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    Qui siamo e non siamo…

    “Qui siamo in Africa ma non siamo in Africa, qui siamo in Spagna ma non siamo in Spagna, qui siamo in Europa ma non siamo in Europa”.

    Questa frase che pare lo slogan di una agenzia di viaggi l’ho sentita pronunciare da un mio conoscente che vive e lavora a Tenerife da molti anni, prima che anch’io decidessi di trasferirmi sull’isola.
    Che cosa volesse esattamente dirmi con quella frase ci ho messo un po’ di tempo a capirlo, finché mi sono reso conto che non si riferiva tanto ai fascinosi aspetti esotici che la particolare posizione geografica delle Canarie è in grado di offrire, piuttosto alludeva ad altro.
    Perché è vero che siamo in Africa, e a certificarlo basterebbe la calima, il vento torrido e polveroso che qui è di casa, proveniente dal vicino Sahara.
    È vero che siamo in Spagna, perché per quanto autonome le Canarie restano pur sempre una regione spagnola. Come è altrettanto vero che siamo in Europa, perché in termini di pubblica sicurezza, ristorazione, viabilità, pulizia, servizi sociali, fiscalità, burocrazia ecc., le Canarie non hanno nulla da invidiare al nostro cosiddetto Belpaese o alla stessa Spagna, per esempio.
    Il che però non esclude che sia vero anche il contrario, quando si comprende che quella frase ci porta a considerare una storia che muta la natura del suo corso nel momento stesso in cui il Regno di Castiglia, più di cinque secoli fa, riuscì faticosamente a conquistare le Canarie, avendo la meglio sui fieri indigeni Guanci che per primi le popolarono.
    Per quanto di tempo ne sia passato, è una storia mai dimenticata, se ancora oggi chi vive qui da più generazioni rivendica orgogliosamente il fatto di essere canario, appunto, e non spagnolo.
    Dopodiché ci induce a riflettere sopra una storia più recente, giunta fino ai nostri giorni attraverso sviluppi e assestamenti che hanno reso queste isole in qualche modo uniche, a causa del massiccio numero di stranieri di ogni parte del mondo che a partire dalla metà degli anni ottanta sono venuti o a investire o ad abitare qui.
    Da allora, quel sentimento proverbiale di isolamento comune a tutte le comunità che si trovano a vivere circondate dalle onde di un mare o di un oceano qui si fatica ad avvertirlo, stemperato com’è dall’andirivieni delle imbarcazioni e degli aerei che ogni giorno fa delle Canarie una delle mete turistiche più apprezzate del pianeta, dall’incessante afflusso dei vacanzieri che sono divenuti parte integrante dell’arcipelago e della sua economia. Diciamo pure che senza i turisti le Canarie non sarebbero le Canarie come le conosciamo e apprezziamo oggi.
    Sono stati loro e continuano ad essere loro i veri protagonisti di queste isole, o i nuovi inconsapevoli colonizzatori, e ciò ha di fatto condizionato il modo di vivere degli attuali canari, come del resto quello di tutti coloro che per una ragione o l’altra hanno deciso di trasferirsi qui.
    Il turista che viene a passare alle Canarie una settimana o due non è tenuto a capire come si ragiona alle Canarie, il che è persino comprensibile.
    Chi invece decide di trascorrervi gli inverni o di viverci per sempre, volente o nolente finirà per accorgersi che ogni giorno dell’anno è scandito da un ritmo vacanziero, festaiolo, da perenne carnevale, che la fretta è vista con sospetto se non proprio con disprezzo, che tutto è orientato verso il buonumore e la tranquillità, che ciò che non si fa oggi lo si può fare domani, che la calma è la virtù dei forti, che il “no pasa nada” è la parola d’ordine e non ammette repliche, che la vita va presa come viene e che ogni problema “si tiene solución por qué te preocupas, y si no tiene solución por qué te preocupas”.
    Negli anni settanta, ricordo, in Italia era in voga la pubblicità di un amaro che Ernesto Calindri invitava a bere quale rimedio “contro il logorio della vita moderna”.
    Se già si demonizzava lo stress mezzo secolo fa, figuriamoci oggi!
    No, non è affatto facile per un occidentale, abituato alla frenesia, ai marcaschede, ai vaffa e alle arrabbiature di ogni tipo, adattarsi a questa sorta di filosofia del quotidiano, ma tant’è, o ci si adatta o è meglio cambiare aria, il che “taglia la testa al toro” si potrebbe dire, anche se qui il detto suonerebbe forse improprio, dal momento che non siamo esattamente in Spagna…
    Gabriele Zani

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