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    Caccia al Pianeta Rosso  ( 2° parte )

    Tramonto su Marte fotografato dal veicolo “rover” Spirit il 19 maggio del 2005

    Nella prima parte di questo articolo, nel numero di marzo di LeggoTenerife, prendendo spunto dall’atterraggio lo scorso 18 febbraio della missione “Mars 2020” sulla superficie di Marte, abbiamo visto come nasce la “corsa al pianeta rosso”. Iniziamo a vedere allora quali sono gli obbiettivi di questa missione e come si pensa di raggiungerli.

    Luna e Marte

    La Luna e Marte hanno sempre avuto un effetto molto diverso sull’immaginario umano.

    La Luna è molto più vicina di Marte. La sua distanza è oltre 600 volte inferiore alla distanza media del “pianeta rosso” e giá con i primi telescopi del XVII e XVIII secolo fu possibile iniziare a sollevare parte dell’alone di mistero che circondava il nostro satellite. La prima mappa dettagliata della faccia visibile della Luna fu infatti pubblicata dall’astronomo polacco Jan Heweliusz nel 1647. Appena un secolo dopo, nel 1753, il gesuita ed astronomo croato Roger Joseph Boscovich dimostrò con le proprie osservazioni che la Luna non possedeva una atmosfera. Ed infine nel 1824 il tedesco Franz von Gruithuisen forni una spiegazione della formazione dei crateri lunari come risultato dell’impatto di meteoriti. Già nel XIX secolo quindi l’immagine delo nostro satellite era quella di un corpo celeste morto, una palla di roccia e polvere circondata dal vuoto.

    Immagine in colori reali del pianeta Marte ottenuta nel 2007 dallo strumento di raccolta
    immagini a bordo della sonda Rosetta che era stata lanciata dalla Agenzia Spaziale
    Europea per lo studio e l’abbordaggio della cometa “67P/Churyumov-Gerasimenko”.

    È sicuramente vero che è stata l’esplorazione diretta del suolo lunare e lo studio della sua struttura e composizione a fornire praticamente tutte le informazioni che oggi possediamo sull’origine, la formazione e l’evoluzione della Luna. Ma, come abbiamo già detto, la conquista della Luna negli anni ‘60 fu un obiettivo più tecnologico e politico che scientifico. Oggi, attraverso le informazioni raccolte dalle moderne sonde lunari, possiamo ipotizzare la presenza di acqua in molti crateri permanentemente riparati dalla luce solare e quindi nuovi progetti  di esplorazione con fini scientifici sono stati proposti, come il Nasa Resource Prospector che prevede l’invio di un veicolo rover per svolgere analisi in situ e per preparare una eventuale nuova missione umana. Ma per Marte é stato diverso. Sin dall’inizio l’obiettivo della conquista del “pianeta rosso” é stato scientifico.

    Copertina del numero di agosto del 1924 della rivista statunitense di scienza e tecnica “Science and Invention Magazine”

    Marte e i “Marziani”

    L’esplorazione di Marte rappresenta lo sbocco ad una curiosità scientifica nata già verso l’inizio del XIX secolo.

    Le prime osservazioni con un qualche dettaglio mostrarono, nel 1809, “nubi gialle” sulla superficie di Marte, indizio della presenza di una atmosfera. La durata del giorno marziano é poco più di 24 ore, quasi identica a quella del giorno terrestre. L’inclinazione dell’asse marziano è molto simile a quella dell’asse terrestre e le due calotte polari (che oggi sappiamo essere di anidride carbonica) si espandono e ritirano periodicamente: due elementi che permisero di ipotizzare l’esistenza di cicli stagionali. Infine dall’osservazione della distribuzione non uniforme della luminosità riflessa di Marte nacquero speculazioni sul fatto che le zone più scure potessero corrispondere ad acqua e quelle più luminose a terre, fino a spingere il polifacetico sacerdote, scienziato e filosofo inglese William Whewell a sostenere nel 1854 che su Marte vi fossero “mari verdi e terre rosse” … e quindi la possibilità della presenza di forme di vita extraterrestre.

