Preoccupazione alle Canarie perché la nuova normativa sul turismo potrebbe indebolire la conservazione del territorio agricolo tradizionale.
Chi non ha mai provato un leggero capogiro cercando di decifrare un decreto autonomo il venerdì pomeriggio?
Quel momento in cui i “campeggi in edifici rurali isolati” sembrano un piano idilliaco… fino a quando non compare l’articolo 3 con il suo gergo contorto.
Nelle Canarie non è diverso: la bozza che regolerà gli alloggi turistici all’aperto ha sollevato più di un sopracciglio.
E no, non solo tra gli albergatori, ma anche nel settore agricolo, dove ogni parola può significare la perdita o la salvezza di ettari di terreno fertile.
Per questo motivo, l’Ordine degli Ingegneri Agrari del Centro e delle Canarie, che conta ben 1.600 professionisti, ha deciso di passare dai sussurri al documento ufficiale e di presentare delle osservazioni.
Perché quando la norma è ambigua, ne risente il raccolto e, di conseguenza, le tasche di tutti.
In primo luogo, il concetto: l’articolo 3 descrive degli accampamenti che, secondo gli ingegneri agronomi, sembrano usciti da un catalogo turistico piuttosto che dalla realtà agricola.
La sua formulazione mescola il patrimonio culturale con l’alloggio effimero e lascia nel limbo il significato di costruzione integrata nel territorio.
Inoltre, l’ubicazione in “terreno rustico” suona bene in un PowerPoint, ma senza criteri chiari può aprire la porta a improvvisazioni urbanistiche.
Qui il rischio è duplice: si offusca la funzione produttiva della campagna e si banalizza la conservazione del paesaggio canario, quello che tutti vantiamo su Instagram.
Quali modifiche propone l’Ordine degli Agronomi?
Prima che il decreto venga stampato su carta intestata, gli agronomi propongono di mettere mano a due articoli chiave e di chiedere, con gentilezza ma con fermezza, obiettività nera su bianco.
- Nuovo testo per l’articolo 3: richiedere che gli edifici si trovino all’interno di aziende agricole attive, iscritte nei registri REAC e REGAC, e che conservino il patrimonio culturale delle Canarie.
- Chirurgia all’articolo 79: collegare realmente (e non solo a parole) ogni alloggio a un’azienda agricola registrata il cui titolare sia un agricoltore professionista o un’entità dedicata principalmente all’attività agricola.
Con queste modifiche, la norma passerebbe da “brochure turistica ambigua” a “strumento chiaro che protegge la campagna”.
Il suolo rustico delle Canarie non è un semplice scenario vulcanico per selfie: è strategico.
Produce alimenti che riducono la dipendenza dall’estero, protegge dagli incendi e dalle inondazioni, genera habitat naturali e, come bonus, aiuta a raffreddare il pianeta.
Se il decreto dimentica questo dettaglio, il turismo guadagnerà posti letto, ma l’isola perderà il suo materasso ecologico.
Da qui l’insistenza degli agronomi nel proteggere ogni metro coltivabile.
Perché quando la terra fertile scarseggia, non si tratta solo di romanticismo rurale, ma di sovranità alimentare.
Chi gestisce aziende agricole o intende offrire alloggi deve, in primo luogo, confermare che la propria azienda è iscritta al REAC e al REGAC; senza questi timbri, l’articolo 79 chiuderà loro la porta.
In secondo luogo, è opportuno verificare se l’edificio fa effettivamente parte del patrimonio culturale delle Canarie o, almeno, se si integra nel paesaggio senza deturparlo.
Infine, ogni progetto turistico deve essere accompagnato da un piano agricolo: questo dimostrerà che il terreno continuerà a produrre e non diventerà un semplice scenario per foto con cappelli di paglia.
In questo modo, la norma potrà armonizzare turismo e conservazione senza che la burocrazia (articoli, registri e altro) diventi un altro mostro che divora terreno fertile.
Perché, alla fine, ciò che è in gioco nelle Canarie non è un semplice appezzamento di terreno sulla mappa, ma il loro futuro agricolo e quello di chi vive dei suoi frutti.
Franco Leonardi

