In un tempo in cui le leadership europee sembrano aver smarrito ogni bussola etica e razionale, alimentando una crescente voglia di guerra come strumento di consenso e di distrazione dalle proprie incapacità, il continente si avvita in una spirale di irresponsabilità collettiva.
Tra proclami bellicisti e retoriche di riarmo, ciò che un tempo era il sogno di una comunità pacifica e solidale – l’Europa unita – appare oggi come un organismo stanco, impaurito e incline alla coercizione.
La politica, schiava delle logiche militari e degli interessi industriali, ha smarrito la dimensione umana e spirituale dell’esistenza.
In questo scenario di decadenza morale e geopolitica, l’arcipelago delle Isole Canarie emerge come un luogo simbolico e concreto di rifugio.
Geograficamente distante dal continente, ma politicamente e culturalmente parte dell’Europa, esso rappresenta un raro punto di equilibrio tra appartenenza e distanza, tra identità e libertà.
Le Canarie sono Europa senza essere continente; sono confine, ma anche soglia.
Qui, dove l’Atlantico abbraccia l’Africa e l’aria profuma di vento e sale, sembra ancora possibile vivere secondo ritmi più naturali, meno contaminati dall’ansia di potere e dalla paura costruita dai media.
Per chi avverte il bisogno di sottrarsi al clima di isteria collettiva che attraversa l’Occidente, le Canarie possono diventare una nuova frontiera del rifugio europeo: non solo un luogo geografico, ma una condizione dell’anima.
Il loro isolamento relativo, la stabilità politica e climatica, il basso costo della vita, l’autosufficienza agricola e la cultura dell’accoglienza fanno di queste isole un laboratorio di resilienza e di sopravvivenza spirituale.
È qui che trova terreno fertile anche il pensiero edenamista, quella visione che invita a riconciliarsi con la natura e con sé stessi, rinnegando l’inutile e il superfluo per riscoprire l’essenziale.
L’Edenamismo non è fuga dal mondo, ma un diverso modo di abitarlo: non si oppone alla civiltà, ma ne ricerca la parte più autentica e pacificata.
Nelle Isole Canarie, dove la terra vulcanica ricorda la potenza creatrice della natura e il mare suggerisce il respiro dell’infinito, questa filosofia trova un luogo ideale di sperimentazione concreta.
Camminare tra i sentieri, coltivare la terra, ascoltare il vento: atti semplici che diventano meditazione, rigenerazione, presenza.
Immaginare il futuro dell’arcipelago in questa chiave significa ipotizzare una doppia traiettoria: da un lato, un crescente afflusso di cittadini europei alla ricerca di un’alternativa esistenziale, dall’altro una possibile tensione tra il bisogno di protezione e il rischio di sovraccarico demografico e speculativo.
Le Canarie, già oggi sottoposte a forti pressioni turistiche, dovranno scegliere se diventare un’appendice disordinata dell’Europa in fuga o un territorio capace di reinterpretare il concetto stesso di convivenza.
Si può immaginare, in uno scenario più evoluto, un arcipelago sostenibile e autogestito, in cui l’energia solare e il rispetto per l’ambiente sostituiscano il modello di consumo importato dal continente.
Piccole comunità dedite all’agricoltura rigenerativa, all’artigianato, alla meditazione dinamica e al vivere semplice potrebbero fiorire in ogni isola, costituendo nuclei di nuova umanità: non colonie di esuli, ma centri di rinascita.
L’Europa, logorata dalla propria paura, potrebbe così ritrovare nelle sue isole più lontane una speranza di equilibrio e di riconciliazione con la natura.
In un futuro non lontano, se il continente continuerà a preferire la corsa agli armamenti al dialogo, e il riarmo all’autocritica, non sarà impensabile che l’arcipelago diventi una nuova Atene sull’oceano, una “zona di pace europea” dove cultura, spiritualità e natura convivono.
Lontano dai venti di guerra, ma non dall’idea d’Europa.
Un’Europa che, per salvarsi, potrebbe dover tornare a respirare dove il continente finisce e inizia il mare.
Luca Bertagnon

