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    È l’Isola di Lobos, ma non si trova nelle Canarie…

    Due paradisi separati da 8.300 chilometri di distanza.

    Sono isolotti speculari: uno ti insegna come prendersi cura di un paesaggio affinché rimanga un’oasi di pace; l’altro come proteggere una colonia selvaggia affinché continui a ruggire sulla roccia.

    Ci sono nomi che sembrano un cenno della mappa.

    Isla de Lobos suona come Fuerteventura, come acqua turchese e sentieri vulcanici.

    Tuttavia, dall’altra parte dell’Atlantico emerge un’altra Isla de Lobos: selvaggia, rocciosa, ricca di vita marina.

    Tra le due ci sono circa 8.300 chilometri in linea retta, ma hanno più cose in comune di quanto si possa pensare a prima vista: l’Atlantico, un faro e un nome che deriva dagli antichi “lupi” che le abitavano.

    A Fuerteventura, l’Islote de Lobos è un piccolo paradiso vulcanico.

    Si arriva in barca da Corralejo, si supera il molo e si apre una cartolina: La Concha, una spiaggia a forma di mezzaluna, con sabbia chiara e acque calme, El Puertito, con le sue pozze turchesi di marea, e, se si sale, il cono di La Caldera che segna l’orizzonte.


    Il faro di Punta Martiño, del 1865, completa il quadro.

    È un’area protetta: senza bar né sdraio, con sentieri segnalati e permesso preventivo per visitarla a turni e con capienza limitata.

    Qui l’esperienza è di combustione lenta: camminare, guardare, fare il bagno, guardare di nuovo.

    Ma in Uruguay, l’Isla de Lobos (di fronte a Punta del Este) è un’altra cosa, molto simile a quella che un tempo era l’isola delle Canarie: un santuario di pinnipedi (foche e lupi marini o leoni marini, per intenderci).

    Non si va a “fare spiaggia”, si va a vedere la fauna.

    Le escursioni partono da Punta del Este e costeggiano l’isola per ammirare una delle più grandi colonie di leoni marini e lupi marini dell’emisfero sud.

    Sul profilo roccioso si erge un faro monumentale, uno dei più alti del paese, visibile dalla penisola.

    L’isola e i suoi dintorni formano un’area marina protetta; lo sbarco dei turisti è molto limitato.

    Qui l’esperienza è fatta di mare e binocoli: motori al minimo, spruzzi, il suono rauco dei maschi e stormi di uccelli costieri.

    Un nome con una storia naturale.

    Entrambe si chiamano “Lobos” (lupi) per via dei pinnipedi: quella uruguaiana per quelli che ancora oggi vivono lì, quella canaria per le foche monache che un tempo popolavano queste coste e poi sono scomparse.

    Faro e navigazione. Entrambe sono contrassegnate da un faro che regola il traffico marittimo e diventa un punto di riferimento del paesaggio.

    Protezione e quote. Non sono parchi a tema: sono spazi fragili con regole chiare (permessi, capienza, restrizioni).

    Arrivo via mare. Il viaggio inizia sempre da un molo, con il profumo di salnitro come biglietto da visita.

    Cosa le separa (oltre all’oceano)

    L’uso. Fuerteventura offre spiagge e calette per una tranquilla nuotata; l’Uruguay propone avvistamenti e educazione ambientale, a distanza.

    Il rilievo. Lobos (Canarie) è vulcanica e più grande, con malpaís, saline e un cono perfetto.

    Lobos (Uruguay) è bassa e rocciosa, scolpita dalle onde dell’Atlantico meridionale.

    Il protagonista. In Uruguay domina la fauna viva, mentre nelle Canarie il protagonista è il paesaggio e il ricordo dei “lupi” che le hanno dato il nome.

    In definitiva, e salvando le distanze, sono isole speculari: una ti insegna come prendersi cura di un paesaggio affinché rimanga un’oasi di pace; l’altra, come proteggere una colonia selvaggia affinché continui a ruggire sulla roccia.

    Entrambe ricordano che l’Atlantico ha molti accenti, ma un linguaggio comune: rispetto e pazienza.

    Se viaggi in una, penserai inevitabilmente all’altra.

    E capirai perché lo stesso nome può significare esperienze così diverse.

    Michele Zanin

     

     

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