
Nel mio peregrinare tra spiagge più note e calette segrete, tra tratti di sentiero costiero che spesso si interrompono senza una precisa ragione, per girare i video del mio canale YouTube Camminare Tenerife, ho notato una distonia che non smette di sorprendermi: quella tra la bellezza assoluta dei luoghi e l’abbandono in cui troppo spesso versano.
Il nord di Tenerife è un piccolo scrigno di paesaggi mozzafiato, un mosaico di rocce vulcaniche che si tuffano nell’oceano formando ricami preziosi, scogliere verticali che impongono rispetto e silenzio, e charcos — le pozze naturali di acqua marina — che regalano momenti di pace e immersione nella natura.
Ma accanto a questa meraviglia, a questa potenza estetica e geologica, si manifesta un lato oscuro: spiagge chiuse, accessi interdetti, aree lasciate al degrado e sentieri che si interrompono improvvisamente senza un motivo apparente, quasi a scoraggiare l’esplorazione.

Chi conosce la costa settentrionale dell’isola sa che non ha nulla da invidiare al sud in termini di fascino. Anzi, qui la natura è più selvaggia, più autentica, meno addomesticata dal turismo di massa.
Le spiagge del nord non sono lunghe distese di sabbia dorata come quelle di Las Américas o Los Cristianos, ma piccole baie scure, di sabbia nera finissima o di ciottoli levigati, incastonate tra pareti di basalto e bananeti, dove l’oceano arriva impetuoso e la schiuma si infrange con forza.

Spiagge come El Bollullo, Los Patos, El Ancón nella Valle de La Orotava, o El Socorro a Los Realejos, sono luoghi che rapiscono per la loro atmosfera.
Ma quante di esse, pur essendo amatissime dai residenti e dai viaggiatori più curiosi, restano difficilmente accessibili o addirittura interdette?
Gli esempi concreti purtroppo abbondano. A Buenavista del Norte la Playa de La Arena, uno dei gioielli della costa, versa in totale abbandono e i charcos non ricevono alcuna cura.
A Los Silos le piscine municipali restano chiuse e il litorale appare completamente trascurato. A Garachico il Mirador de Emigrante è sbarrato, mentre il litorale del Guincho sembra dimenticato dalle istituzioni.

A El Tanque colpisce il caso del Mirador de Los Lavaderos, ristrutturato con spese milionarie ma mai pienamente fruibile, con una caffetteria che non ha mai aperto i battenti.
Proseguendo verso est, Icod de los Vinos mostra un litorale in stato di abbandono e la Playa San Marcos, pur essendo una delle poche spiagge cittadine, versa in condizioni che molti definirebbero deplorevoli.
A La Guancha la Playa de Santo Domingo è chiusa da anni, con strade di accesso in condizioni precarie.
A San Juan de la Rambla il mirador di Mazapé è chiuso da tempo e l’intero litorale appare desolato.

A Los Realejos, la Playa de El Socorro, molto frequentata, necessiterebbe di una ristrutturazione urgente; il chiringuito è chiuso da anni e la vicina Playa de Los Roques è sbarrata e abbandonata.
Anche La Orotava soffre di un abbandono pressoché totale del proprio litorale, con strade di accesso dissestate e la meravigliosa spiaggia di Los Patos di nuovo chiusa da mesi.
La Matanza e El Sauzal vedono i loro tratti di costa trascurati e difficili da raggiungere, mentre a Tacoronte le piscine naturali del Pris e quelle di Mesa del Mar sono lasciate senza interventi di riqualificazione.
Questo elenco, che potrebbe continuare, restituisce l’immagine di un patrimonio naturalistico straordinario ma scarsamente valorizzato.
Passeggiando lungo i sentieri che conducono a questi lidi, ci si accorge subito di quanto sia frequente trovare cancelli chiusi, frane non messe in sicurezza, cartelli che vietano il passaggio.
A volte si ha l’impressione che i percorsi vengano lasciati al loro destino, come se la natura dovesse da sola decidere chi potrà accedervi.

Eppure, questi angoli nascosti rappresentano un patrimonio unico.
Non solo per l’estetica e l’esperienza sensoriale che regalano, ma anche per l’opportunità di educare i visitatori a un rapporto più consapevole con l’ambiente.
Basterebbe poco: manutenzione costante dei sentieri, segnaletica chiara, messa in sicurezza dei tratti pericolosi.
Così si potrebbe trasformare questa parte dell’isola in un laboratorio di turismo sostenibile, lontano dalle folle e dalle costruzioni invadenti che caratterizzano altre zone.
Invece, chi esplora il nord si trova spesso immerso in un silenzio quasi irreale.
Non solo quello naturale, meraviglioso, del vento e delle onde, ma anche quello di luoghi dimenticati dalle istituzioni.
C’è una sensazione di solitudine che può affascinare ma anche intristire: spiagge chiuse da anni, accessi franati mai ripristinati, scalinate che si sgretolano sotto la salsedine.
Viene allora da chiedersi: si tratta di semplice incuria o di una scelta precisa?
Si vuole davvero che il turismo di massa resti concentrato al sud, mentre il nord rimane per pochi, quasi protetto dalla difficoltà di accesso?
Forse è un bene che esistano ancora luoghi difficili da raggiungere, perché questo ne preserva il fascino selvaggio.
Ma è giusto che tanti angoli di paradiso restino inaccessibili o abbandonati, privando i residenti e i visitatori di un’esperienza che potrebbe essere straordinaria?
E che sia davvero così, che si voglia deliberatamente canalizzare il turismo di massa al sud?
di Luca Bertagnon

