con l’estero degli italiani (iscrizioni meno cancellazioni anagrafiche) restituisce un valore negativo di 53.813 unità.


    Il tasso di emigratorietà dei cittadini italiani è pari a 2,2 per mille.

    È il Nord la ripartizione di residenza da cui partono i flussi più consistenti di trasferimenti all’estero di cittadini italiani, in termini sia assoluti (59mila, pari al 49% degli espatri) sia relativi rispetto alla popolazione residente (2,4 italiani per mille residenti).

    Dal Mezzogiorno si sono trasferiti all’estero oltre 43mila italiani (2,2 per mille) mentre dal Centro sono espatriati circa 19mila connazionali, con un tasso di emigratorietà (1,8 per mille) sotto la media nazionale.

    La distribuzione degli espatri per regione di partenza mette in evidenza una situazione più eterogenea: la regione da cui emigrano più italiani, in valore assoluto, è la Lombardia con un numero di cancellazioni anagrafiche per l’estero pari a 23mila; seguono Sicilia e Veneto (entrambe 12mila), Campania (11mila) e Lazio (9mila).

    In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Trentino-Alto Adige (4 italiani per mille residenti).

    In Calabria, Friuli Venezia Giulia, Marche, Veneto, Sicilia, Molise, Lombardia e Abruzzo la propensione a emigrare è di circa 3 italiani per mille residenti.

    Le regioni con il tasso di emigratorietà per l’estero più basso sono invece Toscana, Liguria e Lazio, che presentano valori pari a circa 1,7 per mille.

    A un maggior dettaglio territoriale, in termini assoluti i flussi di cittadini italiani diretti verso l’estero provengono principalmente dalle prime tre città metropolitane per ampiezza demografica: Milano (7mila), Roma (6mila) e Napoli (5mila).

    In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle province, i tassi più elevati di emigratorietà degli italiani si rilevano a Bolzano (5 per mille), Trieste e Imperia (entrambe 4 per mille), Vicenza (3,8 per mille), Cosenza, Treviso, Agrigento e Isernia (tutte 3,6 per mille); quelli più bassi si registrano nelle province di Prato e Firenze (1 per mille).

    Nel 2019 gli italiani espatriati sono prevalentemente uomini (55%).

    Fino ai 25 anni, il contingente di emigrati ed emigrate è ugualmente numeroso (entrambi 20mila) e presenta una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile.

    A partire dai 26 anni fino alle età anziane invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi.

    L’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne.

    Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%.

    Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2019 un italiano emigrato su quattro è in possesso di almeno la laurea (30mila).

    Rispetto all’anno precedente le numerosità dei laureati emigrati è in lieve aumento (+1,4%).

    L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con almeno la laurea crescono del 23%. 

    Quasi tre cittadini italiani su quattro trasferitisi all’estero nel 2019 hanno 25 anni o più: sono poco più di 87mila (il 72% del totale degli espatriati); di essi quasi uno su tre (28mila) è in possesso di almeno la laurea.

    In questa fascia d’età si riscontra una lieve differenza di genere riguardo alla consistenza e al titolo di studio di chi espatria: le italiane emigrate sono meno numerose (rappresentano circa il 43% del totale degli espatriati di 25 anni o più) ma sono più frequentemente in possesso di almeno la laurea (il 36% contro il 30% dei loro coetanei).

    Rispetto al 2010, inoltre, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente per le donne (+8%) che per gli uomini (+3%).

    Tale incremento risente in parte dell’aumento contestuale dell’incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,5% del 2010 al 7,8% del 2019).

    L’altra faccia della medaglia è costituita dai rimpatri: nel 2019, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (15mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione “qualificata” è di 14mila unità.

    Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 112mila unità.

    Il trend in aumento degli espatri è da attribuire in larga parte alle difficoltà del mercato del lavoro italiano di assorbire l’offerta soprattutto dei giovani e delle donne.

    A queste si aggiunge il mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese – proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione – che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione.

    I programmi specifici di defiscalizzazione, messi in atto dai governi per favorire il rientro in patria delle figure professionali più qualificate, non si rivelano quindi – osserva l’Istat – del tutto sufficienti a trattenere le giovani risorse che costituiscono parte del capitale umano indispensabile alla crescita del Paese.

    (Inform)

     

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