    Verso la fine del secolo però la “marte-mania” prese una accelerazione inaspettata quando un astronomo italiano, Giovanni Schiapparelli, disegnò la prima mappa dettagliata della superficie del pianeta. La mappa di Schiapparelli era caratterizzata da line scure che si intersecavano, lunghe migliaia di km e larghe 100-200 km, e alle quali fu dato il nome di “canali”. Fu l’inizio di anni di ipotesi e speculazioni sulla presenza di vita intelligente sul pianeta rosso. L’astronomo americano Percival Lowell costruì con fondi privati un osservatorio in Arizona che dedicó principalmente allo studio di Marte e di queste sue strutture, e arrivò a sostenere l’idea di un pianeta coperto di vegetazione e che i canali fossero opera dei suoi abitanti che li avevano costruiti con lo scopo di distribuire le scarse risorse idriche disponibili.

    Però i “Marziani”, così come erano arrivati sulle copertine delle riviste scientifiche, furono definitivamente relegati ai libri e ai film di fantascienza quando fu chiaro che i “canali” ed altre strutture apparentemente artificiali erano solo una illusione ottica dovuta alla limitata risoluzione degli strumenti ottici dell’epoca.


    Nella decada del 1890 l’uso della spettroscopia (cioè l’analisi della composizione della luce emessa, riflessa o assorbita da un corpo) permise all’astronomo statunitense William Campbell di scoprire che l’atmosfera di Marte è estremamente rarefatta e praticamente priva di acqua ed ossigeno. E finalmente, nel 1965, quattro anni prima dello sbarco sulla Luna, la sonda Mariner 4 inviò dall’orbita di Marte le prime immagini dirette della superficie del pianeta: un suolo arido, senza fiumi ne mari.

    Il rover Perseverance atterrato lo scorso 18 febbraio sulla superficie di marte a bordo
    del lander della missione Mars 2020, fotografato nei laboratori della NASA

    La vita su Marte

    In ogni caso, a causa della sua grande somiglianza con la Terra, la ricerca di forme di vita su Marte, presenti o passate, rimane di particolare interesse per lo studio stesso dell’origine della vita. Ed è proprio questo uno dei principali obbiettivi scientifici delle moderne missioni di esplorazione.

    Di fronte alla mancanza di evidenze macroscopiche e immediate, questa ricerca diventa la ricerca di “firme biologiche” della vita, la ricerca cioè di sostanze o fenomeni che forniscano prove scientifiche indirette della sua presenza passata o presente.

    I due lander Viking che raggiunsero il suolo di Marte nell’ormai lontano 1976 e vi rimasero operativi per alcuni anni, avevano il compito tra l’altro di realizzare un “test di vita”. L’idea era quella di rilasciare al suolo alcune sostanze che nel caso fossero state metabolizzate da microrganismi eventualmente presenti sulla superficie del pianeta, avrebbero prodotto gas rilevabili. I risultati degli esperimenti però, dopo un lungo dibattito ed analisi, furono ritenuti ambigui e non conclusivi.

    La “firma biologica” per eccellenza della presenza di vita, almeno come la conosciamo noi sulla Terra, è comunque l’acqua e le missioni più recenti hanno rilevato importanti indizi che depongono a favore della sua presenza. La atmosfera di Marte è estremamente rarefatta a causa della bassa gravità e la pressione atmosferica che ne risulta è circa un centesimo del valore medio terrestre. In queste condizioni l’acqua può resistere allo stato liquido in un piccolo intervallo di temperature intorno ai -40 gradi, e questa é una condizione che si verifica almeno temporaneamente in molti luoghi della superficie del pianeta.

    La sonda della missione Mars Global Surveyor (lanciata nel 1996 e dichiarata ufficialmente completata nel 2007) ha fornito dalla sua orbita intorno a Marte immagini fotografiche di tracce di erosione liquida sul terreno. Alcune di queste tracce sono state interpretate come letti di antichi fiumi, prova che in passato dei liquidi scorrevano sulla superficie del pianeta. Altre invece si è osservato che si modificano nel tempo, prova quindi che l’acqua a tutt’oggi fuoriesce da fenditure.

