All’ingresso di Garachico, usciti dal lungo tunnel a grandi occhielli panoramici affacciati sull’oceano che la collega alla confinante Icod de los Vinos, una scritta in caratteri cubitali campeggiante sul lato sinistro del lungomare avverte con giusto orgoglio l’automobilista che già si trova in “UNO DE LOS PUEBLOS MÁS BONITOS DE ESPAÑA”, come recita il riconoscimento conferito nel 2021 a questa cittadina di circa 6.000 residenti.
Ma il passato di Garachico, fondata nel 1496 dal banchiere genovese Cristoforo de Ponte, è cosparso di eventi drammatici che ne marcarono il declino dall’iniziale ruolo di principale porto dell’isola, poi gradualmente reclamato nei secoli seguenti da Puerto de la Cruz.
Spiccano in questo infausto calendario la bufera che nel 1559 danneggiò gravemente l’abitato e il porto colando a picco numerose imbarcazioni all’ancora e la prolungata epidemia di peste che mezzo secolo dopo ne decimò la popolazione; e ancora la fortissima mareggiata del 1645 (ripetutasi nel 2021 con minore intensità, ma con danni comunque seri) e soprattutto l’eruzione del vulcano Trevejo 1.300 metri più in alto, iniziata il 5 maggio 1706 dopo un poderoso terremoto e durata 58 giorni, le cui sette spaventosamente inesorabili colate di rossa lava incandescente, alte da 5 a 10 metri, avanzando a circa 300 metri all’ora si abbatterono il giorno seguente sul porto e sugli edifici cittadini.
Così descrisse quel drammatico giorno di maggio il contemporaneo frate Andrés Abreu: “Gli abitanti appena ebbero il tempo e la forza di fuggire… donne, anziani, bambini, suore, malati, chi a cavallo, chi a piedi e chi a traino, caricatisi degli oggetti più preziosi si diressero precipitosamente a Icod…
Brillò in questa catastrofe la generosità del generale Don Agustín de Robles, che operando con grande sollecitudine per alleviare il disastro, sborsò di tasca propria più di 3.000 pesos per far giungere da molto lontano alimenti ai cittadini in fuga e mettere a loro disposizione bestie da soma per il trasporto.
I danni furono incalcolabili e il territorio ne fu sconvolto.”
Oggigiorno quotidianamente decine di turisti, ignari di quei terrori e angosce, si accalcano gioiosamente tra le capricciose volute rocciose delle “piscine naturali” sorte in mare oltre 3 secoli fa dallo scontro tra l’acqua e la lava incandescente inarrestabilmente calata dal vulcano, affollano i negozi di souvenir e le decine di ristoranti e bar ricchi di sapori di tanti angoli del mondo, e passeggiano silenziosamente ammirati nelle splendide taciturne vie del centro storico fiancheggiate da suggestivi antichi palazzi, forse evocatori di frammentati ricordi di un’esistenza precedente.
In questo breve omaggio a Garachico non consumerò spazio per descriverne le singole meraviglie né pubblicherò le vedute ravvicinate di monumenti, edifici e piazze… per contemplarli, lasciandovi trasportare nel tempo da sensazioni di cui le mie parole sarebbero solo una scialbissima anticipazione, saranno più utili – così vi auguro – le vostre proprie gambe e occhi.
Vi propongo invece alcune immagini più inusuali, scattate durante una lunga e spiritualmente rasserenante escursione tra i sentieri boscosi delle alture circostanti, da cui l’affascinante semicerchio di uno de los pueblos más bonitos de España si offre al viandante in tutto il suo perfetto splendore.
Francesco D’Alessandro

