Oltre le guerre, gli orizzonti della ragione.
Spesso ricevo messaggi o mail dai lettori di Leggo Tenerife, positivi e non, ma sempre graditi.
Tutto serve.
Vorrei usare i messaggi che ho ricevuto, come base dell’articolo di Ottobre.
In positivo e in negativo sottolineano l’assenza di un articolo sull’Ucraina e sulla questione di Gaza.
Sarò semplice e concisa, in spagnolo si direbbe che l’argomento “me queda grande” ossia, il dramma del complesso arcipelago delle vittime coinvolte sui due fronti di questa follia, già soffre il verbiloquio dei troppi volenterosi produttori di interventi largamente innecessari.
Personalmente, credo che il silenzio sia doveroso per tutti tranne pochissimi grandi professionisti di comprovata preparazione e serietà in grado di orientarci in un pantano di bugie e distorsioni di difficilissima comprensione.
Vorrei appunto riflettere con voi, oggi, sul luogo il modo e il momento in cui esprimere un’opinione è necessario, utile, inutile, dannoso, utile alla controparte.
E’ difficile, quando non impossibile oggi, partecipare a un dibattito senza portare acqua al pozzo del padrone.
Aborro l’anti italianismo italiano identico nei governi di destra e di sinistra, entrambi proni allo zio d’America e ai suoi interessi.
La polarizzazione e semplificazione di qualsiasi argomento -dopo l’apoteosi del periodo del covid- è la fata dei denti di un potere senza né colore né bandiera che ha bisogno di divisioni senza utilità e senso per mantenerci distratti e innocui.
“Maledetti fascisti”, “maledetti rossi”, e tutti guardano ai bordi del campo, mai al centro, dove gli oligarchi si spartiscono il mondo.
In Italia io sarei per strada a chiedere il rispetto della costituzione di un paese che ripudia la guerra come soluzione di un conflitto, russo ucraino o israelo palestinese che sia.
Ci sarei per il bisogno di esserci, ma senza illusioni.
Quello che mi preoccupa oggi come oggi, è il conformismo del dissenso, esiste un format del dissenso che si articola su idee pronte e diffuse dai media di proprietà delle stesse 5 facce che scelgono i governi.
Il grande assente del dibattito oggi, è il nuovo, l’originale, la rottura.
La rottura l’abbiamo vista al porto di Genova, la vedemmo con John Kennedy, Pasolini e Mattei, con i black block e con i nazionalisti catalani o irlandesi.
Il nuovo che cambia, il dissenso che tocca i nervi scoperti del potere, finisce sempre nello stesso modo.
Il mondo web dei canali del dissenso ha dei limiti di diffusione definiti da una censura capillare e invisibile, gli intellettuali -pure eccellenti- estromessi dal main stream, hanno tutti lo stesso pubblico consenziente, il cui numero non costituisce un pericolo.
Se così non fosse, quei canali verrebbero chiusi nel tempo di un -puf- perché è già realtà il controllo della retorica della comunicazione, che è la vera forza del potere.
Facciamo un esempio: dilaga ormai l’espressione “due nazioni due stati“ in bocca ai più disparati oratori, prima guai a dirlo, ora guai a non dirlo.
E’ come il cartello andrà tutto bene dei giorni del covid: nessuno ci crede, ma funziona come lo smile sulle magliette.
Illuminante può essere la risposta ricevuta dal Direttore Caracciolo del sempre ottimo Limes, che ha chiesto a moderati israeliane e palestinesi di disegnare i confini dello stato nazione in cui si sarebbero sentiti garantiti e sicuri.
Ebbene, le aree geografiche disegnate sono esattamente le stesse, sono sovrapponibili.
Lo capisce un bimbo che quella convivenza, un tempo semplice, non sarà mai possibile.
Dobbiamo assumere che i ministri della difesa e i direttori dei media main stream non lo sanno e credono in questa formuletta elementare?
Dai…
La colpa di aver compresso due nazioni su un fazzoletto di terra in posizione strategica e aver esasperato le differenze, soffocando le affinità, è dei padroni del mondo di prima generazione, i giganti del colonialismo.
E’ loro che bisogna andare a prendere sotto casa.
Ma finché ci spingeranno negli angoli del ring a tirarci le uova marce fra di noi per stabilire se la colpa sia di Israele o della Palestina, ci terranno occupati in qualcosa di diverso dal presentare il conto di un dramma bilaterale, a chi, sul banco degli imputati della storia, merita una condanna senza appello.
I civilissimi occidentali esportatori di colpi di stato e dittatori fantoccio.
Pertanto, chiarito il motivo per cui mi rifiuto di fare parte dell’ennesima baruffa di miliziani ricchi di poche o disattente letture, vi suggerisco una volta di più di buttare giornali e telefonini e tornare sui libri di storia.
Vi accorgerete che la complessità della situazione non ammette, oggi come oggi, soluzione alcuna, e che questo, lungi dall’essere di sollievo ai milioni di anime coinvolte in questo scempio a molti differenti livelli su entrambi i fronti, è innanzitutto una bruttissima notizia per noi.
Ma non cercatela sul telegiornale, lì vi diranno solo che la guerra è bella anche se fa male e tornerete a casa a Natale, ma è una bugia.
Claudia Maria Sini

