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    Il discorso della democrazia su se stessa

    In Cataluña si gioca una partita che ci riguarda tutti da vicino

    Qualcuno cerca di convincerci, con un lavaggio del cervello puntuale e continuo, che l’accentramento amministrativo, il controllo ossessivo di ogni aspetto della nostra vita, e la demonizzazione del dialogo siano una bellissima formula per vivere tutti felici e al riparo dal pericolo. Il pericolo di essere liberi.

    Mai ci saltasse in mente di riprendere in mano il nostro destino e provare a farne qualcosa di buono, uscirebbero i Belfagor da tutti i lavandini di casa e vai e pesca cosa ci succederebbe dopo.

    La stampa inglese alcuni giorni fa ha posto una domanda semplice che mi permetto di rigirare attraverso la redazione: “Che problema avrebbe la Spagna se avesse la sua San Marino, il suo principato di Monaco, e con lo stesso instaurasse una rete di accordi per stimolare un doppio respiro sul territorio dal quale trarre, possibilmente, vantaggio?”

    La tesi di fondo è che in Cataluña non si parli di indipendenza ma di fondamentali della democrazia. Che non si svolga un braccio di ferro fra banche ed estremisti ma che sia in corso un dialogo di estrema rilevanza sul significato della parola potere e su quello della parola democrazia.

    Un popolo, una lingua, un territorio e il diritto di autodeterminazione.

    L’aspetto del nazionalismo che ha reso pericoloso essere europei nel secolo passato, non era certo questo. Era semmai il protezionismo economico, l’aggressività e la diffidenza per le realtà d’oltreconfine e l’ossessione di controllare economicamente un territorio, inglobandolo.

    La Cataluña chiede di darsi un governo che le assomigli e di cambiare istituzioni politiche senza spargimenti di sangue.


    L’Asse Bruxelles-Madrid accerchia il castello che non vuole più pagare dazio al feudatario, taglia acqua e viveri, sparge la voce che dentro c’è la peste, che all’interno si pratica la stregoneria, aspetta che l’isolamento, la fame, la stanchezza, trasformi gli amici in nemici e qualcuno tiri giù il ponte levatoio.

    Una logica di potere medioevale, una pretesa di inviolabilità del diritto da Stato Assoluto e strumenti di persuasione da Santa Inquisizione.

    Il macropaese rivela fino in fondo la sua anima neoliberista tacciando di eresia la difformità dal pensiero unico, punta alla pancia dell’opinione pubblica.

    Il macropaese funziona solo se il governo può prendere decisioni sbrigative e la gente non discute.

    E’ uno schema Sovrano suddito anacronistico che ha sempre creato inferni per vivi, molto difficili da recuperare.

    Se gli europei cadessero in questa trappola sarebbero i primi a scivolare dalla democrazia e dalla pluralità culturale dentro lo stesso destino di popoli per secoli sottomessi ad Imperatori e Zar ormai geneticamente incapaci di configurare la libertà individuale come valore.

    La dignità massima di un uomo è la capacità di autogoverno. Assumersi la responsabilità collettiva di amministrare il destino delle persone è la base portante della volontà di coesistere in modo civile e responsabile.

    Se il mondo è ammalato di indifferenza, se lo scarso spirito delle persone comuni è per tutti il male del secolo, la cataluña è un eccellente spunto per iniziare la cura.

    Non importa se riusciranno o meno a realizzare ciò che chiedono. A nessun Primo ministro, nessun Presidente e nessun Re chiederemmo di dimostrare in anticipo l’infallibilità di una linea di governo.

    Ciò che importa è che è un salto indietro di mille anni mettere in discussione il diritto di un popolo di comportarsi da adulto e non da bambino, se è ciò che sente e se ciò che chiede alla fine, è assumersi una responsabilità.

    di Claudia Maria Sini

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