“Un vecchio ci raccontò quanto segue: C’era un giovane guanche della nobiltà del grande Tinerfe che, dedicandosi con vivo ardore a feste e banchetti e al gioco d’azzardo, arrivò al punto di perdere tutto il suo bestiame.
Vedendosi completamente perduto, da Goimar, dove risiedeva, finì sulle cime di Vilaflor.
Lì, annoiato a morte, invocò Guayota (il diavolo del Teide) e gli apparve un fantasma che lo spinse avanti.
Camminando, si ritrovò tra dei pini giganteschi, dove gli venne incontro una vecchia che lavava delle pelli in uno stagno.
La vecchia gli dice: «Torna indietro, ti sei perso, da qui non si sale alla dimora di Guayota (il Teide); se questo è il tuo desiderio, continua su per questo dirupo».
Poco dopo, seduto ai piedi di una cascata dalle acque cristalline ma acidule (aspre), trova tre belle guanchas che si chiamano, secondo loro, Vilaflor, Jaruma e Tindalla.
Mentre Vilaflor si sta lavando i piedi, lui le prende una scarpa e scappa, ma lei gli grida che lo sposerà.
Lui si arrende e Vilaflor gli dice: «Va bene, ti aiuterò; mio padre è Guayota (il diavolo) che tu cerchi e queste altre due ragazze così belle sono le mie sorelle; guarda, sta arrivando, se ti manda con un gánigo (galoppino) a prendere l’acqua da una brocca molto grande, è per spingerti e affogarti, non andare, digli che non sei un plebeo».
Vilaflor lo conduce alla sua caverna e il padre ordina allora che, per sposare sua figlia, deve andare sulla montagna vicina, dissodarla, seminarla e raccogliere i fagioli quando saranno maturi.
Alla fine gli consegnò i fagioli, ma il diavolo gli ordinò nuovamente di andare al mare in cerca di una collana di perline di argilla rossa che sua moglie aveva perso mentre faceva il bagno.
E così fecero, ma arrivarono alla loro grotta, sfiniti dalla stanchezza, sentirono le grida di Guayota che diceva: “Dammi la collana e l’anello, altrimenti muori”.
“Visto questo disse la moglie, digli che lo sposeremo con una delle nostre figlie”.
Per scegliere una delle tre, fece loro infilare le mani attraverso una parete di canne, e il nostro eroe tirò quella a cui mancava il dito, che era Vilaflor, e il padre la diede a lui.
Giunta la notte, Vilaflor dice al marito: «Stasera mio padre verrà ad ucciderci entrambi».
Per evitarlo, decidono di riempire due sacchi di pelle di capra con sangue di pecora e aria e li mettono sul letto coprendoli con delle pelli, poi fuggono verso Adeje.
Il padre arrivò furtivamente a mezzanotte alla grotta dei novelli sposi e improvvisamente iniziò a picchiarli a sangue, e alla fine li trafisse più volte con la sua lancia di barbuzano (legno).
Scuarciò i sacchi, vide il sangue e Guayota si ritirò convinto di aver dissanguato sua figlia e marito e che fossero ormai cadaveri.
Il giorno dopo la moglie di Guayota scoprì l’inganno e lo raccontò al marito ridendo: «Guarda bene, non vedi che sono pelli? Sono più diavoli e stregoni di te; ma corri al loro inseguimento e uccidili lungo la strada».
Si mise in marcia e quando fu riconosciuto dalla figlia, questa si trasformò in Mocan (albero) e suo marito, come un finto contadino, cominciò a raccogliere da terra i frutti caduti.
Guayota gli chiese della coppia e lui rispose che non aveva visto passare nessuno.
Sua moglie, ridendo fragorosamente, gli disse: «Pezzo di goro (maiale) – che significa anche porcile o porcilaia – quello a cui hai chiesto era il marito e l’albero di Mocán era tua figlia, andiamo a prenderli».
I figli si arrampicano sulla rupe chiamata oggi «Monte dell’acqua acida» e quando si avvicinano a loro, come per incanto, la figlia si trasforma in acqua acida e lui in una rupe da cui sgorga l’acqua.
Il giorno dopo, all’alba, tornano a cercare i due e li trovano a Vilaflor, ancora addormentati tra i pini.
Quando vedono arrivare la madre snaturata, lui si trasforma in un pino gigante, oggi chiamato Pino Gordo, e lei nel pino chiamato Madre del Agua.
Allora la moglie di Guayota, disperata per non trovarli, esclama: “Dimenticatevi l’uno dell’altra!”.
I pini rimasero lì come ricordo eterno e loro, i due giovani, tornati dal loro incantesimo, non si riconobbero più.
Lei andò ad Adeje e lui rimase a Chasna, poi Vilaflor.
Dopo un anno, l’eroe di cui sopra cerca di sposarsi e, durante una festa entra nella grotta una giovane donna snella, si mette in mezzo a tutti cantando fischiando e improvvisamente si inginocchia e guarda il soffitto della grotta invocando preghiere o esorcismi che nessuno capisce.
La guardano credendola pazza: sotto il suo lungo tamarco di pelli (una specie di mantello) portava un involucro di pezzi di pelle di capra lanuginosa a forma di persona e, fissando lo sguardo sul fidanzato che stava per sposarsi gli dice: Ti ricordi del gánigo (brocca) d’acqua che mio padre ti ha ordinato di prendere dal grande vaso?
Al che lui rispondeva – No!
Alla sua risposta, la giovane continuava a colpire delicatamente il pupazzo.
Lui piangeva e lei continuava.
Ti ricordi della montagna, della semina, della raccolta e della consegna dei fagioli coltivati? Sì, mi ricordo un po’.
Ti ricordi quando mi hai tirato fuori dal mare senza un dito della mano destra per andare a cercare una collana e un anello di argilla?
Il giovane, fissando la mano, si porta le sue sulla fronte come per richiamare alla memoria vaghi ricordi e lei continua dicendogli: «Non ti ricordi quando ho messo due pelli con sangue di pecora per salvarti la vita, quando mi sono trasformata in Mocán e poi in pino?
Ricordo bene, vieni tra le mie braccia, tu sei la mia Vilaflor, è con te che mi sposo ora, e il matrimonio si celebra con grande gioia di tutti i presenti.
Si sente un rumore terribile, la terra trema, i tremori si susseguono rapidamente, si sente un tuono spaventoso, tutti escono spaventati e lo spazio, nonostante l’oscurità della notte, è illuminato da un bagliore rosso scuro che illumina tutta l’atmosfera.
Lo sguardo si rivolge al Teide e questo vomita dal suo profondo seno rocce ardenti con rumori spaventosi, ripetuti dagli echi delle montagne.
Ceneri ardenti cadono ai piedi dei guanches terrorizzati, un odore di zolfo penetra nell’olfatto e un formidabile fiume di lava ardente a forma di cascata di fuoco si precipita giù da una montagna.
È il vulcano del Teide, dimora di Guayota, che, venuto a sapere del matrimonio di sua figlia Vilaflor, duramente adirato perché credeva che le sue figlie fossero morte.
Scaglia contro di loro il fuoco degli abissi infernali e terrestri, con spaventosi boati, che sono le urla disperate di Guayota, che vuole trasformare con i suoi fuochi l’isola di Nivaria (Tenerife) in una roccia vulcanica bruciata, spoglia, deserta e isolata in mezzo all’oceano.
Cosa che non riuscì a ottenere perché tutti invocarono Achuhuran (Dio), che aveva più potere di lui, e l’isola fu salvata.
Tradotta dal web

