Ci sono figure che, pur non conoscendo l’Edenamismo, lo hanno incarnato con una naturalezza sorprendente. César Manrique (1) è una di queste: artista totale, architetto, scultore, paesaggista, visionario capace di restituire dignità all’essenza più profonda del “ritorno”, molto prima che diventasse un concetto articolato.
Lui, figlio di Lanzarote, aveva intuito ciò che l’Edenamismo ripropone oggi con forza: la bellezza non va costruita, va liberata.
Manrique non progettava contro il paesaggio, ma insieme al paesaggio. Non sovrapponeva forme, le scavava. Non aggiungeva, toglieva. Era un maestro del demolizionismo creativo: riduceva il superfluo per far emergere la potenza originaria della lava, del vento, della luce.
In questo suo gesto essenziale c’è tutto il movimento edenamista: spogliare per rivelare, asciugare per permettere al luogo di respirare.
L’armonia come atto politico e spirituale
Manrique rifiutava la modernità che schiaccia e consuma. Denunciava una crescita edilizia senza anima, l’avidità turistica, la violenza della speculazione.
Era un “insorgente gentile” che usava l’arte per difendere la sua terra.
Edenamista, appunto: perché il suo non era solo un discorso estetico, ma etico.
“Un paesaggio deturpato è un’anima ferita”: questa frase, mai scritta da lui ma perfettamente sua, sintetizza la visione edenamista del luogo come estensione dell’essere umano.
Case nella lava: abitare l’origine
Nei suoi capolavori – Jameos del Agua, Mirador del Río, Casa del Volcán – c’è un principio che l’Edenamismo riconosce immediatamente:
abitare la natura senza violarla, anzi facendosi ospiti umili e consapevoli.
Le stanze scavate nelle bolle vulcaniche, i passaggi che seguono le linee della roccia, la luce che entra non dall’alto ma lateralmente come se rispettasse un pudore geologico: tutto in Manrique esprime una coesistenza dinamica.
Non un compromesso, ma un’alleanza.
L’arte come difesa del limite
L’Edenamismo parla spesso di equilibrio, soglia, limite.
Manrique trasformò il limite in legge urbana: tetti bassi, colori della terra, nessun grattacielo a violare l’orizzonte.
Capì che il paesaggio è un bene non rinnovabile, e che la libertà di costruire non è un diritto ma una responsabilità.
Il suo intervento a Lanzarote è un miracolo di governance naturale: l’isola è ancora oggi un territorio che respira, perché lui ha saputo dire “basta” quando nessuno aveva il coraggio di farlo.
Un’anticipazione dell’Edenamismo
Se l’Edenamismo è un “ritorno dinamico”, Manrique ne è stato uno dei più puri precursori:
ha privilegiato il vuoto sul pieno,
ha messo la natura come prima progettista,
ha celebrato l’autenticità invece della performance,
ha costruito luoghi in cui l’uomo si sente parte e non padrone,
ha visto nella semplicità non povertà, ma ricchezza essenziale.
Cosa insegna oggi a chi cerca un Edenamismo pratico
L’opera di Manrique è, per l’Edenamismo, un manuale vivo:
mostra come l’architettura possa diventare ecologia dell’anima;
dimostra che la bellezza non nasce dall’accumulo ma dalla sottrazione;
rivela che vivere “in armonia” non è un’utopia ma un gesto quotidiano: scegliere materiali locali, rispettare la topografia, accogliere il clima, evitare l’inutile.
Lui, come un antico artigiano dell’equilibrio, ha riportato l’uomo nel suo posto naturale: non al centro, ma dentro.
di Luca Bertagnon
(1) César Manrique (1919–1992), artista e architetto di Lanzarote, maestro dell’armonia tra uomo e natura.