    Spirit e Opportunity, i due veicoli quasi gemelli della missione Mars Exploration Rover, atterrarono in due diversi punti del pianeta nel 2004, sono rimasti operativi rispettivamente fino al 2010 e al 2018, ed hanno rilevato la presenza di un minerale, l’ematite, che sulla Terra si forma in presenza di acqua.

    Il veicolo Curiosity è stato l’ultimo a raggiungere il pianeta rosso nel 2012, prima della missione Mars 2000 attualmente in corso, e ha fornito immagini che mostrano quelli che sembrano essere elementi e strutture che solo possono essersi formati per l’azione di correnti liquide: ghiaie e ciottoli ben levigati e arrotondati e sabbie con la tipica laminazione causata dallo scorrere irregolare dell’acqua.

    La presenza di acqua non è comunque l’unica firma biologica utile. La missione Mars Express della Agenzia Spaziale Europea, lanciata nel 2003 e tuttora in corso, ha rivelato la presenza di metano nella atmosfera marziana, segno dell’esistenza di una geologia tuttora attiva e/o della presenza di microorganismi “estremofili”, microrganismi cioè che riescono a a sopravvivere e proliferare anche in condizioni ambientali proibitive per l’uomo e dei quali abbiamo vari esempi sul pianeta Terra.

    Mappa della superficie di Marte ottenuta a partire dai disegni delle osservazioni di Schiapparelli

    “Mars 2020” e il “Mars Exploration Program”

    Il primo obiettivo quindi della attuale missione Mars 2020 con il suo rover Perseverance e il suo drone Ingenuity è determinare se ci sia mai stata vita su Marte.

    Innanzitutto la ricerca di acqua allo stato liquido o prove indirette della sua esistenza presente o passata, prove da cercare appunto lì dove le missioni precedenti ci permettono di supporre che l’acqua un tempo possa essere stata presente in modo stabile. L’atmosfera marziana poi è ricca di anidride carbonica e l’eventuale presenza sul pianeta di minerali a base di carbonio, come la calcite o la dolomite, potrebbe essere interpretata con il fatto che si siano formati come conseguenza del interazione tra l’atmosfera e l’acqua presente un tempo sulla superficie per un tempo sufficiente a permettere lo sviluppo della vita.

    Ma anche attraverso l’esplorazione e lo studio dell’immediato sottosuolo. Sulla superficie di Marte infatti la vita organica come la conosciamo noi é abbastanza difficile, se non improbabile, dal momento che le molecole organiche basate sul carbonio non riescono a mantenersi integre a causa della forte presenza di molecole di superossidi (alle quali tra l’altro si deve il colore rossastro del pianeta). Microrganismi sotto la superficie potrebbero invece sopravvivere utilizzando l’energia geotermica e chimica eventualmente presente.

    L’obiettivo finale è però ancor più ambizioso. Infatti quelle che consideriamo come prove indirette della presenza di vita sono quelle che sappiamo essere tali sulla Terra. La vita su un altro pianeta potrebbe però essere diversa e quindi le “biofirme” sarebbero altre. Come sostiene la NASA, la sfida é allora quella di iniziare a sviluppare la capacità di definire la differenza tra vita e non vita in termini non necessariamente terrestri in modo da essere in grado di rivelarla in tutte le forma che potrebbe assumere.

    Siamo quindi nel pieno del “Mars Exploration Program”, lo sforzo a lungo termine pianificato, finanziato e guidato dalla NASA a partire dal 1993, e che prevede tra pochi anni la prima missione robotica di “andata e ritorno” e forse un giorno una missione umana. Ma di questo ne parliamo nella terza ed ultima parte di questo articolo nel prossimo numero di LeggoTenerife.

    Gianni Mainella

     

     

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