L’impetuosa ascesa della quotazione dell’oro innescata da qualche tempo dalla concomitante emergenza di una serie di fattori, dai focolai di tensione geopolitica che ardono in diverse aree cruciali del pianeta ai tentativi di alcuni nuovi protagonisti sulla scena internazionale di insidiare la supremazia valutaria del dollaro, inducono alcuni a chiedersi se farebbero ancora in tempo a salire sul treno dell’impennata del metallo più ambito e mitizzato in assoluto, a cui dalla notte dei tempi tutte indistintamente le culture hanno attribuito un valore venale e per il cui possesso nel corso dei secoli molte guerre atroci e sanguinose sono state combattute e infiniti crimini meschini o efferati sono stati commessi.
A rifletterci spassionatamente, a me questo valore sembra ingiustificato dalla funzione meramente ornamentale dell’affascinante metallo giallo, che solo in tempi moderni ha trovato qualche sbocco industriale, peraltro limitato proprio dal suo alto costo… ma poiché niente vale nulla in sé, bensì ogni cosa vale tanto quanto è disposto a pagarla la cupidigia di chi la desidera, e la funzione economica da millenni universalmente attribuita all’oro è una realtà incontestabile, rimandiamo ad altra occasione questa discussione semifilosofica e attenendoci ai fatti limitiamoci ad approfondire perché questa antichissima credenza nel valore dell’oro potrebbe essere incrinata, o addirittura distrutta, se l’ipotesi formulata da un’indagine astrofisica si rivelasse fondata.
Tra Marte e Giove galleggia nello spazio l’asteroide Psyche 16, dalla sagoma irregolare ma che in un diametro massimo di circa 220 chilometri si suppone che contenga il maggior giacimento d’oro conosciuto nel nostro sistema solare, il cui valore è stimato in circa 10 quintilioni di euro, un numero pari a 10 elevato alla trentesima potenza e che se scritto per intero si comporrebbe di un 1 seguito da ben 30 zeri… una ricchezza che alcuni computer hanno calcolato equivalente a 100.000 volte il valore dell’intera produzione mondiale annua e quindi talmente astronomica e stellare – date le circostanze il gioco di parole è appropriato – che la mia mente umana, per quanto si diletti di matematica, si confonde a immaginarla.
Lo scopritore, l’astronomo Annibale de Gasparis, direttore dell’Osservatorio astronomico napoletano di Capodimonte nella seconda metà del 19° secolo, quando ancora nemmeno si poteva sospettare l’immenso tesoro racchiuso in quel lontanissimo asteroide, lo intitolò a Psyche – una ragazza umana assurta alla divinità perché amata dal dio Cupido, secondo la leggenda rievocata nelle Metamorfosi dello scrittore latino Apuleio – aggiungendovi il numero 16 perché quel corpo celeste era il sedicesimo da lui scoperto.
In tempi molto più vicini a noi però la massa di roccia e metallo vagante nello spazio ha suscitato l’interesse della NASA e dell’eclettico imprenditore e miliardario statunitense Elon Musk (dei cui contrasti col presidente Trump ho parlato nello scorso numero di agosto di questo giornale), che il 13 ottobre 2023 hanno lanciato congiuntamente una sonda prevista in arrivo su Psyche 16 ad agosto del 2029, quindi ormai tra meno di 4 anni, dopo essersi avvicinata preventivamente a maggio 2026 al pianeta Marte per sfruttarne la cosiddetta “fionda gravitazionale”, cioè per guadagnare nel prosieguo della sua navigazione spaziale la spinta impressale dalla temporanea entrata nell’orbita del pianeta rosso.
La missione, che per l’ingentissimo investimento iniziale di per sé dimostra – non essendo sicuramente la NASA e Musk degli sprovveduti – che non si tratta di fantasie, intende appurare la composizione minerale dell’asteroide, ipotizzata di roccia e metalli con forte predominanza di oro.
Se le analisi confermeranno l’ipotesi della sua massa aurifera – comunque già suffragata da attente osservazioni e accurati calcoli – resta da vedere chi e come avrà le capacità scientifiche e finanziarie necessarie per appropriarsi di quella vertiginosa ricchezza, e non ho dubbi che nonostante l’enorme distanza e le difficoltà logistiche, data la posta in gioco un modo si troverebbe.
Per il momento possiamo solo speculare su quali ne sarebbero le conseguenze: ripartendosi il colossale tesoro gli abitanti del pianeta Terra diverrebbero tutti plurimilionari, come alcuni “divulgatori” alla ricerca di facili click e likes fantasticano in internet…?
Come sempre la realtà sarebbe diversa da quella superficialmente arzigogolata dai fabbricanti di sogni virtuali: se l’oro diventasse sovrabbondante, per la legge dell’utilità marginale decrescente la conseguenza inevitabile sarebbe un cataclisma economico, cioè il suo prezzo crollerebbe praticamente a zero.
