Le Canarie vivono praticamente con una stabilità politica e sociale che, per quanto venga generalmente considerata un punto di forza, può talvolta trasformarsi in un elemento paralizzante.
Un pizzico di sana tensione, un senso di urgenza e persino un certo nervosismo sistemico potrebbero rappresentare lo stimolo necessario per scuotere il lassismo socio-istituzionale che troppo spesso caratterizza questo territorio.
Questa tendenza, figlia di una cultura del “latinismo” accomodante, non è un’esclusiva delle Canarie: si riscontra in molte altre realtà in cui il tempo sembra dilatarsi e la reazione alle sfide viene affidata più al caso o all’emergenza che a una reale capacità di visione e pianificazione.
Il risultato è un immobilismo mascherato da equilibrio.
Se a questa dinamica si somma un clima favorevole tutto l’anno, infrastrutture turistiche consolidate e una posizione geografica strategica a poca distanza dai principali mercati europei, si ottiene una miscela che ha trasformato nel tempo l’arcipelago in una sorta di “porto sicuro” nel panorama turistico internazionale.
Tuttavia, si ha spesso la sensazione che il sistema turistico locale operi in una sorta di “pilota automatico”, accontentandosi dei risultati contingenti e rinunciando a costruire una strategia lungimirante e strutturata.
In occasione di ogni crisi geopolitica o conflitto in Medio Oriente, lo scenario si ripete puntualmente: le prenotazioni turistiche vengono dirottate, le rotte aeree si riorganizzano, le destinazioni considerate a rischio vengono evitate e le Canarie tornano sotto i riflettori come meta sicura, stabile e logisticamente accessibile.
Un processo che avvantaggia immediatamente il settore, ma che al tempo stesso rivela una dipendenza strutturale da fattori esterni.
Eventi recenti e passati confermano questa dinamica:
Nel 2011, con la Primavera Araba, molte destinazioni del Nord Africa persero competitività e il flusso turistico si dirottò verso l’arcipelago canario.
Tra il 2014 e il 2015, il conflitto nella Striscia di Gaza generò nuove ondate di instabilità e spinse nuovamente i flussi turistici verso le Canarie
Nel 2023, dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, si è assistito a un nuovo incremento nelle prenotazioni.
E ora, nel 2025, con la recente escalation tra Israele e Iran, lo scenario si ripete ancora una volta
In tutti questi casi si è registrata una crescita sensibile degli arrivi internazionali, il tasso di occupazione alberghiera ha raggiunto livelli molto elevati, le compagnie aeree hanno aumentato la frequenza dei voli e gli indicatori economici legati al turismo hanno mostrato segni di ripresa o addirittura di boom.
Il comparto ricettivo si attiva rapidamente, i prezzi delle strutture aumentano e i dati sulle presenze vengono accolti con entusiasmo.
Tuttavia, resta aperta una questione fondamentale: il sistema turistico locale ha veramente tratto insegnamento da questi eventi?
Oppure si limita, ancora una volta, a sfruttare il momento senza evolversi realmente?
Guardando la realtà dei fatti, la risposta non può che essere negativa.
Ancora una volta, si tende a massimizzare il profitto immediato senza investire in formazione professionale, né redistribuire in modo equo i benefici di questo generoso flusso di denaro.
Al contrario, si assiste a un progressivo peggioramento delle condizioni per la popolazione residente: aumentano gli affitti, il costo della vita sale, i servizi pubblici sono sempre più sotto pressione, e le risorse economiche finiscono spesso nelle mani degli stessi attori dominanti.
Le Canarie, insomma, sembrano non aver capito – o forse non voler capire – nulla.
Il territorio canario si conferma, ogni volta che il mondo si fa incerto, come una destinazione-rifugio.
Ma questa condizione, se da un lato rappresenta un privilegio, dall’altro implica una responsabilità crescente.
Non si tratta solo di accogliere più turisti, ma di farlo in modo consapevole, pianificato, sostenibile e rispettoso del territorio, della popolazione locale e delle risorse ambientali.
Tuttavia, anche sotto questo aspetto, si deve constatare che poco o nulla è stato fatto.
Le auspicate trasformazioni verso un modello turistico più responsabile restano, per lo più, sulla carta.
Mancano politiche concrete di gestione sostenibile, piani di tutela del patrimonio naturale e culturale, e un vero coinvolgimento delle comunità locali nella definizione delle strategie turistiche.
Le Canarie, anche in questo senso, non hanno compreso (o non lo vogliono comprendere) la portata della responsabilità che deriva dalla loro condizione di “porto sicuro” globale.
La fortuna di operare in un contesto tanto favorevole non dovrebbe essere data per scontata.
L’opportunità di intercettare turisti internazionali in fuga da scenari instabili non può essere l’unico pilastro su cui fondare un modello turistico.
Occorre invece un cambio di passo: un progetto a lungo termine che contempli non solo l’aumento dei flussi, ma anche la qualità dell’esperienza offerta, la diversificazione dell’offerta e il miglioramento delle condizioni lavorative nel settore e la ridistribuzione dei benefici economici sul territorio.
Tuttavia, questa visione strategica, oggi, semplicemente non c’è.
Esiste solo la logica miope del profitto immediato, che si traduce in scelte concrete difficilmente conciliabili con un modello sostenibile.
Ne sono prova l’ampliamento dei porti turistici a Lanzarote e Fuerteventura, pensati per accogliere un numero ancora maggiore di visitatori, e l’obiettivo dichiarato di costruire oltre 6.500 nuove camere d’hotel entro il 2028.
Si continua, insomma, a puntare sull’espansione quantitativa senza affrontare le conseguenze reali di questo modello: sovraffollamento, consumo di suolo, pressione sui servizi e polarizzazione economica.
Più che una strategia, sembra una fuga in avanti.
Che questa nuova ondata di crescita non sia solo l’ennesima parentesi positiva da celebrare con entusiasmo, ma che serva, invece, come spunto per una riflessione collettiva: si sta davvero costruendo un modello turistico solido, resiliente e sostenibile?
Oppure ci si limita, ancora una volta, a reagire agli eventi esterni, rincorrendo l’emergenza e rimandando le scelte strutturali che davvero farebbero la differenza nel medio-lungo periodo?
La risposta a questa domanda, al momento, è chiara: si continua a puntare tutto sul profitto immediato.
Una visione lungimirante del futuro è pressoché assente, confinata ai proclami vuoti dei politici di turno.
Mentre si celebra il successo dei numeri, mancano interventi concreti e strutturati.
E intanto, il tempo per invertire la rotta si riduce.
Di Italiano alle Canarie