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    Le Canarie cercano alternative al turismo di massa: la cultura è una di queste?

    Foto di Cristiano Collina

    Oltre la retorica culturale

    Partendo da un articolo della stampa locale intitolato “¿El turismo cultural es la alternativa a la masificación en Canarias? (Il turismo culturale è l’alternativa alla massificazione nelle Canarie?), solleviamo una riflessione sull’affermazione proposta. 

    A fronte di una retorica che spesso propone la cultura come soluzione salvifica, ci chiediamo se questa ipotesi regga davvero alla prova dei fatti, alla luce dei dati e delle analisi contenuti nello stesso articolo.

    Una diversificazione necessaria… ma reale

    Diversificare l’offerta turistica è una delle sfide più ricorrenti per le Canarie, da sempre associate al turismo di “sole e mare”. 

    In questo contesto si inserisce il turismo culturale, un segmento motivato dalla visita a patrimoni storici, musei, esperienze gastronomiche e molto altro. 

    Ma l’Arcipelago promuove davvero questo tipo di turismo? 

    E può considerarsi una risposta concreta alla saturazione turistica?

    Dati impietosi: la cultura resta marginale

    Il rapporto “I settori culturali e creativi in Spagna” della Fondazione COTEC rivela che, nonostante le Canarie e le Baleari siano tra le regioni più visitate del Paese, non spiccano per turismo culturale. 


    In particolare, alle Canarie solo l’1% delle presenze turistiche è attribuibile a motivazioni culturali, ben lontano dal 65% registrato in regioni come la Galizia.

    Questo dipende dalla motivazione principale dichiarata dai turisti al momento della rilevazione statistica: la cultura raramente è indicata come primo motivo per visitare le Canarie. 

    Tuttavia, esiste un segmento di viaggiatori attratti dall’offerta culturale presente in tutte le isole, anche se con percentuali molto basse.

    Motivazioni turistiche sempre più sfumate

    È vero che oggi è più difficile isolare una sola motivazione turistica. 

    Anche chi parte con l’obiettivo principale di rilassarsi al sole, finisce in molti casi per consumare cultura durante il soggiorno.

    Il paradosso dell’offerta culturale canaria

    Secondo Alberto Jonay Rodríguez, direttore del Master in Direzione e Pianificazione del Turismo dell’Università di La Laguna (ULL), e Matías González, direttore della Cattedra di Cultura, Sviluppo e Territorio dell’Università di Las Palmas de Gran Canaria (ULPGC), il turismo culturale è già presente, in una certa misura, nell’offerta dell’arcipelago. 

    Tuttavia, un’eventuale promozione più incisiva richiederebbe una seria riflessione sulla sua sostenibilità. Rodríguez ammette che “l’immagine proiettata dalle Canarie è legata soprattutto a natura, spiaggia e clima”, e che “la cultura è stata storicamente meno promossa”. 

    Eppure, per mantenere la competitività del brand turistico, l’Arcipelago ha sempre più bisogno di rinnovarsi, e la cultura può contribuire a rendere il territorio più unico e riconoscibile rispetto alla concorrenza.

    Promuovere cosa, esattamente?

    L’insieme di affermazioni fornite dagli esperti appare quanto meno contraddittorio e, in certa misura, intellettualmente discutibile. 

    Da un lato si riconosce che il turismo culturale è già presente, seppur in modo marginale; dall’altro si afferma che servirebbe promuoverlo con maggiore decisione, ma solo a patto di riflettere sulla sua sostenibilità. 

    Eppure, si sostiene anche che la cultura è stata finora poco valorizzata e che rappresenterebbe una risorsa per differenziare l’immagine turistica dell’Arcipelago. 

    Questi passaggi, letti uno dopo l’altro, sembrano piuttosto un tentativo di tenere insieme posizioni opposte senza prendere una posizione netta.

    La verità scomoda che si tende a evitare è che le Canarie hanno già sfruttato tutto ciò che potevano in termini di offerta culturale. Sono stati valorizzati persino elementi minimi — talvolta marginali — nel tentativo di allargare uno spettro culturale che, in termini comparativi, resta limitato. 

    A voler essere franchi, il patrimonio culturale canario non è né vasto né variegato, e continuare a insistere sulla sua “potenzialità” rischia di apparire come una formula vuota, utile solo a mascherare l’assenza di una vera alternativa al modello turistico dominante. 

    Parlare di cultura come chiave di svolta, senza indicare contenuti concreti, strumenti reali e orizzonti fattibili, significa solo prolungare l’illusione senza incidere sulla realtà.

    Turismo insostenibile: la realtà ignorata

    Rodríguez avverte: “Non ci sono turismi buoni e cattivi: tutti possono rivelarsi insostenibili”. 

    A supporto della tesi cita esempi internazionali: l’impatto ambientale del turismo naturalistico sul Teide o alle cascate dell’Iguazú; i problemi legati al sovraffollamento urbano a Barcellona; o le criticità del turismo culturale a Venezia e a Parigi, in particolare in relazione all’uso intensivo del museo del Louvre.

    Anche in questo caso, però, emerge una contraddizione di fondo. 

    Se davvero tutti i modelli turistici possono essere insostenibili, perché non si riconosce apertamente che il turismo attuale delle Canarie è già oggi insostenibile, con i suoi 18 milioni di visitatori annuali in gran parte attratti dal binomio sole e spiaggia?

    Gli stessi luoghi citati da Rodríguez come esempi critici (Teide, Barcellona, Venezia, Parigi) servono solo a dimostrare che il problema non è potenziale ma già reale. 

    Parlare genericamente di rischi futuri senza affrontare l’evidenza di un presente saturo e squilibrato rischia di essere un altro modo per evitare decisioni coraggiose. 

    Dall’insuccesso naturale all’utopia culturale

    Matías González sottolinea che “La gestione del patrimonio naturale è stata un fallimento in termini di politiche pubbliche. 

    È da lì che dobbiamo partire per capire come organizzare correttamente la fruizione del patrimonio culturale”, afferma il docente.

    Il docente sottolinea che la sostenibilità culturale è una sfida doppia: “Bisogna creare valore nell’esperienza turistica e, allo stesso tempo, preservare e migliorare le condizioni del bene culturale”. 

    In altre parole, offrire esperienze significative senza cedere a dinamiche commerciali distruttive.

    Secondo l’esperto, le istituzioni pubbliche dovrebbero iniziare riordinando le risorse culturali esistenti e poi puntare su centri interpretativi capaci di monitorare la qualità e quantità dei flussi turistici, oltre a sensibilizzare i visitatori sulla fragilità del patrimonio.

    Il vuoto mascherato da buona volontà

    Tuttavia, anche in questo caso, il linguaggio usato appare più come una sequenza di concetti astratti che non una vera proposta operativa. 

    L’idea di “riordinare le risorse culturali” o di investire in “centri interpretativi” risulta vaga e teorica, soprattutto in un contesto in cui le risorse disponibili sono già state ampiamente esplorate e sfruttate. 

    Si ha l’impressione che si cerchi di dire tutto per non dire nulla, mantenendo un tono apparentemente tecnico per evitare di affrontare il nodo principale: l’offerta culturale delle Canarie ha margini stretti e non può diventare, realisticamente, il nuovo asse portante del turismo locale.

    Queste elucubrazioni, pur mascherate da buone intenzioni, rischiano solo di diluire la responsabilità della politica pubblica e di rinviare un confronto serio con i limiti oggettivi dell’arcipelago.

    Di Italiano alle Canarie

     

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