Ricette con avanzi e rimasugli di una civiltà al tramonto.
Sto rileggendo un meraviglioso saggio di Luigino Bruni, “L’economia e la felicità degli altri”.
E’ vecchiotto ma mai scontato, il titolo basta per capire di cosa tratta.
La mia sensibilità politica è lontanissima da quella di Bruni, persona moderata e ordinata.
Io sono essenzialmente anarchica.
Non nel senso delle A scritte sui muri da persone inutilmente violente, piuttosto nel senso di una sfiducia congenita nella buona fede di qualsiasi governo.
Sono convinta che un principio di responsabilità diffuso funzioni meglio di qualsiasi imposizione dall’alto, che la libertà di pensiero non ammette steccati.
Un grande errore dei nostri tempi è il conformismo estremo dei ghetti per soli membri affini che ha quadrettato la società in recinti minimi di microsicurezza, affidati a criteri assolutamente irrilevanti a fronte di un discorso serio sulla libertà.
Senza senso di comunità allargato, non si raggiungono i numeri per l’autodeterminazione che è la condizione necessaria della libertà.
Ma a quale libertà sarebbe meglio ispirare un’azione alla Rodari, un’azione di educazione dal basso alla libertà responsabile?
La libertà del pensiero liberale, quella del libero sviluppo delle persone nel rispetto della libera iniziativa e della proprietà privata?
Oppure quell’altra libertà, basata sulla redistribuzione del reddito, perché la libertà di viaggiare non serve a chi non ha i soldi del biglietto di un treno?
La concentrazione della ricchezza mondiale in mano a un pugno di squilibrati, ci obbliga a una riflessione.
Il modello liberale ha fallito e quello comunista non è la soluzione.
I nuovi faraoni devono necessariamente perdere la loro posizione di forza ma come e a chi redistribuire la ricchezza mondiale immaginando di poterlo fare?
Secondo quale criterio?
In tempi di progressismo conformista, io azzarderei che la soluzione è un conservatorismo rivoluzionario, perché ci hanno fregato, hanno allargato le maglie della libertà che si vede, per disintegrare quella che non si vede, quella grande, sfumata in un eterno primo piano semplificatore.
Marco può percepirsi Giuditta nei giorni dispari ma è inerme rispetto all’onnipotenza dello stato, è impotente quando deve scegliere -nel sacro segreto delle urne- fra una escort e un tagliagole.
Può fare la guerra al glutine e al lattosio, ma non ha difesa dagli scarti alimentari ormai inclusi nell’80% dei prodotti di largo consumo.
Vorrei proporre un’apparente provocazione sulla quale vi invito a riflettere.
Alexis de Tocqueville nel classico dei classici sui rischi insiti in una democrazia, che riteneva inevitabile ma imperfetta, ragionava sul pericolo a lungo termine dell’ignoranza elevata a opinione.
E non sbagliava.
Ci governano primati incravattati, votati dai seguaci di Jovanotti e degli ultrà della Lazio, felicemente avversari per clichè, per sentito dire.
Un conservatorismo rivoluzionario oggi, ha senso, se capiamo cosa significa.
Significa andare avanti camminando all’indietro per evitare lo sguardo della Medusa della falsa libertà.
Immaginiamo di mettere in discussione i pilastri del discorso democratico apparente, per ridare qualità al discorso pubblico.
Via il suffragio universale.
Un livello culturale minimo è necessario per esprimere un voto.
Via la segretezza del voto.
L’antidoto ai brogli elettorali e all’irresponsabilità.
Via il libero accesso alle cariche politiche e l’immunità.
Una selezione culturale ma soprattutto morale rigidissima attutisce il rischio della totale responsabilità delle proprie azioni.
Via il Ministero dell’istruzione.
La verità di Stato è un ossimoro.
La cultura deve essere un sasso nella scarpa per il potere, è quella la sua missione.
Thomas Jefferson diceva che un governo si giudica dal tipo di cittadini che produce.
Abbiamo prodotto leoni da tastiera e influencer e ridotto alla fame i professori, la marcia indietro è indispensabile per fermare l’effetto lemmings.
Credo fermamente che rieducare le persone al dovere di meritare un diritto, non sia un tornare indietro.
Un’aristocrazia di pensiero non è un’oligarchia, è un argine all’incontinenza della falsa libertà.
La libertà è figlia della disciplina interiore e del rispetto del limite.
Nella mia modesta opinione, il falso progresso che ha messo ai vertici del mondo giullari impresentabili, supportati da tiktokers analfabeti in grado di muovere milioni di persone cambiando marca di mutande e di rossetto, ci ha fregato il pollo dal piatto e ci ha messo coriandoli.
Siamo ad un punto in cui intervenire sui vertici è divenuto impossibile, ma intervenire sulla base è perfettamente possibile e bisogna un attimo chiudere i recinti, selezionare i formatori di una nuova umanità.
So che suona orribilmente impopolare in tempi di iperdemocratizzazione dell’ovvio e del volgare, ma io credo che senza una nuova aristocrazia di pensiero alla guida del carro grande dell’umanità, la partita fra “noi” e “loro”, sia persa a tavolino.
Vi invito a pensare all’ipotesi di andare avanti camminando indietro e chiedervi quali siano i pezzi dismessi da questa modernità mediocre che, rimessi dove stavano, potrebbero riequilibrare il battello prima che si ribalti.
Claudia Maria Sini

