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    La variante natalizia del gioco dei tre santini

    Abbiamo assistito a un gioco di abilità davvero straordinario.

    Personalmente mi ha fatto pensare al gioco dei tre bicchieri con le figurine nascoste, quello in cui la velocità della mano di chi muove i bicchieri rende molto molto difficile non perdere di vista la figura che dobbiamo ritrovare quando i bicchieri si fermano.

    La variante natalizia di quest’anno ha visto i Re Magi impegnati in un gioco vecchio che ha cambiato significato insieme a tante altre cose.

    Sotto il bicchiere numero uno c’è il Re che porta l’incenso: simbolo per eccellenza delle cerimonie ecclesiastiche. E’ la prima stagione del lockdown: un sacrificio duro ma necessario per evitare che il contagio mettesse a repentaglio la sicurezza di tutti noi,  basato sulla fede nel mondo della medicina schierato in prima linea per trovare la cura per un virus nuovo e sconosciuto.

    Sotto il bicchiere numero due c’è il Re che porta l’oro: simbolo del crollo della media e piccola impresa a fronte di politiche di sostegno demenziali, mentre il denaro dei contribuenti fluiva incessantemente nelle casse di produttori e venditori di mascherine, test, vaccini, nonostante risultasse ogni giorno più chiaro che questa influenza è appunto un’ influenza e la risposta corretta sono i farmaci e la terapia capillare a domicilio.

    Sotto il bicchiere numero tre c’è il Re che porta la mirra: unguento per i morti eccellenti nell’antichità e oggi disinfettante naturale.

    La sepsi e il totomorti sono argomento quanto mai attuale.


    Quanti sono davvero morti per o con coronavirus?

    Quanti per errata terapia?

    Dove sono nelle statistiche dei morti… i morti per altre cause?

    Perché l’OMS ha cambiato i parametri per definire una pandemia ovvero una emergenza sanitaria che richiede leggi specifiche per affrontarla, abbassando il target PRIMA dello scoppio dell’era del covid?

    Quando in tv vogliono spiegarci dove sta il trucco di un gioco di abilità ce lo mostrano al rallentatore: facciamolo.

    Prima fase: tutti chiusi tutti a casa, trauma collettivo ma a breve termine.

    Seconda fase: timida riapertura e interruzione delle sovvenzioni peraltro tardive e modeste.

    Terza fase: paralisi del settore alberghiero e degli aeroporti e invasione di “strani profughi” tutti maschi, giovani, in piena salute e con la peculiare abitudine di muoversi in formazione come soldati.

    Quarta fase: apertura a singhiozzo degli aeroporti e NESSUN CONTROLLO all’arrivo in Canaria, condizione che, con un timing perfetto, garantisce un aumento di casi positivi giusto alle porte di Natale: un ben centrato colpo di grazia alle attività, private prima delle sovvenzioni, poi dei clienti, infine del permesso di accogliere i clienti benché fossero sull’isola.

    In tutto questo, le immagini di Parigi, di Londra, di Manchester, ci portano a una e una sola domanda.

    Perché tanta rassegnazione?

    Gli ultimi non saranno i primi e non è dei miti il regno dei cieli, da bambini ce lo avevano garantito, specie alla messa di Natale ma è tempo di dare un valore all’hic et nunc.

    E’ tempo di prenderci la responsabilità di tutto ciò che ci sta per succedere, se davvero lasceremo che succeda, come se fosse il film della vita di qualcun altro.

    Claudia Maria Sini

     

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