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    Il Cappellaio Matto e la tirannia del tempo

    Il premio Erich Fromm è riservato a chi lascia il segno in materia di studi sulla struttura e il funzionamento della società.

    Hartmut Rosa se lo è aggiudicato battezzando per tutti noi quel non-so-chè che non abbiamo più, quel qualcosa che prima c’era, la cui assenza ci fa girare in tondo, dandoci la spossatezza amara di chi corre sul posto.

    E’ così che ci sentiamo noi che chiedevamo l’elenco telefonico al bar e avevamo il nome sul campanello ma in compenso, se leccavamo la busta di carta di una lettera, avevamo la certezza che quelle parole sarebbero state di una persona sola.

    Era solo ieri. 

    Sembra incredibile, no?

    La cosa perduta, il tepore della vita fertile, Hartmut Rosa l’ha battezzata “risonanza”.

    E’ in sintesi la nostra capacità di interiorizzare elementi del mondo, come fa un contrabbasso con la vibrazione delle corde, non limitandosi a farsi attraversare, ma trasformando la vibrazione in suono, in armonia, in musica.

    Assistere al monologo di un mondo sempre più virtuale che non attende risposte, trasformerebbe Giotto e Puccini in recettori anonimi e trasmittenti irrilevanti.


    Secondo Rosa, la molla che muove l’ondata di ansia, depressione e smarrimento, che emerge dai sondaggi sulla salute dell’anima nella società moderna, è questa.

    Esistono studi sulla depressione e l’ansia in bimbi dai 4 ai 9 anni, i dati statistici sull’incremento di ansia e depressione specie nei giovani, sono allarmanti.

    Siamo infelici. 

    Prima ancora di provare a vivere.

    Ma se la mancanza di risonanza nella nostra vita è il problema, quale è la causa?

    La unicità del punto di vista di Hartmut Rosa sta nel fatto che salta oltre tutte le possibili cause particolari e va all’origine prima: il tempo.

    Si è creata una frattura fra le persone e il tempo.

    Chi ricorda il dialogo del cappellaio matto di Alice di Lewis Carroll sul tempo?

    Il the delle cinque della lepre marzolina durava per sempre, brioso, nevrotico, frivolo però infelice, come i piccoli intrattenimenti futili con i quali la società moderna colma il senso di vuoto che deriva da non avere più il controllo del  proprio tempo, che comporta, come conseguenza strisciante, non poter più dare forma al proprio spazio.

    La più perfetta delle tirannie.

    Non a caso Lewis Carroll era un eminente matematico e un critico del rigore della società vittoriana prigioniera di riti e apparenze, terrorizzata più dall’allegria degli inglesi che dai cannoni dei francesi.

    Quando il Cappellaio dice “è molto pericoloso rompere il tempo”, come spesso accade con i classici, sembra quasi che veda la nostra vita, che parli di noi.

    Ma se la tecnologia doveva sollevarci dai viaggi lunghi, dalle mansioni indaginose, dalle lunghe code agli sportelli, dalle attività più modeste e banali, regalarci tempo per vivere, perché non abbiamo -PIÚ- tempo per vivere? 

    Perché viviamo affogati?

    Hartmut Rosa suggerisce che siamo dentro la dittatura del tempo.

    Di fatto, l’invasione massiva della tecnologia in tutti i capillari del tessuto della vita, fa sì che svolgiamo la stragrande maggioranza delle attività di una giornata in modo sbrigativo, senza alcuna partecipazione emotiva, con persone sconosciute e sempre diverse, assediati da continui aggiornamenti che ci bloccano al livello di principiante per sempre.

    Siamo provvisori e indifesi.

    Dismettiamo abiti ancora nuovi, ignoriamo chi siano i nostri vicini, i nostri figli lavorano ogni anno in un paese diverso e, senza che nulla di fatto ci obblighi apertamente a farlo, corriamo letteralmente da fermi in preda all’ansia di non lasciar passare un solo minuto vuoto, a costo di riempirlo con un reel o un messaggio che potremmo anche ignorare.

    La risposta di Hartmut Rosa alla domanda “perché lo facciamo?” è semplice e intelligente.

    Tutto lo spazio dei progetti possibili è stato occupato da entità sociali così potenti e inarrivabili che abbiamo rinunciato senza accorgerci all’idea di proporci come progettisti dello spazio futuro in cui vivremo.

    Giriamo in tondo dentro un presente sempre più angusto.

    L’entità fatta di tanti differenti poteri incrociati, che decide il ritmo accelerato di una vita nella quale se prendiamo fiato perdiamo il passo, è onnipresente, ineludibile, inarrestabile.

    Come entra in questo quadro la “risonanza“ di cui ci parla Hartmut Rosa?

    Entra come elemento rivoluzionario, come una mano tesa a se stessi per ritrovare l’energia creativa e la dimensione sociale perduta.

    Lavorare per piegare il tempo alla dimensione naturale della persona e non il contrario, questo sostiene Rosa, sia l’escamotage. 

    Come apprendere a dominare il tempo e rifiutarsi di snaturare il nostro essere umani dentro un ritmo di vita strutturato apposta per spegnerci come lucciole?

    Un modo per iniziare a orientarsi è leggere il libro di Hartmut Rosa: “la resonancia”, parla di speranza di felicità e di bellezza.

    Aiuta a ricordare cosa vuol dire essere felici, a ricordare che esserlo è ancora una scelta, nonostante tutto.

    Claudia Maria Sini

     

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