Faccio un esempio per chiarire il concetto di utilità marginale decrescente: se dopo una lunga camminata sotto il sole in un giorno di temperatura rovente la sete ci rendesse disposti a pagare a caro prezzo una bibita ghiacciata per ricavarne un altissimo sollievo e piacere (utilità marginale alta), un secondo bicchiere potrà essere ancora gradevole ma meno del primo e non saremmo disponibili a pagarlo tanto quanto l’altro; e di un terzo bicchiere ci importerebbe ben poco e per berlo non sborseremmo nessuno dei due prezzi precedenti.
Analogamente, se dall’asteroide si importasse tanto oro da inondarne i mercati, la sua utilità marginale, cioè la sua desiderabilità che opposta all’odierna quantità limitata lo rende tanto costoso, decrescerebbe fino ad azzerarsi, trasformandolo in un bene chiamato dagli economisti “libero”, ossia disponibile in natura in quantità illimitata e gratuita come il sole o l’aria, per la quale nessuno calcola o chiede un prezzo tranne in casi particolari, ad esempio per le bombole di ossigeno indispensabili nelle immersioni sottomarine dove l’utilità marginale dell’aria è altissima… perché non ce n’è.
Arrivati a questo punto la riflessione sul crollo del prezzo dell’oro sembrerebbe già conclusa, ma non è così… altrimenti, come accennavo più sopra, i promotori scientifici ed economici della missione spaziale non avrebbero affrontato le fatiche e le ingentissime spese dello studio preliminare, della realizzazione ingegneristica e del lancio della sonda; invece la questione del valore dell’oro resterebbe aperta anche dopo l’eventuale conferma della sua massiccia presenza su Psyche 16, perché se dalla notte dei tempi, per i fattori concomitanti della relativa scarsità e della domanda costantemente alta, il prezioso metallo ha sempre avuto e tuttora ha una funzione monetaria – cioè la preservazione di un valore economico nel tempo – in epoca moderna l’ammaliante metallo giallo ha rivelato anche alcune caratteristiche idonee ad applicazioni industriali: ad esempio è un eccellente conduttore elettrico, e se la sua sovrabbondanza lo rendesse poco costoso lo si potrebbe inserire nei circuiti aumentandone notevolmente l’efficienza e la durata e quindi riducendone i costi; o lo si userebbe nell’elettronica, o in medicina per produrre protesi o strumenti chirurgici, o nei satelliti e nell’industria aerospaziale per proteggere dalle radiazioni gli scafi delle navicelle. o se ne fabbricherebbero oggetti e strumenti oggi realizzati con altri metalli soggetti ad arrugginimento e quindi a deterioramento… tutte destinazioni d’uso oggi rese impraticabili dall’altro concetto economico del “costo di opportunità”, ossia del valore comparativo tra il vantaggio ottenibile dall’uso di un bene e il costo della rinuncia a uno o più utilizzi alternativi; nel nostro caso, destinare il carissimo oro agli utilizzi industriali succitati attualmente avrebbe un “costo di opportunità” proibitivo, perché assorbirebbe capitali ingentissimi sottraendo troppe risorse ad altri impieghi, mentre se l’oro non fosse più considerato un metallo prezioso, ma diventasse un bene di consumo diffuso e poco costoso, diverrebbero più accessibili numerosissime e svariate applicazioni industriali, e addirittura le sue caratteristiche fisiche e chimiche potrebbero far ideare nuovi prodotti e servizi oggi sconosciuti.
Questa maggiore efficienza dell’oro riproporrebbe allora il classico paradosso economico di Jevons, lo studioso britannico che nel suo “The Coal Question” (La questione del carbone) osservò nel 1865 che l’invenzione del motore a vapore di James Watt aveva aumentato il rendimento del carbone rispetto agli utilizzi in macchinari precedenti, e pur consumandosene meno in ciascun singolo apparato per questa sua nuova maggiore efficienza, il suo utilizzo più intenso ne aveva incrementato il consumo complessivo e quindi la domanda e il prezzo.
Analogamente, in due scenari diversi ma entrambi plausibili, la maggiore efficienza industriale dell’oro rispetto ad altri materiali, conseguente alla sua sopravvenuta abbondanza ed economicità, potrebbe espanderne il consumo e sostenerne la quotazione; oppure, per evitare di deprimerla, l’estrazione di oro da Psyche 16 potrebbe essere contingentata: queste scelte strategiche eventualmente competerebbero a chi avesse la capacità tecnica e i capitali necessari – e magari anche la potenza militare – per accaparrarsi lo sfruttamento dell’asteroide.
In ogni caso agosto 2029, quando la sonda accerterà la composizione di Psyche 16, potrebbe marcare l’inizio di rivoluzione economica, sia che a suo tempo si scelga di inondare di oro i mercati per popolarizzarne l’uso in nuove applicazioni, o che invece si decida di centellinarne l’estrazione per sostenerne il prezzo – un po’ come mutatis mutandis oggi l’OPEC fa col petrolio – perché anche in quest’ultimo caso la minaccia costante di un repentino cambiamento di strategia dal contingentamento alla liberalizzazione di quelle enormi quantità, possibile in qualsiasi momento con conseguente crollo della quotazione, potrebbe bastare a calmierarne il costo.
Francesco D’Alessandro

